di Vania De Luca, vaticanista di Rainews24
Istituito da Paolo VI nel 1965 per mantenere viva l’esperienza del Concilio Vaticano II, il sinodo era stato definito da Giovanni Paolo II “lo strumento validissimo della collegialità episcopale”. Eppure quello sulla famiglia, appena concluso, è solo il terzo “straordinario” in quasi 50 anni, il primo su una questione pastorale-dottrinaria-teologica-sociale di così vasta portata. Gli altri due furono nel 1969 sulle conferenze episcopali e la collegialità dei vescovi e nel 1985 sull’applicazione del Concilio vaticano II.
Ci sono poi stati in questi anni i sinodi ordinari, a intervalli di tempo programmati (di solito ogni tre anni) e le assemblee sinodali “speciali”, quando non sono i vescovi da tutto il mondo a riunirsi su questioni di interesse generale, ma solo quelli di una specifica area geografica che hanno all’ordine del giorno questioni relative alla propria area (finora ce ne sono state 10 di questo tipo: Asia, Africa, America, Oceania, Libano, Medio Oriente…).
Un’assemblea sinodale ha sempre una certa importanza, per la Chiesa ma non solo, ma mai c’era stata una così vasta eco sulla stampa e un’attenzione così attenta dell’opinione pubblica com’è avvenuto per il sinodo straordinario sulla famiglia. Questo per due motivi: per la delicatezza del tema, e per il nuovo metodo che il primo sinodo dell’era Francesco ha inaugurato.
Nei giorni del sinodo si è vista in funzione una macchina, quella sinodale, di cui non tutti conoscevano l’esistenza, soprattutto in quell’opinione pubblica e in quegli operatori dell’informazione non specializzati in affari religiosi che hanno mostrato curiosità e interesse non solo per i contenuti di un’assemblea che si confrontava su una materia “sensibile” (la famiglia, le famiglie, i figli, l’amore, le ferite, le diverse forme di unione o di disunione), ma anche per le modalità di un confronto e di una consultazione che non hanno eguali.
Gli interventi della prima settimana sono stati più di 265, sulla relazione del cardinale Erdo, che è stata discussa nei dieci gruppi per area linguistica della seconda settimana, ci sono stati centinaia di emendamenti. Una significativa e importante modalità di discussione, di dibattito, dopo l’invito, in apertura, di papa Francesco a dire tutto con libertà, franchezza, schiettezza, senza timori, garantiti in questo dalla presenza stessa del Papa, che ha indicato nella “Parresia” la condizione stessa della sinodalità, cioè del camminare insieme, “cum Petro e sub Petro”. Che tra i padri sinodali ci fossero diversità di vedute, soprattutto su temi mai affrontati in una libera discussione, dall’accoglienza nella comunità ecclesiale delle coppie omosessuali, alla possibilità di accesso ai sacramenti per i divorziati risposati, era più o meno scontato, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di un sinodo straordinario, preceduto da un’ampia consultazione di base, come prima tappa di un confronto nelle chiese locali che durerà un intero anno prima del sinodo ordinario del 2015 alla ricerca delle vie pastorali per rispondere alle nuove sfide poste dalle famiglie di oggi.
Alla messa di apertura del sinodo il Papa aveva ricordato che le assemblee sinodali non servono per discutere belle idee o per vedere chi è più intelligente, ma per cooperare al progetto d’amore di Dio sul suo popolo. Che è fatto di persone concrete, con i loro sogni, talvolta infranti, con le gioie, i dolori … Alla veglia della sera prima il Papa aveva usato un’immagine efficace, parlando alla Chiesa: “dobbiamo prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l’”odore” degli uomini di oggi fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce.
Papa Francesco ha voluto affidare la riflessione sulla famiglia a un cammino, dentro la complessità del metodo sinodale, intrinsecamente conciliare, pieno, in fondo, di futuro, perché non è una macchina farraginosa ma è, appunto, un cammino, con i laici, i pastori, le famiglie, le chiese locali… (14 le coppie al sinodo, di cui 13 uditrici e una tra gli esperti). Non è un caso che a conclusione di questo sinodo straordinario c’è stata a San Pietro la celebrazione della messa per la beatificazione di Paolo VI, il grande traghettatore che aveva portato a compimento il Concilio vaticano II, e che il Sinodo dei Vescovi lo aveva istituito, nel 1965.
Alcuni giornalisti e commentatori hanno lamentato la mancata diffusione degli interventi dei singoli padri sinodali, mentre quotidianamente è stata diffusa una sintesi del dibattito. Pubblici invece sono stati la Relatio post disceptationem del cardinale Erdo, i resoconti dei circoli linguistici e soprattutto gli esiti della votazione sulla relazione finale, 62 punti, di cui si è subito conosciuto il risultato dei voti a favore e contro, punto per punto. La sala stampa vaticana era affollata la sera di sabato 18 ottobre. I giornalisti erano lì dal mattino (alle 13 c’era stato il breefing sul messaggio conclusivo del sinodo), l’indomani ci sarebbe stata la messa per la beatificazione di Paolo VI, ma conoscere, e documentare, l’esito di quella votazione, accompagnato dalle parole del Papa che aveva ascoltato il dibattito sinodale in silenzio per due settimane, è stato come documentare un passaggio storico.
Su tutti i punti c’è stata una maggioranza di “placet“, ma quelli più discussi non hanno ottenuto la maggioranza dei due terzi. Questo non significa che siano stati derubricati, o che la Chiesa abbia deciso che non deve più occuparsene. Le famiglie divise e ferite, con la problematica dei figli, esistono, così come le persone omosessuali, e per la chiesa non possono non esistere, anche se non sono in discussione né l’indissolubilità del matrimonio né l’equiparazione tra l’unica forma di matrimonio (tra uomo e donna) e altre forme di convivenza. Il cammino dunque continua, il metodo sembra quello più adatto a trattare -senza fretta ma anche con urgenza- la complessità dei temi e delle sfide in gioco.
Quello che a tratti si è visto è stato un metodo democratico, in quella che però una democrazia non è e non potrà mai essere, la Chiesa. Santa madre Chiesa, gerarchia e popolo di Dio. Tutta, tutti, in cammino. I voti contano, anche nella Chiesa. Anche il Papa si elegge con i voti, ma la Chiesa, che pure conosce, da un lato i meccanismi del confronto democratico e dall’altro la possibilità della decisione di uno solo, il Papa, non procede a colpi di maggioranza, perché è molto più di una democrazia, è una comunità. Che non lascia fuori nessuno e che è mossa non dal desiderio del consenso, quanto piuttosto della ricerca della verità, di una verità non astratta ma assoluta, fatta persona, incarnata nelle gioie, nei dolori, nelle fatiche, nella ricerca degli uomini e delle donne di oggi. In democrazia governa chi vince, nella Chiesa, anche quando ci sono posizioni diverse, che accettano di contarsi, non si vorrebbero mai vedere vincitori e vinti, e neppure fazioni che si scontrano, ma persone che si confrontano animate da una stessa passione, per arrivare, si spera, a una sintesi condivisa, sapendo che quella verità che hanno da testimoniare ma che contemporaneamente cercano spesso con fatica, è stata sulla bocca dei profeti. Minoranze per definizione.
Il cammino prosegue, con un risultato già raggiunto: la macchina sinodale, fuori dal garage, è stata rimessa in cammino. Con la sua complessità e in fondo la sua modernità, la sua validità metodologica.
Nel discorso pronunciato al termine del Sinodo papa Francesco ha citato, in apertura, “la luce dello Spirito Santo”, e in chiusura ha invocato un “vero discernimento spirituale” per lavorare sulla Relatio synodi l’intero anno prossimo, in vista del sinodo ordinario del 2015. Per i non credenti non è facile capire come idee, proposte, soluzioni anche concrete e operative, possano discendere dalla luce dello Spirito Santo e da un discernimento di tipo spirituale, ma per la Chiesa così è. E solo le soluzioni maturate dentro questa modalità (che non conosce aggressività, quanto piuttosto docilità) sono quelle giuste e cariche di futuro.