Pubblichiamo brani di alcuni articoli apparsi sulla stampa quotidiana del 26 maggio, all’indomani delle clamorose notizie (solo le ultime di una lunga serie) relative alla fuga di documenti riservati del papa e alla rimozione del presidente dello Ior. Casavola, Marroni, Politi, Melloni, Valli, Rosati, Carlo Maria Martini e Franco Garelli gli autori.
L’urgenza di fare pulizia, di Francesco Paolo Casavola, in “Il Messaggero” del 26 maggio 2012
“È auspicabile che la verità si stia facendo strada in queste ore su tutti i due versanti, distinti e distanti, delle notizie sullo Ior e sul cameriere del Papa. Farà bene alla Chiesa e alla cattolicità universale. Ma farà bene anche alla società italiana e a qualunque società civile. Il marcio in Danimarca denunciato dall’Amleto di Shakespeare manda in putrefazione il mondo. Dovunque misteri taciuti, contro cui lottano gli Stati, i loro apparati, i cittadini onesti. Un esempio alto, di una comunità di fede che da sempre e in tutto si affida alla verità, può giovare a quel mondo, che dimentica il suo marciume quando può indirizzare il giudizio moralistico fuori e altrove.
La Chiesa dimostri di essere nel mondo ma di non appartenervi, specie rifiutando i suoi principi ipocriti. Una vicenda amara, se vissuta nella fierezza della verità, può essere esemplare anche per chi è fuori della Chiesa. E la Chiesa continuerà la missione di convertire il mondo se saprà confessare sviamenti ed errori con una coscienza più esigente di qualunque giustizia umana. I fatti, i nudi e veri fatti, San Raffaele, lo Ior, la legge della trasparenza nella gestione bancaria, i comportamenti degli amministratori, da una parte, e da un’altra, ripetiamo distinta e distante, i documenti sulle divisioni tra le gerarchie, le infedeltà nell’appartamento stesso del Pontefice, lasciamoli a chi ha il dovere e la competenza per accertarli. Non facciamone materia di emozioni e di insinuazioni. Senza cessare di attendere, anche a nostra edificazione, il racconto della verità”.
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Riforma della Curia, un’esigenza pressante, di Carlo Marroni, in “Il Sole 24 Ore” del 26 maggio
“Forse per il papa – dice un alto prelato, non al telefono (praticamente nessuno più lo usa Oltretevere) – è arrivato il momento di mettere da parte le bozze del terzo libro su Gesù e varare un riforma profonda della Curia”.
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Benedetto XVI, il re che non controlla più la corte, di Marco Politi, in “il Fatto Quotidiano” del 26 maggio.
“L’estrema brutalità del comunicato con cui è stato silurato il presidente dello Ior è il segno che la lotta di potere all’interno della Curia ha raggiunto un livello di parossismo impensabile. Mai era accaduto negli ambienti curiali, così felpati, che si colpisse così duramente nell’onore un uomo scelto dal Papa. La reazione del Segretario di Stato, che fa sfiduciare pubblicamente Gotti, rappresenta la rottura di una tradizione. Nella sua violenza svela la paura di Bertone di essere scalzato dalla carica. In pari tempo la vicenda rimanda ad un pontefice debole e fragile, incapace come re Lear di tenere a bada la sua corte” (…).
“Il Segretario di Stato, con questa prova di forza, dimostra di volere resistere ad ogni costo alle pressioni rivolte a Benedetto XVI perché lo sostituisca a dicembre in occasione dei suoi 78 anni. Ma l’estrema debolezza di Benedetto XVI, che in queste vicende non è riuscito a tenere ferma la barra nella direzione da lui stesso auspicata, mostra che il pontefice ormai ottantacinquenne e fisicamente fragilissimo (e occupato a scrivere il terzo libro su Gesù) non riesce a tenere sotto controllo gli affari della Curia e si affida – anche a costo di buttare a mare persone che stima – al Segretario di Stato, da cui non sembra in grado di staccarsi. Il mondo cattolico è disorientato. L’Avvenire, mentre pubblica il comunicato vaticano, scrive che Gotti “aveva fatto proprio l’impegno per la crescita dello Ior nella trasparenza secondo standard internazionali”. Ha commentato l’ex vicedirettore dell’Osservatore Romano Gianfranco Svidercoschi: “Nel comunicato vaticano che definisce criminale la diffusione dei documenti arrivati alla stampa non c’è una sola riga dedicata ai fatti ivi descritti”. Il popolo delle parrocchie non ci capisce più nulla. É una deriva quale mai si era verificata in Santa Romana Chiesa”
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Devotissimi e sospetti, di Aldo Maria Valli, in “Europa” del 26 maggio
“Può essere che il maggiordomo Paolo, desideroso di rispondere fattivamente alla richiesta di moralizzazione fatta dal papa, abbia deciso di collaborare, insieme ad altri, a un atto oggettivamente illegale (trafugare corrispondenza privata) in nome di un bene più grande (smascherare i corrotti e i sepolcri imbiancati). Tuttavia, è difficile sottrarsi all’impressione che il maggiordomo Paolo possa essere il classico capro espiatorio, anche perché è un laico, e si sa che nei sacri palazzi chi non porta la tonaca è meno tutelato” (…).
“Ultimamente Gotti Tedeschi confidava agli amici: «Bertone si è messo di traverso lungo la via della trasparenza voluta dal papa e le sue frequentazioni in campo economico e finanziario sono tutt’altro che raccomandabili. Inoltre il cardinale si occupa di cose di cui non capisce assolutamente niente». Lo scenario offerto oggi dal Vaticano è desolante. Da qualunque parte lo si guardi, emergono lotte intestine, litigi, ripicche, polemiche, divisioni. Un papa intellettuale e teologo, continuamene impegnato a mettere in guardia dalla «persecuzione interna» e da quelli che ha significativamente chiamato «lupi», regna su uno staterello che offre di sé un’immagine a metà fra il villaggio di lavandaie e il nido di vipere.
La confusione è totale, e la situazione è tale che il Vaticano non riesce a essere credibile nemmeno quando identifica un colpevole. Come ha fatto la commissione formata dai cardinali Herranz (83 anni), Tomko (88) e De Giorgi (82) a puntare il dito, nel giro di pochi giorni di indagini, contro il maggiordomo Paolo Gabriele? Può essere che i tre arzilli porporati abbiano preso lezioni dall’infallibile Padre Brown, il prete detective uscito dalla fantasia di Chesterton, ma può essere anche che si sia voluto trovare un colpevole in tempi rapidi e senza dover pagare un prezzo troppo alto in termini di immagine. Come se ci fosse ancora un’immagine da difendere.”
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Strategia della tensione in Vaticano Tocca ai vescovi reagire, di Alberto Melloni, in “Corriere della Sera” del 26 maggio
“Mai lo smarrimento era arrivato a questi livelli nella Chiesa cattolica. Certo nel Novecento non erano mancate lotte di potere condotte senza esclusione di colpi. Dal veto dell’imperatore d’Austria nel 1903 contro l’elezione al papato del cardinal Rampolla a quel novembre 1962 nel quale il Sant’Ufficio passò a Indro Montanelli accuse di modernismo per macchiare la giovinezza di Giovanni XXIII, dalla cacciata di Montini da Roma orchestrata dalla corte pacelliana nel 1954 alla lotta del torrido conclave del 1978 che convinse tutti a votare il Papa straniero, su su fino alla vicenda dell’Ambrosiano e di Marcinkus, nella quale toccò a un cattolico pulito come Nino Andreatta salvare la Chiesa dalle sue sozzure. Ma stavolta c’è qualcosa di più. Ed è il senso di un disordine sistemico: la sensazione che ci sia ancora altro che debba deflagrare in tutta la sua catastroficità. Quelle che ci sono state negli ultimi anni, negli ultimi mesi e negli ultimi giorni non sono state solo fughe di notizie e non si possono rubricare come tradimenti. Sono pezzi di una strategia della tensione. Un’orgia di vendette e di vendette preventive che è ormai sfuggita di mano a chi s’illudeva di orchestrarla o di giovarsene”. (…) “E’ certo che se non ci sarà una reazione spirituale il disastro sarà completo”.
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Il Concilio parlava di Chiesa dei poveri. Chissà fino a quando servirà una banca? di Domenico Rosati in “l’Unità” del 26 maggio
“Andreotti fece la tesi di laurea sulla… Marina vaticana, una flotta che non c’è più. Perché escludere che un domani qualcuno possa esercitarsi nella narrazione delle vicende… bancarie della Santa Sede, ricostruendone al passato questi passaggi come momenti di avvicinamento ad un assetto meno rischioso e compromettente? Forse è semplicistico chiedersi se per svolgere la missione di salvezza sia indispensabile gestire in proprio un istituto bancario o se non sia preferibile avvalersi con intelligenza dei servizi che il mercato offre. Ma dovrà continuare la ricerca nella direzione di un assetto di governo dell’organizzazione ecclesiastica diverso da quello nel quale si producono episodi che ora, come è innegabile, suscitano riprovazione e disorientamento.”
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Ora la Chiesa recuperi fiducia
di Carlo Maria Martini, in “Corriere della Sera” del 27 maggio 2012
La Chiesa, dopo le notizie di cronaca di queste ore che parlano del «corvo» in Vaticano, deve con urgenza recuperare la fiducia dei fedeli. È stata un’esperienza di Gesù l’essere tradito e venduto, non poteva non essere anche un’esperienza della Chiesa o di qualche Papa. Chi grida allo scandalo si ricordi di quanto è successo duemila anni fa. E questa vicenda è nata anch’essa da un tradimento, da un’azione malvagia: dobbiamo chiedere perdono come Chiesa a tutti. Lo scandalo ha sempre una natura triplice: c’è chi lo riceve, chi lo fa, chi ne approfitta; ma la Chiesa può guardare oltre e leggere in senso positivo quanto è emerso. La Chiesa perda i denari, ma non perda se stessa. Perché quanto è accaduto può avvicinarci al Vangelo e insegnare alla Chiesa a non puntare sui tesori della terra. (Matteo 6, 19-21).
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Il collante perduto. L’analisi del sociologo sul rapporto del mondo cattolico rispetto alla bufera che ha sconvolto il Vaticano
FRANCO GARELLI
Che cosa si nasconde dietro le vicende che si stanno consumando in Vaticano? Qual è la radice di veleni e scandali che coinvolgono quell’alta Sede che oggi appare più profana che «santa»? Perché si nascondono dei corvi in quelle sacre mura che nell’immagine collettiva dovrebbero ospitare soltanto colombe?
Interrogativi come questi non sono frutto di una visione ingenua delle dinamiche religiose e dei rapporti interni al centro della cattolicità. La lunga storia del cristianesimo e delle religioni ci ha reso edotti dei molti conflitti e misfatti che si possono perpetuare «in nomine Domini» e del rischio che corrono gli uomini di chiesa di cedere alle lusinghe del potere e della gloria mondana.
Insomma: anche la chiesa, in quanto istituzione umana è segnata dal limite e dal peccato, tratti questi che per i credenti non mettono in discussione la sua natura e missione salvifica. Eppure ci sono almeno due buone ragioni che creano sconcerto per ciò che sta avvenendo di questi tempi tra le mura del Vaticano e nei dintorni. Ragioni che colpiscono non solo i cattolici ferventi e praticanti, ma anche una vasta opinione pubblica, che ha spesso accreditato la chiesa cattolica universale di un modo del tutto particolare di gestire il potere – ad un tempo vetusto ed efficace – capace di contenere al proprio interno i conflitti, di presentarsi in termini unitari all’esterno, in nome di un’autorità centrale (il Papa) e di un ideale (l’evangelizzazione e la promozione umana) che univa le anime religiose più diverse: i liberal e i conservatori, i pensatori e gli uomini di azione, la chiesa delle parrocchie e quella dei movimenti ecc.
Il primo fattore di turbamento è che la crisi in atto nella Curia romana avvenga con Papa Ratzinger «regnante», con un pontefice che nel suo programma di governo ha messo al primo posto sia l’integrità dottrinale sia la voglia di pulizia dentro la chiesa. Su questi temi Benedetto XVI si è si è sempre espresso con grande fermezza, denunciando a più riprese la «sporcizia» presente nella chiesa, prendendo di petto la questione della pedofilia del clero cattolico, lanciando continui moniti ai vescovi e ai preti di non lasciarsi irretire in una logica di potere religioso o profano del tutto estranea alla missione apostolica. Ciò che sta avvenendo nei Sacri Palazzi sembra dunque non rispecchiare gli indirizzi di fondo d’un pontificato che pure coltiva un’idea di chiesa trasparente e non compromessa.
Un altro elemento di sconcerto riguarda l’immagine pubblica dei vertici della chiesa cattolica, che esce certamente indebolita dai report di questi giorni; manifestando divisioni e frammentazioni interne non diverse da quelle di cui oggi sono affette molte altre istituzioni. La società liquida e instabile ha intaccato anche la chiesa cattolica? Come comporre i messaggi di speranza religiosa e umana veicolati (e attesi) dal Papa e dai Vescovi con l’immagine di una chiesa segnata al suo interno da non pochi conflitti e steccati?
In effetti il mondo ecclesiale (sia nei piani alti sia a livello di base) si presenta oggi particolarmente frammentato. Ce lo ricordano il caso Boffo; le tensioni tra il Segretario di Stato Vaticano e il Presidente della Cei per come interpretare il rapporto tra la chiesa e la politica in Italia; la vicenda dell’arcivescovo Viganò (già segretario del Governatorato del Vaticano) e del presidente della banca vaticana Gotti Tedeschi, entrambi rimossi per le loro divergenze col primo ministro del Papa sui temi della trasparenza finanziaria della Santa Sede.
Ma il malessere coinvolge anche i rapporti tra diverse anime ecclesiali, com’è emerso dalla lettera (resa pubblica di recente) inviata un anno fa al Papa dal successore di don Giussani in cui si stigmatizzava l’azione dei cardinali Martini e Tettamanzi a Milano e si proponeva un cambio di indirizzo pastorale.
Come si è giunti a questa situazione complicata? C’è chi chiama in causa la carenza di leadership nella chiesa, che si manifesterebbe non tanto nel suo vertice alto, quanto in dirigenti poco qualificati rispetto alle sfide del tempo presente; altri evocano l’idea che negli ultimi decenni (da Giovanni Paolo II in poi) il reclutamento dei vescovi e del personale della curia abbia privilegiato più i criteri della «fedeltà» e dell’omogeneità di pensiero che quello della rappresentanza delle diverse e migliori componenti del cattolicesimo mondiale.
Ma su tutto credo che la chiesa d’oggi abbia problemi di governance. Fors’anche per un Pontefice che per il suo tratto di grande teologo e uomo di cultura è meno propenso a dar rilevanza al carattere «politico» del suo alto ruolo. Non si può chiedere alla chiesa di cambiare la sua forma gerarchica, anche se la corresponsabilità è lo stile affermato dal Concilio. Ma in questo quadro occorre mettere tutti in rete e far sì che le migliori risorse (anche di sensibilità diversa) siano unite in un progetto comune. Oggi questo collante sembra essersi indebolito, per cui ogni enclave può fare la sua battaglia convinta che sia quella della chiesa.
28 Maggio 2012 at 18:24
Crea sconcerto quanto accade. Ma è bene che tutto il marcio venga fuori, come lo stesso Benedetto XVI forse alludeva, parlando di “sporcizia” presente nella Chiesa, il giorno del funerale di Giovanni Paolo II. Un saggio lo aveva già dato Massimo Franco con il suo libro: “C’era una volta un Vaticano” – Mondadori 2010. Per il resto, basta riandare al pensiero di Rosmini ne ” Le Cinque Piaghe della Chiesa Cattolica”.
5 Agosto 2012 at 12:58
La mia è una impressione che risale all’epoca del Concilio Vaticano II, che, non solo operò
uno stravolgimento della liturgia poco o niente criterioso, ma, soprattutto, annullò di fatto
l’autorità unica del sommo Pontefice, riducendolo ad un Vescoco primus inter pares, ma privato, nella sostanza, di quella autorità che, invece, gli compete per la sua posizione e
per l’espressa volontà divina: si sta verificando quanto nello stesso Evangelo è preannunciato dallo stesso Cristo, accennando alla fine dei secoli. Ecco perchè sono anche un pò scettico nel credere alla veridicità del terzo segreto di Fatima pubblicizzato da Papa
Woytila. L’autorità del Papa è oggi puntualmente ignorata proprio da coloro che dovrebbero
aiutarlo nell’attuazione delle direttive.