La nostra Costituzione è un baluardo per la promozione del lavoro. “L’ Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” (art. 1). Lavoro come dignità della persona e di ogni persona, come tratto inconfutabile dell’essere umano, che attraverso ogni attività lavorativa e di studio, realizza e completa se stesso.
Il paesaggio e il patrimonio storico-artistico
L’articolo 9 ci da lo spunto per rispondere in maniera sistematica all’interrogativo del convegno C3dem (la Costituzione ci aiuta ad affrontare la crisi?): “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
E’ dalla tutela, la salvaguardia e valorizzazione del nostro patrimonio ambientale, paesaggistico e storico-culturale che si può ripartire per uno sviluppo economico e sociale e per creare nuovi posti di lavoro. E’ un disegno che mira ad una società più giusta, dove si crea occupazione dalla riorganizzazione del territorio!
A cosa serve essere tra i primi otto paesi più industrializzati, se poi la disoccupazione giovanile è al 44%; a cosa serve appartenere al club dei paesi ricchi se c’è degrado ambientale diffuso: nelle periferie della città, nelle periferie economiche del paese. Non serve ormai più rincorrere solo e soltanto “la crescita”.
Ancora in questi giorni, intorno alla metà del mese di dicembre, in una intervista alla radio RAI, il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta ha detto che “da questa crisi economica, l’Italia non sta cogliendo l’occasione per ripensare il proprio modello di sviluppo e inaugurare una nuova economia”.
Agricoltura, assetto del territorio, equilibrio idrogeologico
L’Italia ha un grande patrimonio, costituito da risorse come la terra, il mare, l’ambiente naturale, il paesaggio, i beni culturali e storici che l’azione millenaria delle genti, che hanno abitato e trasformato questo territorio, hanno saputo produrre con arte e amore.
La valorizzazione dei territori rurali può contribuire alla soluzione della crisi, essi “sono una ricchezza incredibile su cui siamo seduti, un patrimonio che ci frutta ogni giorno cibo, bellezza, equilibrio ecologico, cultura, economia turistica. Il terreno fertile in quanto tale, anche se è in una proprietà privata, in realtà è un bene comune proprio come acqua e aria. E come tale andrebbe mantenuto e custodito. E’ di tutti perché la sua funzione è al servizio del Paese. […] un asset fondamentale su cui costruire la rinascita dell’Italia” (Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, da: Qui Touring 9/2013).
Questo autore si chiede inoltre, sulla stessa rivista: Come invogliare i giovani a tornare contadini? “[…] rendendo più facile l’accesso al credito e anche alla terra, creando centri formativi che si pongano un ritorno alla terra consapevole come obiettivo per la ricostruzione di un tessuto rurale del nostro paese […] in un momento di forte crisi l’agricoltura rappresenta una possibilità di costruire il proprio futuro”.
Serve prendere esempio dai nostri partner europei, virtuosi in queste cose, come la Francia (la France profonde, cara ai francesi), la Baviera in Germania, l’Olanda, che traggono i maggiori profitti dalle sovvenzioni comunitarie, proprio in virtù di un ruolo primario e forte che hanno nel settore.
Ma qualcosa sta cambiando in Italia. Diversi stanno tornando alla terra: “un filo che si è spezzato nell’immediato dopoguerra, quando l’Italia ha deciso che industrializzazione significasse abbandonare le campagne e dire addio alla cultura contadina. […] Secondo la Coldiretti l’agricoltura è l’unico settore in grado di creare occupazione in un periodo di crisi: +3,6% nel 2012 […] +26% di iscritti in Agraria. Una crescita che riguarda soprattutto i giovani, come sottolinea il presidente di Coldiretti, Sergio Marini” (ivi).
E’ ancora di alcuni giorni fa la notizia, resa in un servizio del TG2 delle 20,30 del 2/12/2014 scorso, in cui la Coldiretti dichiarava che sono stati creati 100 mila nuovi posti di lavoro (presumibilmente tra il 2013-2014), cioè più 4% rispetto all’anno precedente, la maggior parte giovani al disotto dei 35 anni. “[…] Chi guarda al futuro come i giovani sa che l’Italia sarà competitiva se tornerà a fare l’Italia, imboccando un nuovo modello di sviluppo. […] Progressivamente si fa strada l’idea che l’agricoltura non ha solo una funzione economica, ma anche sociale e ambientale di miglioramento della qualità della vita in termini di sicurezza, paesaggio, benessere” (da Qui Touring, 9/2013).
Questo ci rimanda alla cronaca inesorabile e luttuosa di ogni autunno, che vede intere comunità montane o dei territori a valle colpite da alluvioni e da frane, frutto di un insufficiente governo del territorio, di una sua mancata organizzazione, che rinviene in primis da un abbandono dell’attività agricola, da una edilizia incontrollata e non ultimo da una insufficiente manutenzione dei versanti; cause del dissesto idrogeologico dei nostri territori.
Lo spreco delle risorse e dell’energia
L’Argentina si è risollevata dalla grave crisi economica, che la colpì negli anni novanta, attraverso una sobrietà e una economia semplice: famiglie al completo, ad esempio, con mezzi rudimentali raccoglievano (e lo fanno sempre) cartoni per le strade e li vendevano alle ditte di recupero, i cosiddetti “cartoneros”, la cui rappresentanza è stata recentemente ospitata in Vaticano da papa Francesco. Oppure il lavoro si crea con l’esperienza dei raccoglitori di lattine a New York, “detti canners, da can, lattina; questi uomini e donne che si aggirano nei pressi di ristoranti e supermercati a recuperare quello che altri gettano […] tra il recupero e il riciclo (canning), è il mestiere che permette a circa cinquemila senza tetto di New York di sopravvivere” (da Jesus n. 12-2014) . Noi in Italia sprechiamo soldi ed energia, gettando via materiali che possono essere recuperati e riciclati. Quando l’Unione Europea ci chiede di rispettare i patti, cioè ridurre il debito pubblico, vuol dire, ad esempio, predisporre un Piano Energetico Nazionale per l’efficienza energetica, costituito dalla riduzione dell’intensità energetica, la dove non necessaria, e dei consumi in assoluto; come indicano le politiche che la Commissione Europea uscente ha messo a punto per la riduzione del 40% delle emissioni dei gas serra entro il 2030 (da Aggiornamenti Sociali, ottobre 2014, pagg. 651-652). Ciò significherebbe individuare gli sprechi nell’organizzazione della raccolta differenziata e del consumo energetico di tutti gli edifici e spazi pubblici; dei trasporti pubblici e privati.
Puntare ad una economia delle 3 R, del Risparmio, del Recupero, del Riciclo in maniera sistematica, prestabilendo un Piano di emergenza sociale e culturale, oltre che economico e ambientale, con una campagna informativa e formativa a “tamburo battente”, con tanto di pubblicità nelle televisioni e sulla stampa, nelle scuole, sui metrò, treni e autobus, significa arrestare un degrado e creare sviluppo; ridare speranza; significa far capire che è tempo di riscoprire, con inventiva, mestieri e attitudini andati in disuso dagli anni ’60 e che riguardano l’uso e consumo delle cose.
Combustibili fossili e rischio ambientale: improvvide decisioni sulla testa delle comunità locali
Se si fa questo, si evita di lasciarsi andare con leggerezza a decisioni che possono compromettere per sempre il nostro patrimonio ambientale costiero e marino, come fa il decreto del governo, cosiddetto Sblocca Italia, il quale prevede la concessione, da parte del governo italiano ad alcune compagnie multinazionali straniere, per l’estrazione di petrolio dai fondali dei mari di Puglia, Adriatico e Jonio.
Si può concordare con l’ex ministro per l’Ambiente, Edo Ronchi, che a tal proposito ha detto: “si può fare ma con le dovute precauzioni da parte delle imprese”.
Però, dato che per noi pugliesi, lucani e calabresi il mare è una risorsa fondamentale, e dato che l’estrazione comporta sempre uno sversamento di greggio, e in casi di incidenti i danni sarebbero ancora maggiori: sarebbe meglio non cominciare affatto. Il turismo balneare e non solo, è in continua crescita sulle nostre coste, ormai da più di un decennio, “fiore all’occhiello del turismo italiano”: sono sorti numerosi centri attrezzati e le infrastrutture si vanno finalmente adeguando e ammodernando. Sarebbe un disastro ambientale ed economico immane e inconcepibile, se si ripetesse da noi il guasto alle pompe di estrazione del Golfo del Messico di qualche anno fa, con le chiazze bituminose che si riversarono sulle coste sabbiose della Louisiana, distruggendo ogni forma di economia primaria e turistica.
Il ministro Federica Guidi non è del sud e vive al nord e, con tutto il rispetto, non può capire il legame naturale e vitale che lega le popolazioni del sud Italia al mare; non conosce, in quanto non le vive, le peculiarità dei nostri territori, del nostro clima, delle vocazioni turistiche di tutto ciò che la nostra terra produce e dell’arte e delle tradizioni che da questi prendono corpo. In questi casi, fare il ministro dello Sviluppo Economico, non è guardare soltanto al settore dell’industria o all’approvvigionamento energetico tradizionale, ma avere un quadro generale sotto gli occhi delle potenzialità tangibili e spesso dormienti che il territorio italiano possiede: una ricchezza inestimabile!
Il governo dovrebbe mettere ai primi posti della sua agenda quanto è stato trattato in questo articolo.
In aiuto a questi auspici arriva una esortazione, nonché alcuni criteri orientativi di Benedetto XVI, presenti nell’Enciclica Caritas in veritate, quando dice: “lo stile di vita della società odierna, in molte parti del mondo, è incline all’edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano. E’ necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita […] che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti”. Ma di tutto questo Renzi non ha parlato o se lo ha fatto, nel suo turbinante comunicare, non lo ha fatto a sufficienza. Eppure potrebbe essere la maniera giusta … per cambiare (davvero) verso all’Italia.
Antonio Conte
Coordinatore in Puglia di Agire Politicamente, associazione di cattolici democratici
6 Gennaio 2015 at 22:19
Santo cielo, gentile Antonio Conte, che per puntare a una economia del Risparmio, Recupero e Riciclo, oppure per auspicare un “nuovo modello di sviluppo”, sia necessario proporre come modello i cartoneros di Buenos Aires, mi sembra una barzelletta, peraltro molto triste.
Ho una figlia che vive a Buenos Aires da anni, e io stesso li ho visti: povera gente costretta a questo per mangiare, e che magari abita nelle villas, dove ai turisti è raccomandato caldamente di non entrare, e dove manca tutto. I cartoneros sono un segno della disperazione del terzo mondo, non il simbolo di un ipotetico nuovo modello di sviluppo romanticamente vagheggiato da noi abitanti del primo mondo, confortevolmente seduti nelle nostre poltrone e ignari di tutto. Quanto all’Argentina (peraltro oggi di nuovo in difficoltà), da quella crisi economica si è risollevata grazie ai suoi allevamenti di bestiame condotti su scala industriale coi quali può incassare valuta, non certo attraverso l’“economia semplice” di cui lei parla.
Veniamo alla sezione su “combustibili fossili e rischio ambientale”. Lei scrive, giustamente, che “l’agricoltura rappresenta una possibilità di costruire il proprio futuro”. Nella foto che correda il suo articolo si vedono filari di viti sullo sfondo di un bucolico e dolcissimo paesaggio… Lei pensa che quel terreno sarà stato preparato a mano, o da un aratro trainato da una coppia di cavalli? Ha presente quanto combustibile ci vuole per far muovere un trattore, e quante risorse ci vogliono per promuovere una “economia turistica” in grado di competere di fronte a Spagna, Grecia, Croazia, eccetera? E di fronte a tutto ciò, il tentativo di diminuire almeno di poco la nostra dipendenza energetica dall’estero non è ragionevole, soprattutto in un quadro che vede tra l’altro la dissoluzione della Libia, che forniva una frazione importante del nostro consumo energetico? Certo, “con le dovute precauzioni da parte delle imprese”, come dice giustamente Edo Ronchi. Dato che le tecnologie per ridurre il rischio esistono, un rifiuto a priori come quello che lei propone mi sembra quindi sbagliato, e, per inciso, le ricerche petrolifere le fanno già dall’altro lato dell’Adriatico.
E’ una contraddizione in termini auspicare che le “infrastrutture si vadano finalmente adeguando e ammodernando” – ponendosi quindi fino a prova contraria in una prospettiva di sviluppo anche industriale -, e contemporaneamente sostenere “meglio non cominciare affatto” in nome del “legame naturale e vitale … al mare”. E’ giusto chiedere alla modernità e alla tecnologia il massimo delle garanzie, ma farsi guidare solo dalle proprie paure non porta da nessuna parte.