sindacalista della Federazione Nazionale pensionati della Cisl di Rho
Quale è la vostra posizione sulla riforma della Costituzione e sul relativo referendum, e come la motivate?
Più che di riforma mi pare più appropriato parlare di modifica della Costituzione che nel metodo soffre di due limiti:
1) resto del parere che le regole fondamentali del vivere e convivere non possono essere modificate e decisa dalla maggioranza politica del momento in quanto ciò legittimerebbe la maggioranza successiva a fare altrettanto riducendo il valore di tali regole al livello di una qualsiasi regola ordinaria:
2) per la rilevanza che hanno le norme costituzionali le modifiche, ovviamente sempre possibili, dovrebbero interessare singoli temi per dar modo ai cittadini di comprendere di cosa si discute e su cosa si chiede il voto.
In ragione di questi due limiti non marginali, sarebbe stato opportuno ricercare l’intesa tra le forze politiche che consentisse di superare i vincoli posti dall’art. 138 della Costituzione evitando il ricorso al referendum. La saggezza avrebbe potuto consigliare che mancando questa condizione era forse opportuno attendere tempi migliori piuttosto che scegliere di cambiare per cambiare perché e sempre meglio che non cambiare.
Secondo voi, è oggi più importante garantire una maggiore governabilità, cioè stabilità dei governi, oppure è più importante assicurare un’ampia e equilibrata rappresentanza alle diverse forze politiche? Ritenete la legge elettorale detta Italicum una legge soddisfacente oppure no, e perché?
Occorre chiarire cosa si intende con governabilità. Se si intende la durata dei governi mi sembra un falso problema perché è pur vero che dal 21 giugno 1945 ad oggi si sono succeduti 65 Governi ma è anche vero che questo non è stato un freno allo sviluppo economico e sociale del Paese che con lo 0,85% della popolazione mondiale è l’ottava potenza economica del mondo e la terza dell’Europa, escluso il Regno Unito; se invece si intende la produttività del Governo e del Parlamento misurata in numero di leggi approvate mi sembra perfino eccessivo il numero di 391 delle leggi approvate nel 2015.
A mio giudizio il problema non è la governabilità e nemmeno la celerità nell’approvazione delle leggi in quanto la storia anche recente dimostra che quando la volontà politica lo richiede le leggi sono approvate in tempi brevi. D’altra parte l’esercizio della democrazia è arte difficile che richiede la capacità di tenere assieme forze politiche di diversa ispirazione con l’efficacia dell’azione di Governo e di quella legislativa. Ciò avviene con la legge elettorale, certo non con l’Italicum che non è una legge che soddisfa i requisiti della rappresentanza in quanto prevede che i capi lista siano eletti in quanto tali e non per i voti di preferenza, e della democrazia ammettendo un premio di maggioranza, alla lista e non alla coalizione, di valore indefinito, che per assurdo, può anche essere superiore ai voti reali del primo turno.
Ritenete che Matteo Renzi, come segretario del Pd e come capo del Governo, si muova in un solco in linea di massima corrispondente con la vostra cultura politica, oppure ritenete che presenti dei caratteri che con essa sono scarsamente compatibili o addirittura configgenti? (e, in questo secondo caso, quali in particolare?).
Anzitutto considero un grave errore politico e strategico il fatto che lo Statuto del PD stabilisca che il suo Segretario Generale sia anche, qualora il PD è al Governo, Presidente del Consiglio dei Ministri. In assenza di norme di attuazione dell’Art. 49 della Costituzione, che il PD utilizzi lo strumento delle primarie per scegliere il suo Segretario è un atto politico che riguarda la vita interna al PD e gli iscritti a questo partito. Che però il Segretario eletto sia anche candidato o Presidente del Consiglio dei Ministri è una forzatura delle regole democratiche che presiedono al Governo del Paese e che rispondono alla Costituzione e alle leggi dello Stato e non allo Statuto di un partito.
Non metto in discussione la legittimità dell’incarico di Presidente del Consiglio a Matteo Renzi, stante che ha ottenuto la fiducia del Parlamento, ma è quanto meno un fatto anomalo che Presidente del Consiglio sia il Segretario del PD eletto con le primarie ma non eletto in Parlamento.
Infine il doppio incarico condiziona negativamente il PD che non è più nella condizione di essere lo strumento attraverso il quale i suoi iscritti concorrono a determinare la politica nazionale, essendo non solo inevitabile che prevalgano le ragioni istituzionali del Presidente del Consiglio su quelle del partito, ma anche che sul partito si scarichino e pesino tutti gli errori e le contraddizioni delle scelte del Presidente del Consiglio, come è accaduto con la personalizzazione del referendum costituzionale e la legge elettorale Italicum approvata con voto di fiducia.
Sebbene per scelta politica e storia personale appartenga alla così detta “area di centro sinistra” non condivido Matteo Renzi né come Segretario del PD né come Presidente del Consiglio.
Alle ragioni sopra esposte aggiungo:
1) la condizione del PD, anzitutto in ragione del doppio incarico del suo Segretario, è elemento divisivo di quest’area, incapace di essere elemento unificante perché senza un progetto e senza prospettiva in grado di dare risposte alle necessità, ai bisogni, alle attese e alla speranze di quanti nel centro sinistra si riconoscono;
2) le innumerevoli contraddizioni che segnano la sua politica. Sarebbe troppo lungo l’elenco, richiamo solo la così detta “disintermediazione”, che nega il ruolo di rappresentanti di interessi legittimi delle organizzazioni sindacali, la costante presenza e partecipazione alle iniziative imprenditoriali, la debolezza delle attività di contrasto all’evasione fiscale, l’aumento del limite nell’uso di denaro contante, la riduzione delle garanzie del Welfare State per molte categorie sociali, l’aumento della precarizzazione dei rapporti di lavoro, la lotta alla disoccupazione e quella giovanile in particolare, la mancata lotta alla crescente povertà, l’assenza di politiche di contrasto dell’aumento delle disuguaglianze. Se su questi temi un Governo che si dichiara di centro sinistra non pone attenzione e non spende la sua iniziativa, chi lo deve fare?
3) a parte ciò, da non iscritto al PD sono tra coloro che riconoscendosi nella tensione riformista del centro sinistra non possono non votare PD essendo che il non voto, il voto al M5S o ai cespugli alla sinistra del PD, non è alternativa praticabile. Sorge il sospetto che questa mancanza di alternative sia per Matteo Renzi l’elemento che gli consente di vivere nelle e delle sue contraddizioni. Ma fino a quando?
I percorsi di maturazione e condivisione del consenso sembrano essere sempre più condizionati da meccanismi che poco hanno a che fare con la conoscenza dei temi in discussione, con il confronto, con la comune appartenenza ad aggregazioni capaci di fare nascere visioni e progetti: è una situazione irrimediabile? Come recuperare il terreno perso in questi ultimi anni?
Sta sempre più riemergendo l’atavico pregiudizio che divide il mondo in tutte le forme possibili: buoni/cattivi, bene/male, bianchi/neri, ricchi/poveri, occupati/disoccupati, ecc. Questa è sicuramente la conseguenza della semplificazione richiesta e imposta dai mezzi di comunicazione, dai social e dalla rapidità con cui si manifestano e si esauriscono i problemi e le informazioni. L’idea di essere, perché connesso alla rete, al centro dell’attenzione del tuo mondo e che sia importante, se non determinante, il tuo pensiero e la tua opinione, fa dell’individualismo la regola del vivere senza che ciò comporti il dovere del dialogo e del confronto con l’altro e ancor meno l’appartenenza ad aggregazioni capaci di fare nascere visioni e progetti che non siano il “mi piace” dei social.
Se sia o meno una situazione irrimediabile, non lo so, ma due indicazioni mi paiono pertinenti:
1) ridare senso alla politica recuperando, per i cittadini, la possibilità di scegliere tra ricette alternative. Precisamente ciò che fino ad oggi non è stato fatto perché, per ragioni di alleanze internazionali e di politiche economiche/finanziarie, si è seguita la strada della liberalizzazione totale, delle privatizzazioni a gogo, della riduzione dei salari reali, della compressione della spesa pubblica e dei relativi servizi,
2) proporre scelte e soluzioni ai problemi non in termini globali da fine del mondo o di un mondo oppure come condizione per la nascita di un nuovo mondo, ma in termini semplici e specifici che consentano ai cittadini di capire davvero la necessità e le ragioni del cambiamento che si propone. E questo è un problema che riguarda anzitutto la politica, ma non solo, riguarda anche il ruolo politico e sociale ad esempio della Chiesa, delle Organizzazioni Sindacali, delle strutture del Volontariato e del Terzo Settore, ecc., cioè dell’insieme dei corpi intermedi di cui la società si è dotate per rappresentare gli interessi, le esigenze, le necessità e i bisogni in essa presenti.
Tutto questo per dire che è profondamente sbagliato considerare la modifica della Costituzione oggetto del referendum come assoluta priorità per il Paese perché, approvata o meno che sia, tutti i problemi sopra richiamati che il Paese vive saranno ancora tutti da affrontare.
In conclusione resta, per me, il problema del come votare. Scelta non facile e nemmeno scontata nonostante le riserve e le critiche espresse. Faciliterebbe questa scelta la modifica della legge elettorale che attendo di capire se, come e quando cambierà.
Per queste ragioni mi riservo di decidere.
Rodolfo Vialba