L’articolo è uscito a newsletter dell’Associazione “Il borgo di Parma” pubblica un articolo della l’autrice è senatrice del Pd . L’articolo, scritto a commento dei fatti accaduti in Parlamento all’inizio di febbraio, nel corso della contestazione nei confronti della presidente della Camera, Laura Boldrini, è stato pubblicato dall’Associazione “Il borgo di Parma” nella sua newsletter del 14 febbraio. L’autrice ha di recente pubblicato un libro di memorie, “Tutto si muove, tutto si tiene. Vita e politica. Quasi un bilancio per la generazione che viene”, per le edizioni Diabasis.
Le parole e i toni usati contro la Presidente della Camera Laura Boldrini, e parlamentari donne del PD, colpiscono. E suscitano le immediate reazioni di una sensibilità che è frutto di almeno un secolo di rivoluzione femminile che in primo luogo ha imposto nella storia la dignità delle donne (Mulieris dignitatem) e l’uguaglianza tra i sessi.
Colpiscono, quelle parole, come se evocassero incubi da cui pensavamo di esserci liberati, ma non stupiscono. Sapevamo da tempo dell’abisso culturale nel quale siamo precipitati in questi decenni. Da molto tempo, ormai, circola nella società italiana come nella politica e nelle istituzioni, nei mass media, nei talk show e nei bar, il veleno dell’inimicizia; la competitività dell’economia si è trasferita senza resistenza tra le persone; il disprezzo degli altri è diventato la condizione della propria affermazione. Siamo ai saldi della convivenza, a basso prezzo, in una stagione in cui l’individualismo ha sostituito il noi, la prevaricazione il confronto civile. Il maschilismo, mai veramente sconfitto, è coerente con questa cultura dello scontro, che è sempre violenta, è la riduzione dell’altro a oggetto, soprattutto se donna, in una logica di scambio mercantile, perduta ogni sensibilità e stima nei confronti dell’altro. Un veleno che ha pervaso e travolto ogni aspetto della vita sociale. La velocità del web ne ha moltiplicato gli effetti alimentando l’irresponsabilità personale.
Le parole contro le donne sono intrecciate con tutto ciò. Non basta scandalizzarsi, è necessario capire la genesi vera del fenomeno perché è da lì che si deve reagire. Non è in gioco soltanto la dignità delle donne, è in gioco la dignità degli uomini e dell’intera società. Un livello così basso di volgarità e di violenza fa dubitare della nostra stessa civiltà. E’ ipocrita lamentarsi delle parole udite in questi giorni, quando per anni abbiamo tollerato nei confronti delle donne espressioni indecenti e violenze inaudite, quando veline e igieniste dentali sono state piazzate nel parlamento e nelle istituzioni come se fosse una cosa normale. Quando, insieme a ciò, abbiamo sopportato lo scadimento della politica, la compravendita dei parlamentari, la corruzione diffusa.
La violenza che colpisce le donne nella vita privata e pubblica è la spia di una più grande violenza che permea tutta la società. Tutto si tiene, è miope fermarsi su un solo aspetto, per quanto odioso e intollerabile. Forse che le offese alla Kyenge non sono dello stesso tipo? Colpire le donne che sono ai vertici delle istituzioni rende ancora più scoperto il gioco: le donne fuori dal potere, che tocca agli uomini. Non parla delle loro capacità e delle loro scelte politiche, si colpiscono nella loro identità di genere e nel colore della loro pelle. Un cortocircuito fatto di ignoranza, della debolezza degli uomini, del loro interesse a conservare il potere. Sempre più disarmati di fronte a donne sempre più libere, autonome, coraggiose. E perciò sempre più aggressivi.
Colpisce in questi giorni che pochissimi uomini si siano alzati per dire l’indignazione generale. Ci siamo abituati a tutto e si è perso anche il senso del disgusto e del ridicolo. Twitter e pensiero stanno insieme? Sembra di no, è come se fossimo dentro una malattia infantile della società. Ma anche il web cambierà se maturerà la democrazia. Occorre ripartire dai fondamentali: l’uguaglianza di donne e uomini in dignità e valore, il confronto invece dello scontro, la sacralità della vita pubblica e delle sue istituzioni che in democrazia è lo specchio di una comunità. Rispettare le persone e rispettare le istituzioni è la stessa cosa. Stiamo demolendo le une e le altre, dentro una rovina che non sembra arrestarsi. Il linguaggio riflette i concetti e l’inciviltà di un Paese, complici i mezzi dell’informazione che amplificano l’orrore, anziché metterlo in discussione. Anche qui vince la banalità del male.
C’è una frase emblematica dell’abisso in cui siamo precipitati: “Che cosa fareste in macchina di notte con quella donna?”. Non si sarebbe mai pensato e detto a proposito di un uomo.
E’ questione ormai di democrazia. L’equilibrio e la misura che la contraddistinguono si sono perduti da tempo, ma senza di essi è l’intero impianto istituzionale che scricchiola, è la cultura costituzionale che si assottiglia. Una disgrazia storica per un Paese.
Se la democrazia è debole, debole è l’etica di una nazione, debole ne è l’educazione. Oggi è così l’Italia.
Non siamo di fronte alla crisi di una fase, ma delle fondamenta dell’intera società.
Gli insulti alla Boldrini e alle parlamentari non sono un errore da sottolineare, e a cui rimediare, sono la spia di un vuoto che ci ha già travolto, tutti. Più è gratuita l’ingiuria, più è debole la ragione. Questo ci inquieta e ci sgomenta, perché ci dice quello che siamo diventati. Soprattutto quando questi uomini sono in Parlamento.
Guardiamoci da un’altra illusione: che i nuovi movimenti politici siano diversi dagli altri. Come si vede, il berlusconismo, chiamando con questa parola un’epoca e una condizione culturale e politica, è ovunque. Anche a 5 stelle.
Albertina Soliani
14 Marzo 2014 at 12:43
cara Albertina,
possiamo essere desolate, ma i presupposti dei femminicidi sono complessi. Pur essendone consapevoli, crediamo ancora che il fidanzato che ci ha dato uno schiaffo sarà un buon marito.
Lo scarto da 335 “no” a 344 (e da 227 “sì” a 214) nel respingere due emendamenti a beneficio del genere segnala che gli uomini non hanno paura della nostra emancipazione ma dell’attentato al loro potere, che incomincia nella coppia e finisce nel diritto. Purtroppo anche molte giuriste (tutte studiamo sugli stessi libri e applichiamo le stesse leggi) sono d’accordo con la condanna delle “quote rosa”, termine orrendo, non inventato da noi. Prima o poi dovremo fare i conti con l’interpretazione della Costituzione e rivendicare che il “sesso” dell’art. 3 deve essere giuridicamente inteso come “genere” (e i generi sono fondanti di tutte le differenze sociali, non possono esserlo delle discriminazioni attualmente riconosciute in diritto). Bisognerà affrontare una contraddizione consapevolmente voluta da parlamentari donne e uomini di tutte le parti nel riformare l’art.51, il 7 marzo 2002, quando un voto plebiscitario convalidò l’omaggio alle donne del governo Berlusconi autore della riforma: “la Repubblica favorisce le pari opportunità” per l’accesso alle cariche elettive. Eh no, mie care: la Repubblica non doveva favorire ma “garantire”, non le pari opportunità, ma i “pari diritti”. Perché, tra l’altro, siamo il 52 % dell’elettorato e la maternità (o la non-maternità) non è ancora un diritto e, anche se la legge ci eroga benefici, siamo percepite come cattivi lavoratori se restiamo incinte. Disgraziatamente gran parte del mondo femminile si riconosce negli stereotipi familisti e mediatici, ignara di essere un “genere” e non una variante biologica.
L’ emendamento respinto con lo scarto aumentato (poi nuovamente abbassato per il terzo emendamento che si accontentava del 60 %) era relativo alle quote per i capilista. Era “il” punto nodale. Infatti il 50/50 di governo non sposta quasi nulla: se una di noi va a Bruxelles a discutere la situazione ucraina, importa poco che sia un ministro o una ministra. Ma è dal basso che si può eliminare il pregiudizio che le donne non votano le donne e incominciare la risalita. E non partendo dalle preferenze (che possono diventare clientelari, mentre poche donne hanno i mezzi e perfino la voglia delle pratiche mercantili), ma su chi è in testa alle liste. Sarebbero accontentati anche i meritocratici: le donne sono più affidabili per capacità e dedizione. Finora, tuttavia, le grandi città, le regioni, le segreterie di partito sono o maschili o affidate a donne scelte perché stanno dentro il modello neutro.
Quindi brutta giornata quella di ieri. Ma illuminante. Speriamo che il femminicidio cessi, almeno quello istituzionale; per rispetto dello spirito di una Costituzione che deve viaggiare nel tempo accrescendo la democrazia.