Ceccanti a La Valle: la riforma costituzionale che proponiamo è analoga a quelle europee

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Su Rocca di due settimane fa (https://www.c3dem.it/?p=1209 ) Raniero La Valle ha scritto che “la riforma costituzionale a cui stanno lavorando i tre partiti che mediante i tecnici governano oggi l’Italia tende a rendere insindacabile il potere politico e a mettere il presidente del Consiglio al riparo dalla sfiducia delle Camere, cioè a vanificare il più tipico e decisivo istituto della democrazia parlamentare”. E ha aggiunto che l’accordo su cui si discute nell’apposita Commissione del Senato “prevede, per ingraziarsi la plebe, un’irrisoria e casuale diminuzione del numero dei parlamentari (da 630 a 508 deputati e da 315 a 254 senatori), ma, per il resto, comporta tre riforme destinate a cambiare la figura dello Stato”. Abbiamo chiesto per c3dem al senatore Stefano Ceccanti di esprimere il suo parere rispetto alle critiche mosse da Raniero La Valle, specificamente sulle “tre riforme” che quest’ultimo considera “destinate a cambiare la figura dello Stato”. Ceccanti ha così “titolato” le sue risposte: “la riforma costituzionale non fa altro che prevedere una forma parlamentare analoga a quelle europee e a quella immaginata nella prima fase della Costituente”.

Riportiamo di seguito il testo di ciascuna delle tre osservazioni critiche di La Valle (i neretti nel testo sono redazionali) a cui fa seguito la replica argomentata di Ceccanti. Ricordiamo che la bozza di riforma costituzionale al centro del confronto tra La Valle e Ceccanti è in corso di esame alla Commissione Affari Costituzionali.

 1. BICAMERALISMO

Raniero La Valle

La prima (riforma prevista dal testo in discussione nella Commissione Affari Costituzionali, ndr) consiste nel confermare il bicameralismo, con due Camere ambedue elette a suffragio universale e quindi aventi la stessa dignità, ma con una gerarchia di competenze inegualmente distribuite tra loro e una rottura per materie dell’unicità delle fonti della legislazione e quindi dell’unità dell’ordinamento.

Stefano Ceccanti

Questa critica ha indubbiamente un fondamento (penso che qui La Valle faccia tesoro della sua esperienza parlamentare) e infatti ci stiamo lavorando. Penso che anche La Valle condivida la finalità di iniziare a superare il bicameralismo paritario per ogni tipo di legge, anche per quelle micro che non hanno obiettivamente bisogno di un doppio esame. Risparmiando tempo prezioso la riforma può aiutare il Parlamento a concentrarsi su adempimenti più importanti. E’ vero che il testo attuale parte giustamente da questa finalità ma poi crea problemi da lui denunciati. Per questa ragione stiamo esaminando varie modifiche: la più convincente mi sembra al momento quella di ritornare al bicameralismo paritario quando la seconda Camera decide di richiamare.  Mi spiego meglio: la Camera chiamata a deliberare per seconda (che è diversa a seconda delle materie) nel testo attuale può proporre modifiche, ma poi prevale comunque la prima. Invece, se rispondiamo a quella giusta critica, la Camera che decide per seconda può decidere di lasciar perdere, secondo il criterio del silenzio-assenso, ma se invece decide di richiamare la legge da lì in poi si dovrebbe avere l’assenso di entrambe le Camere su un unico testo.

2. RUOLO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

Raniero La Valle

La seconda (riforma, ndr) consiste in una torsione presidenzialistica e leaderistica del sistema di governo, con un presidente del Consiglio provvisto di investitura popolare, dotato del potere di chiedere la nomina e la revoca dei ministri, e unico destinatario della fiducia del Parlamento, che sarebbe chiamato a votare per lui e non per l’intero ministero.

Stefano Ceccanti

Qui invece la critica sembra decisamente ideologica. Sezioniamola nei suoi tre aspetti.

Sul primo aspetto, “l’investitura popolare”, nel testo non c’è assolutamente niente. E’ la maggioranza parlamentare che determina il Governo. Forse La Valle intende alludere alle proposte di riforma elettorale che si combinano con quella costituzionale che però intendono superare la rigidità odierna dell’investitura attraverso il premio di coalizione. Infatti sono criticate in genere per la ragione opposta a quella di La Valle, penso ad esempio, per restare ai nostri ambienti, alle critiche di Prodi, Parisi e Franco Monaco. Nelle forme debite e non rigide credo però che, ferma restando la flessibilità delle forme parlamentari, gli elettori debbano poter prevedere gli effetti del loro voto anche sul Governo e non solo sul Parlamento, debbano essere “arbitri del Governo” come diceva Ruffilli. Nelle forme parlamentari c’è una regolarità: dopo il voto, sulla base di un rapporto stringente tra consenso, potere e responsabilità, la persona che guida la forza politica più votata va alla guida del Governo e l’altra forza più votata guida l’opposizione. Sono poi possibili variazioni, eccezioni, anche in corso di legislatura, persino con formule di emergenza come l’attuale Governo Monti, ma è bene che come altrove la regola sia regola e l’eccezione eccezione. Però, ripeto, ciò non ha a che fare col testo costituzionale proposto.

Secondo aspetto: il Presidente del Consiglio potrebbe proporre al Presidente della Repubblica, a differenza di oggi, la revoca di un proprio ministro. Oggi se il ministro renitente alle dimissioni vuole resistere bisogna aprire una crisi di Governo o organizzare una specie di autogol, cioè la maggioranza (come accadde nel 1995 con Mancuso) deve votargli una mozione di sfiducia individuale. Ha senso tutto ciò? Corrisponde ai canoni di una democrazia parlamentare sensata? No, e infatti quel potere c’è ovunque. Se apriamo, ad esempio, il testo costituzionale della più grande forma parlamentare europea, quella tedesca, lo troviamo puntualmente all’articolo 64; in Spagna all’articolo 100 e così via. Era stata proposta, non casualmente (ma su questo torno tra breve) anche dal relatore Egidio Tosato (Dc) alla nostra Assemblea Costituente il 4 gennaio 1947.  

Terzo aspetto: la fiducia parlamentare varrebbe solo nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri. E perché no? Questa è la normalità delle forme parlamentari: Germania articolo 63, Spagna art. 99 e così via. Anche nella nostra Assemblea Costituente era stata proposta da vari esponenti tra cui il dc Mortati e il comunista Nobile, sempre il 4 gennaio 1947. Mortati aveva chiarito che negli Stati contemporanei in cui l’intervento dei pubblici poteri è più marcato per le finalità più ampie dello stato democratico-sociale vi è “l’esigenza di un’unità nell’indirizzo politico del Governo” che non può essere “affidata alle oscillazioni del momento”, proprio questa esigenza aveva “portato tutti i Paesi ad una evoluzione del diritto costituzionale, nel senso di attribuire una preminenza al capo del Governo rispetto ai singoli ministri”.

3. LA SFIDUCIA COSTRUTTIVA

Raniero La Valle

La terza (riforma, ndr) consiste nel rendere impraticabile il meccanismo della sfiducia: che potrebbe essere votata solo dal Parlamento in seduta comune con la maggioranza assoluta sia dei deputati che dei senatori, ciò che sta a significare la solennità, l’eccezionalità e l’implausibilità dell’evento; né le Camere potrebbero votare impunemente contro una legge su cui il governo ponesse la fiducia, senza cadere nella tagliola dello scioglimento che in tal caso il presidente del Consiglio farebbe scattare nei loro confronti; né potrebbe darsi sfiducia al capo del governo se non grazie a un ribaltone perfettamente organizzato dalla sua stessa maggioranza, con la contestuale indicazione di un altro presidente del Consiglio”.

Stefano Ceccanti

Anche qui sezioniamo i suoi tre diversi aspetti.

Primo aspetto: per abbattere il Governo ci vuole la maggioranza assoluta su una mozione costruttiva in cui chi vuole cambiare ha la responsabilità di indicare subito concretamente e solennemente un’alternativa. Che c’è di strano? Quella mozione con analogo quorum la troviamo nell’articolo 67 del testo costituzionale tedesco, nel 113 di quello spagnolo e così via. Sempre alla nostra Costituente la mozione costruttiva era stata proposta il 4 settembre 1946, sempre da Egidio Tosato con queste parole:  “Per il voto di sfiducia dovrebbe richiedersi che sia presentata al Presidente della Repubblica una mozione di censura, firmata da almeno un terzo dei membri delle Camere, e motivata. Il Capo dello Stato dovrebbe quindi convocare le Camere, e se la mozione di sfiducia venisse approvata dalla maggioranza, il primo firmatario della mozione dovrebbe essere senz’altro considerato come Presidente designato al Governo. Si riserva di presentare nei suoi lineamenti concreti la proposta accennata, che gli sembra dia affidamento di un Governo parlamentare stabile ed efficiente”. Il quorum della maggioranza assoluta era poi stato proposto il 13 gennaio da Mortati.

Secondo aspetto: se la crisi nasce invece perché una Camera boccia la fiducia al Governo il Presidente del Consiglio può chiedere lo scioglimento, ma il Parlamento ha ventuno giorni di tempo per evitarlo scegliendo un Presidente del Consiglio (non necessariamente all’interno della stessa maggioranza, quella delimitazione non c’è). E’ ciò che c’è scritto nell’art. 68 del testo costituzionale tedesco e quello che prevede la recente legge inglese del 2001 (scritta non a caso nel periodo di un governo di coalizione) dove però alla Camera dei comuni sono lasciati solo quattordici giorni. Alla costituente il 13 gennaio 1947 il comunista Nobile aveva previsto un meccanismo analogo dopo due crisi di governo.

Su entrambi questi aspetti c’è, nella critica, una confusione tra forma parlamentare e sua degenerazione assemblearistica.

Un Parlamento che possa facilmente abbattere (o minacciare di abbattere) i Governi con la sfiducia o col rigetto della fiducia senza indicare alternative in tempi certi, scindendo potere da responsabilità, è un Parlamento più forte o più debole nella realtà e nella percezione dei cittadini?

Era una distinzione molto chiara in partenza ai nostri costituente che il 4 settembre 1946 avevano in origine approvato l’ordine del giorno Perassi che recitava:  «La Seconda Sottocommissione, udite le relazioni degli onorevoli Mortati e Conti, ritenuto che né il tipo del governo presidenziale, né quello del governo direttoriale risponderebbero alle condizioni della società italiana, si pronuncia per l’adozione del sistema parlamentare da disciplinarsi, tuttavia, con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell’azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo».

Quell’ordine del giorno fu poi aggirato, come ricordano tutti i principali studiosi, a causa del clima della Guerra Fredda. Giuseppe Dossetti nel 1984 intervistato da Leopoldo Elia e Pietro Scoppola chiarì che dalla primavera 1947 i politici, in primis De Gasperi e Togliatti, intervennero sui tecnici e fecero espungere quei correttivi perché ognuno temeva il futuro 18 aprile dell’altro. Vi era, dice Dossetti,  un “eccesso di paura dell’altro” che ha generato “una parte strutturale che è stata quella che è stata”, con un “carattere eccessivamente garantista”.

Per questo il Presidente Napolitano ha più volte ricordato che “i Costituenti videro lucidamente tutti i problemi, ma che nel contempo non li poterono risolvere”.

Le critiche di la Valle potrebbero funzionare se i rimedi proposti fossero del tutto originali e spropositati, ma quando si vede che essi sono puntualmente richiamati nei testi costituzionali delle principali democrazie parlamentari e che, in sostanza, riprendono puntualmente emendamenti già presentati alla nostra assemblea costituente, penso che dovrebbe riconsiderarle, se vuole una forma parlamentare e non una degenerazione assemblearistica. Anche perché, come ricordava sempre Calamandrei alla Costituente, il 5 settembre 1946, “le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dall’impossibilità di governare dei governi democratici”.

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