Semipresidenzialismo. Discuterne o no?

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La proposta messa in campo qualche giorno fa dal Pdl può essere letta in molti modi. Certo, per lo più, appare tardiva, destinata a non essere discussa seriamente, dato il momento in cui viene rimessa in circolazione: a meno di un anno dalla fine della legislatura, in una situazione di profondissima crisi economica, con le principali forze politiche che si confrontano a fatica e che hanno una fiducia piuttosto limitata una nell’altra, e , forse soprattutto, in una fase di fortissima sfiducia popolare nei confronti della politica. E’ un clima idoneo per affrontare nel Paese e in Parlamento un tema così delicato? Già la bozza di riforma costituzionale discussa in Commissione Affari Costituzionali, e approvata, ha suscitato, per lo più, scarsa attenzione nell’opinione pubblica e da più parti è criticata per essere presentata in un momento inadatto. La proposta aggiuntiva di una riforma in senso semipresidenziale accresce la sensazione di cadere in un momento non appropriato. L’attenzione del Paese, ora, non sembra poter andare oltre la questione, assai importante, della riforma elettorale. Su questo bisognerebbe concentrare le energie politiche residue.

In ogni caso, discuterne non è inutile. Per raccogliere un primo contributo di discussione sulla proposta del semipresidenzialismo pubblichiamo una lunga nota messa on line dal senatore (e docente di diritto costituzionale) del Pd, Stefano Ceccanti.

Facciamo precedere il testo di Ceccanti da una nota di agenzia di stampa che dà conto di un gruppo di senatori, assai vicini a Ceccanti, che si sono espressi a favore dell’apertura di un confronto politico sulla proposta del semipresidenzialismo, e su quella, ad essa collegata negli intendimenti del Pdl, del doppio turno elettorale.

Riforme, senatori PD: auspicabile confronto su semipresidenzialismo

 9Colonne) Roma, 31 maggio – “La discussione aperta con la proposta di modificare la forma di governo in senso semipresidenziale non può limitarsi a valutare  se esista o meno il tempo per affrontarla concretamente. In primo luogo perché manca poco meno di un anno alla fine della legislatura, un tempo di lavoro parlamentare importante se utilmente e proficuamente impiegato; inoltre perché sul tema esiste un’abbondante e ricca bibliografia frutto degli approfondimenti degli studiosi della materia e un’altrettanto densa raccolta negli atti parlamentari degli ultimi quindici anni”. Lo dicono i senatori del Pd Antonello Cabras, Marco Follini, Paolo Giaretta, Enrico Morando e Giorgio Tonini. “Per la prima volta – proseguono i senatori del Pd – il doppio turno di collegio per l’elezione del Parlamento, la proposta  del Partito Democratico, viene condivisa dal Pdl e potrebbe avere nelle due camere una base parlamentare ampia e consistente. Inoltre la crisi profonda apertasi nel rapporto fra i rappresentati e i rappresentanti nell’attuale sistema politico, i cui segni sono evidenti anche nella più recente tornata elettorale amministrativa, sollecita azioni e iniziative di riforma capaci di cogliere i cambiamenti in atto per rendere il sistema istituzionale sempre più coerente alla nuova domanda di partecipazione e, al tempo stesso, capace di governare i processi complessi della società di oggi”.

Semipresidenzialismo: è un scelta opinabile, ma tutta politica, non ci si nasconda dietro la tecnica che, volendo, avrebbe già anche quella soluzione pronta e matura

di Stefano Ceccanti

Dal volume “A colloquio con Dossetti e Lazzati”, intervista di L. Elia e P. Scoppola 19/11/1984, Il Mulino, Bologna, 2003, pp. 64-65 

Dossetti: “Lì (al monastero passionista al Celio, alla prima riunione informale dei costituenti dc – NdA) si considerò anche la possibilità di una Repubblica presidenziale..Fu bloccata da De Gasperi con un ragionamento, essenzialmente di garanzia, nei confronti del Partito Comunista: se facciamo le elezioni su un nome solo, poniamo il nome di Nenni, disse, sostenuto dal Partito Comunista, passano. E da quella presunzione lì derivò poi tutto l’eccessivo garantismo della Costituzione”   

Elia: “De Gasperi ha mandato a chiamare Tosato che voleva delle formule più vicine al Cancellierato, che dessero più potere all’esecutivo, e gli ha detto ‘lascia perdere! Qui non ci fidiamo’. Sono stati i politici che hanno voluto questo ipergarantismo respingendo le proposte dei giuristi che volevano rafforzare l’esecutivo”

Scoppola: “E nella seconda fase si sono congiunti sia la sinistra sia la destra”

Dossetti: “Certamente, e tutti e due per eccesso di paura dell’altro”.

Premessa. La tecnica offre un ventaglio di scelte possibili, ma è la politica che decide e che deve motivare, oggi come allora.

Le considerazioni che seguono sono marcatamente tecniche, ma hanno un significato politico preciso: ci sono una serie di scelte che si possono/vogliono fare a cui i tecnici danno il loro contributo, ma oggi come nel 1947 sono i politici che possono/debbono scegliere non nascondendosi dietro le tecniche. Le soluzioni tecnicamente possibili sono ben raramente limitate ad una sola, la politica è chiamata a discernere senza usare schermi, può anche decidere di non decidere ma specie in quel caso deve motivarlo precisamente perchè si tratta di una scelta deliberata e non scontata, altrimenti abdica alle proprie responsabilità.

1.  Impostazione del problema: confutazione delle pregiudiziali e scelta tra modelli coerenti

Nei Paesi dell’Unione europea sono presenti sia la forma di governo parlamentare (fortemente razionalizzata, con meccanismi analoghi a quelli della bozza arrivata in Aula) sia quella semi-presidenziale.

La scelta tra le due, rimediando a una forma parlamentare poco o per nulla razionalizzata al momento della Costituente per la sfiducia reciproca (scelta allora del tutto giustificata), è rigorosamente politica e perfettamente argomentabile su quel piano, non accampando pregiudiziali ideologiche o ragioni di carattere tecnico.

Quanto alle pregiudiziali, se ne presentano di solito tre, intrecciate tra di loro.

La prima riguarda il problema dello sconvolgimento degli equilibri voluti dalla Costituente. Questo argomento, che è reale e che deve trovare risposte puntuali di merito, non può però essere usato a monte come pregiudiziale per non fare niente. In primo luogo perché il funzionamento della forma di governo è comunque già oggi problematico e disordinato, cioè lo status quo non è difendibile. In secondo luogo perché le ragioni che si opposero a una forma di governo parlamentare fortemente razionalizzata, ovvero la sfiducia reciproca tra le forze politiche a partire dalla Primavera 1947, sono esattamente le stesse che impedirono allora anche una scelta di tipo presidenziale, come si vede dalla citazione iniziale che parla sia della preclusione al presidenzialismo sia al governo del Primo Ministro. Delle due l’una: o non è possibile/auspicabile alcun rafforzamento istituzionale ragionevole dell’esecutivo, vuoi del Governo del Primo Ministro vuoi di una soluzione Presidenziale,  o, se essa è possibile/auspicabile, l’una tende ad equivalere all’altra.

La seconda riguarda la cosiddetta legittimazione a riformare che però è un argomento così importante che non può essere usato a metà: o il Parlamento è delegittimato e allora va sciolto subito, non può fare proprio niente giacché alcune leggi ordinarie hanno comunque un’importanza di lungo periodo non inferiore a leggi di revisione costituzionale; oppure è legittimato, ma allora può usare tutti i suoi poteri, compresi quelli conferiti dall’articolo 138. Ancor di più l’obiezione vale per coloro che dicono che saremmo legittimati a fare alcune riforme costituzionali e non altre: chi lo dice che riformare il bicameralismo o varare il Governo del Primo Ministro sia un’innovazione meno forte e quindi legittima e la scelta semi-presidenziale no? Essere legittimati è come essere incinta, o lo si è o non lo si è, non si può essere incinta a metà.

La terza riguarda il tempo, ma di per sé le scadenze scandite dall’articolo 138 non cambiano al variare del contenuto della riforma nella parte relativa alla forma di governo. Non si tratta infatti di ‘clonare’ una Costituzione straniera o di immaginare per la prima volta un sistema semi-presidenziale adatto all’Italia, su cui lavorò già la Bicamerale D’Alema col testo Salvi, ma semplicemente di innestarsi su quel lavoro per modificare qualche articolo di una forma di governo che peraltro ha già in sé alcuni correttivi presidenziali marcati nel testo vigente (assenti in altre forma parlamentari), usati soprattutto nei periodi di crisi. E’ vero che, in caso di scelta semi-presidenziale, andrebbero varate alcune leggi ordinarie di accompagnamento in più, a partire da quella per le norme dettagliate sull’elezione del Presidente e a quella sui conflitti di interesse, ma varrebbe comunque il metodo già deciso in precedenza per la legge elettorale politica che, secondo gli accordi, sarebbe votata nell’intervallo tra una lettura parlamentare e l’altra per entrare in vigore successivamente.

Infine l’altra questione metodologica, il dovere di scegliere tra modelli coerenti. Si può confermare la scelta della bozza andata in aula accompagnandola con un sistema ispano-tedesco che corregge sensibilmente la proporzionale perché si può ritenere sufficiente la nazionalizzazione delle elezioni che si avrebbe col voto di partito oppure si può abbinare il doppio turno con la nazionalizzazione indotta per via istituzionale dall’elezione del Presidente. Ciò che non si può fare, nell’evidente fase di spappolamento del sistema nazionale dei partiti, è trasformare l’elezione del Parlamento in tante monadi locali nei collegi uninominali senza un voto di lista che premi le forze più grandi e senza l’elezione del Presidente. Questo sarebbe andare in Francia, ma non quella di oggi, bensì in quella della prima metà del Novecento: oggi, in Italia, nel 2012, coi soli collegi uninominali a doppio turno non si garantisce alcuna coerenza nazionale e quindi alcuna governabilità.

E’ una scelta politica tra due alternative tecniche, non tra tre. Chi delegittima il sistema elettorale tedesco invocando il doppio turno ma poi non vuole il semi-presidenzialismo propone una cosa priva di basi teniche. Tra quelle due, invece, la scelta è rigorosamente politica.

2. La parte di lavoro che funzionerebbe comunque: 12 articoli su 13!

Non tutto il lavoro della Commissione verrebbe comunque rivoluzionato da una tale scelta, anzi, al contrario se ne salverebbero ben 12 tredicesimi.

Le modifiche agli articoli 56, 57 e 58, 75 (numeri dei parlamentari, elettorato attivo e passivo) stanno in piedi comunque come sono scritte.

Idem per quelle al 64 (su equilibrio Governo, maggioranza, opposizioni, minoranze, che è il principale bilanciamento indipendente dalle due diverse forme di governo), 69 (doveri parlamentari) e al blocco relativo alla differenziazione delle Camere (70, 72, 74) e per quelle relative alla Commissione paritetica (126 e disposizioni finali) e per il potere di richiedere la revoca (di cui al 92).

Insomma, del testo risultante dai lavori della Commissione andrebbe modificato solo un articolo, il 94, laddove introduce la sfiducia costruttiva (non compatibile col semi-presidenzialismo) e il potere del Presidente del Consiglio di richiedere lo scioglimento (idem). 

3. La parte di lavoro ulteriore a partire dal testo Salvi della Bicamerale aggiornata alla riforma francese del 2000: 8 interventi puntuali già studiati

Gli ulteriori interventi si possono facilmente trarre, con qualche aggiustamento, dalla parte relativa alla forma di governo nel testo di Cesare Salvi della Bicamerale, che si trova qui e che sembra più grande perché riscriveva l’intera Seconda parte:

http://www.camera.it/parlam/bicam/rifcost/docapp/relass7.htm

Sarebbero i seguenti otto, nulla di meno, ma soprattutto nulla di più:

1-      nell’articolo 83 andrebbe inserita l’elezione diretta, secondo il testo che trovate numerato in Salvi come 64;

2-      nell’articolo 84, visto poi che stiamo riducendo gli elettorati passivi per le Camere, varrebbe forse la pena di scendere da 50 ai 35 che utilizziamo per il Senato nella proposta arrivata in Aula;

3-      nell’85 i dettagli del sistema elettorale chiariti da Salvi nel 66, compreso il puntuale rinvio a una rigida delimitazione del conflitto di interessi che lì figura così:  “La legge approvata dalle due Camere prevede disposizioni idonee ad evitare conflitti tra gli interessi privati del Presidente della Repubblica e gli interessi pubblici. A tal fine la legge individua le situazioni di ineleggibilità e di incompatibilità”. La soluzione Salvi (mandato di sei anni) andrebbe aggiornata alla revisione francese del 2000 che ha equiparato il mandato a cinque anni onde limitare i casi di coabitazione e i connessi casi di legislature brevi: infatti prima del 2000, dato che il presidente durava 7 e la Camera 5, dopo cinque anni ci poteva essere la coabitazione che veniva bloccata due anni dopo dall’elezione del Presidente, il quale poi, una volta vinto, scioglieva per avere una maggioranza conforme dopo soli 2 anni. Molto più razionale la soluzione post-2000. Peraltro, se si potesse, sarebbe ancor più razionale la soluzione proposta dalla sinistra non comunista (il Club Jean Moulin) che votò sì nel 1962 al referendum sull’elezione diretta chiedendo la contestualità tra le due elezioni, richiesta rinnovata invano dai radicali di sinistra nel 2000. 

4-      l’articolo 86 andrebbe aggiornato per prevedere che l’elezione anticipata per il Presidente, nei casi già previsti, sia popolare;

5-      nell’articolo 88 andrebbe previsto che nel caso di semestre bianco le elezioni Presidenziali non possano comunque avvenire dopo quelle del parlamento, altrimenti le seconde non verrebbero “nazionalizzate”; poi si può scegliere per limitarsi a questo intervento minimale o quello più forte che faceva Salvi per proteggere il Primo Ministro nei casi eventuale coabitazione (Salvi condizionava lo scioglimento presidenziale a una casistica di dimissioni del Primo Ministro, comunque obbligate dopo un’elezione presidenziale);

6-      nell’articolo 89, per chiarire le competenze reciproche, andrebbero ripreso il puntuale elenco degli atti presidenziali non soggetti a controfirma che sta nel testo Salvi all’art. 71;

7-      nell’articolo 92 bisognerebbe fare una scelta tra la ripresa del modello francese (che fa presiedere direttamente il Consiglio dei Ministri al Presidente eletto e quindi cambia nome in Primo Ministro all’altra testa del Governo, oppure se limitare, come in Salvi, tale Presidenza solo nell’ambito del consiglio per la politica estera e la difesa; la soluzione francese sembra più razionale a causa della crescita di importanza dell’Unione europea che rende difficilmente separabili politica interna ed estera);

8-     infine andrebbe inserito il principale contropotere del sistema francese, ovvero la possibilità di ricorso preventivo alla Corte Costituzionale da parte di un quinto di deputati o di senatori, come faceva il testo Salvi all’art. 137. 

La tecnica ci offre questo, senza perdite di tempo.

La politica decida quale delle due soluzioni tecniche ritiene più giusta. Come nel 1947 decide, giustamente, la politica.

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