Sommessi auspici per il Quirinale

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Non mi pare molto sensato inserirsi nel giochino delle previsioni per il prossimo presidente della Repubblica. In una fase quanto mai incerta e complessa, le cose dipendono da molte variabili che rischiano di essere fuori controllo (almeno credo) anche per gli osservatori più «interni» al sistema. Alcune riflessioni di quadro e alcuni auspici possono però forse aiutare a pensare questo momento in un’ampia ottica di democrazia discussa e condivisa.

Si discute molto sulla questione dell’«interventismo» del presidente della Repubblica. Al di là delle funzioni costituzionali, si dice, nella lunghissima e incompiuta transizione italiana la presidenza ha assunto un ruolo sconosciuto agli altri sistemi parlamentari democratici moderni. C’è chi lo ritiene un fatto positivo, soprattutto giudicando la capacità degli ultimi inquilini del colle di tenere in piedi il sistema di fronte a momenti difficili, e chi invece pensa che si tratti dell’ennesima anomalia italiana da superare, tornando a una figura più rigorosa nei compiti di arbitro e notaio delle istituzioni. E’ difficile sottovalutare il fatto che gli ultimi presidenti sono stati molto sollecitati ad allargare i loro margini di potere non tanto dalla mera instabilità politica (dal 1996 ad oggi le regole dell’alternanza hanno bene o male funzionato, pur con la vistosa eccezione delle ultime elezioni), quanto piuttosto dalla mancanza di consenso nel sistema politico sulle dimensioni fondamentali della convivenza democratica, del ruolo del paese nel mondo e della costituzione stessa. In questo senso la credibilità interna ed esterna che è stata costruita dall’istituzione presidenza è importante e costituisce un patrimonio da salvaguardare. Ci possono però essere modi diversi per esercitare questo delicato ruolo. Ad esempio, Giorgio Napolitano ha costituito un indubbio punto di riferimento per la stabilità delle istituzioni, ma ha anche allargato molto le occasioni in cui ha esercitato pressioni e forme di moral suasion sul sistema. Forse oggi è arrivato il tempo in cui non si debba cercare tanto una nuova figura di «re nella repubblica», ma un profilo di garanzia solida della democrazia e dei valori della costituzione.

In termini politici, comunque, l’onere della prova sta in prima battuta sul Pd. Non ci si può dimenticare che stiamo ripartendo dal disastro del 2013, dall’improvvida gestione della presentazione delle candidature e dal suicidio politico dei 101 voti mancanti a Prodi. Il Pd non può eleggersi da solo il proprio presidente, ma è ovvio che abbia un ruolo decisivo nell’indicare un candidato credibile attorno a cui si allarghi il consenso. Non è banale la direzione in cui cercare questo consenso: se ad esempio si rafforzassero i segnali che forse finalmente stanno venendo dal Movimento 5 stelle di una capacità maggiore di politicizzazione dei problemi, si potrebbe essere meno vincolati dal traballante patto con Berlusconi (che peraltro è sempre stato formalmente escluso che riguardasse anche il Quirinale). Ma prima di tutto il problema è che il partito ritrovi una credibile compattezza. Sia la maggioranza interna (che come è noto non coincide con una così ampia maggioranza tra i grandi elettori) che le varie minoranze dovrebbero comprendere che il paese non tollererebbe un ulteriore gioco di meschine divisioni interne, a discapito del funzionamento della democrazia. Naturalmente, data anche la non banale scelta del voto segreto da parte dei costituenti per questa elezione, occorre costruire questa convergenza in un libero dialogo tra coscienze adulte e responsabili (come ha suggerito efficacemente Michele Nicoletti), senza illusioni di scorciatoie e semplificazioni.

Su come gestire questo processo la responsabilità di Renzi è ovviamente centrale. Il segretario del Pd e presidente del Consiglio si è spinto a parlare di «un presidente per le riforme», che è ormai un mantra piuttosto generico, perché allude a una gamma di questioni che corre dai temi costituzionali a quelli più propriamente politici. Qualcuno naturalmente sospetta in questi discorsi che si prepari l’identikit di un presidente molto allineato con gli assetti di potere esistenti. Se si aggiunge a tale quadro il fatto che l’esecutivo dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) risultare sempre più rafforzato dall’approvazione della legge elettorale in discussione, questo configurerebbe una prospettiva politica piuttosto blindata. E forse proprio per questo rischiosamente precaria nel segreto delle urne. In tal senso, se è naturalmente ingenuo il ricorrente parlare di un presidente super partes, non guasterebbe un poco di distanza della candidatura che alla fine emergerà dalla cabina di regia dell’esecutivo, per poter gestire in prospettiva un feconda dialettica e anche qualche elemento di bilanciamento del sistema.

E così arriviamo al punto più delicato. Che è quello della credibilità drammaticamente bassa della classe dirigente politica nel nostro paese. Tema sempre aperto, e sottovalutato ampiamente da molti di coloro che vivono nel «palazzo». Va riconosciuto che Renzi, al contrario, ha mostrato molta sensibilità a queste dimensioni. L’antidoto che però egli è sembrato individuare a questa crisi è finora stato soprattutto l’investimento carismatico sul proprio attivismo riformatore. In questo caso, tale promessa non basta (non è qui il momento di discutere se in generale sia funzionale e sufficiente). L’elezione del presidente è decisiva in senso ben più ampio: si deve trovare una figura che rappresenti l’«unità nazionale», quindi qualcosa che dovrebbe andare ben oltre la classe politica. L’auspicio più importante è che si trovi il modo di eleggere un/una presidente che aggiunga a una statura politica autorevole, i tratti umani, la capacità personale e la credibilità per provare a ricucire il drammatico divario tra i cittadini sovrani e quelle che dovrebbero essere le loro istituzioni. Nella storia della Repubblica, ci riuscì in parte una figura anomala come Pertini, dopo la tragedia di Moro e le dimissioni di Leone. Può essere stato discutibile il modo, ma l’obiettivo fu avvicinato. Abbiamo le risorse per eleggere chi possa svolgere al meglio un ruolo analogo, in una situazione che forse è ancora più lacerata e pericolosa?

 

Guido Formigoni

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