(Newsletter della Cooperativa cattolico-democratica di cultura, 1 settembre 2012)
Era l’11 novembre del 1982, la Cooperativa cattolico-democratica di cultura ospitava con i padri della Pace l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, allora non ancora cardinale. Quella sera il pubblico accorse numerosissimo, tanto da riempire la chiesa della Pace, per ascoltare le riflessioni di quell’illustre biblista, da neppure tre anni alla guida della diocesi di Milano, su un tema impegnativo, come lo definì egli stesso, “Il servizio della chiesa italiana alla società civile nel XX° anniversario del Concilio Vaticano II”.
La Ccdc, vuole rendere omaggio al cardinal Martini attraverso una riflessione tratta dall’intervento di quella sera del 1982, perché in essa ritrova il senso del suo impegno di testimonianza culturale al servizio della città.
“Il primo compito della chiesa, anche dal punto di vista culturale, è quello di aprire continuamente ogni aspetto della convivenza umana al senso del mistero. Questo è il primo grande servizio che la chiesa offre alla società: squarciare continuamente un’apertura verso il mistero, promuovere la scoperta della dimensione contemplativa della vita e servire questa società mostrando che senza un’apertura verso il mistero, né l’uomo, né la società riescono ad intendersi pienamente e ad esprimersi correttamente nella totalità dei loro desideri e delle loro speranze. Partendo da questa ottica ci troviamo di fronte a gravissime difficoltà della cultura contemporanea. La più evidente è causata da una cultura che non è capace di accogliere le tensioni verso il trascendente e fa dell’uomo la misura totalmente autonoma di se stesso e di tutta la sua realtà. La difficoltà opposta è quella che proviene dal risveglio di un senso religioso che tende al fanatico, al possessivo, al magico, che non educa quindi l’uomo ad affidarsi umilmente al mistero divino ma esprime semplicemente il bisogno che l’uomo ha di sentirsi sicuro, protetto, garantito contro le fatiche della vita, contro i rischi della libertà e le incertezze del futuro. Queste difficoltà, che vengono e dall’incredulità arrogante e dalla religiosità ambigua, sono largamente presenti nella nostra società. È difficile dire quale sia quantitativamente dominante, ma certamente l’una e l’altra ci percorrono e ci penetrano. Esse richiedono un’attenta e sofferta considerazione e non solo deplorativa.”