Secondo le notizie di stampa si starebbe costituendo una componente (guai a chiamarla corrente!) catto-renziana nel PD. Come da copione, i promotori hanno smentito che si tratti di corrente e che la sua denominazione sia appropriata. Renzi ha osservato che auspica la produzione di idee e non di correnti. Chi ha qualche esperienza politica sa bene quanto sia sottile e incerto il confine tra correnti intese quale fisiologica espressione di posizioni politico-culturali e mero gioco di posizionamento, finalizzato a negoziare posti e candidature. Non solo. Il pensiero corre, per esempio, alle primarie-plebiscito del 2007 che investirono Veltroni, il quale, per “differenziare il prodotto”, si inventò cinque diverse liste a suo sostegno. Una palese finzione, a copertura di primarie non competitive. Ad autorizzare il sospetto del carattere artificioso e strumentale o quantomeno posticcio di tali operazioni stanno tre circostanze: la leadership forte di Renzi e la non plausibilità che tali iniziative possano fiorire senza il suo avallo; il processo di accelerato riposizionamento dentro i gruppi parlamentari del PD; l’attiva … impresa traslochi verso il PD da formazioni politiche posizionate alla sua destra e alla sua sinistra, traslochi palesemente incoraggiati dai vertici del partito allo scopo di avvalorare la teoria (controversa) del PD quale “partito della nazione” interclassista e inclusivo.
Nonostante questo, mi piace prendere sul serio la cosa e trarne spunto per una riflessione. Cioè interpretarla positivamente come un virtuale luogo/strumento di elaborazione e proposta politica e di declinare in positivo anche la denominazione giornalistica: non già una corrente cattolica entro il PD (in un partito laico, unitario e pluralistico, l’identità confessionale sarebbe il massimo della regressione), ma una componente che non disdegna di ispirarsi alla cultura/tradizione cattolico-democratica e cristiano-sociale. Di sicuro tra le culture costitutive del PD. Per alludere a tale ispirazione la stampa ha evocato alcuni padri nobili di quella tradizione: Moro, Dossetti, La Pira, Gorrieri, persino il nuovo capo dello Stato Mattarella, che certo a quella famiglia politica può essere ascritto.
Ripeto: non per spirito polemico o per pregiudiziale chiusura, ma, al contrario, per prendere sul serio l’iniziativa, merita interrogarsi sul rapporto tra il corso renziano e la lezione incorporata in quelle figure. Perché, per davvero, si avverte grande bisogno di dare al PD profondità, visione, ancoraggi ideali intestabili a un soggetto collettivo.
Dico subito che, a prima vista, l’impressione complessiva è quella di una distanza piuttosto che una consonanza tra quelle figure e la politica del PD renziano. O quantomeno al suo stile e ai suoi paradigmi. Distanza non solo ascrivibile alla radicale differenza di contesto e di profili soggettivi. Si pensi a Moro e alla sua maieutica, alla paziente ricerca del consenso e delle intese, dentro e fuori del suo partito (la cui unità fu valore e strumento essenziale al suo disegno), atte a fare evolvere la democrazia italiana senza produrre strappi. Oppure alla sua cura di auscultare la società e le sue rappresentanze. Si pensi a Dossetti, alla sua fedeltà creativa alla Costituzione, al suo culto per la democrazia parlamentare, alla sua diffidenza verso le derive leaderiste, alla sua polemica con lo stesso De Gasperi che investì sul primato del governo a discapito del protagonismo del partito. Si pensi al La Pira delle “attese della povera gente”, al fastidio sino all’irrisione nei suoi confronti da parte del “quarto partito”, la Confindustria capeggiata da Costa, nonché ai suoi aspri contrasti con la politica economica di stampo liberista di Einaudi e di Pella. Si pensi a Gorrieri, alla cui scuola mi dicono sia cresciuto il giovane Matteo Richetti, promotore dell’iniziativa catto-renziana. Come dimenticare le battaglie egualitarie di Ermanno sulle politiche sociali e familiari, spesso più audaci di quelle praticate dalla sinistra di matrice comunista? Infine, Mattarella. Egli non si ergerà a contropotere del premier e del governo (chi ci fa conto se lo scordi) ma di sicuro vigilerà sul rispetto della Costituzione e sulla divisione dei poteri. Sui delicati equilibri di cui si nutre il moderno costituzionalismo liberale e democratico. Senza trascinarlo nella contesa tra le parti, tuttavia è innegabile che la sua storia politica ne fa un convinto parlamentarista. Un conservatore, lo bollerebbero coloro che, impropriamente, applicano la polarità conservatori-innovatori alla materia costituzionale. Come se conservare ispirazione, principi e impianto della Carta fosse sentimento e proposito retrò.
Non voglio essere frainteso: forse si può argomentare la coerenza del corso renziano con quell’alto patrimonio. Non lo escludo. Solo mi sento di sostenere che, chi legittimamente e persino utilmente si candida a riprendere creativamente quella ispirazione, debba misurarsi con l’interrogativo di una comparazione per nulla pacifica e pacificante. Misurandosi davvero a fondo con quello scarto, vero o apparente che sia. Questo sì sarebbe un servizio reso al PD, a Renzi, alla qualità della politica. La quale, spero se ne convenga, un po’ difetta di coerenza e profondità. Vogliamo discuterne, fuori da anguste logiche di posizionamento?
Franco Monaco
28 Febbraio 2015 at 13:16
trovo questo intervento particolarmente invitante, perchè apre (finalmente!) su un orizzonte che è di confronto di idee e di prospettiva a lungo termine: un orizzonte, appunto! non che le discussioni su azioni a breve e relative maggioranze di sostegno non siano importanti: ma manca da troppo tempo la politica del lungo periodo, dei progetti di trasformazione della società e della conseguente (questo poi è un buco nero!) necessità di formazione, intesa proprio come insieme di programmi e strumenti volti ad alimentare la cultura diffusa e non solo di pochi quadri destinati alla “carriera” di politico (sempre che, almeno per costoro, esistano programmi e sedi di formazione non solo nel dopolavoro e nel codazzo del leader di turno); da questa assenza in buona parte deriva l’inevitabile pessima conseguenza che ogni possibilità di riconoscimento avvenga solo sulla riferibilità a una corrente, quindi a un capo; mi attacco alla speranza dell’ultimo capoverso, perchè l’interrogativo che lo conclude è , al tempo stesso, un invito a proporre un lavoro permanente e un accenno di speranza
1 Marzo 2015 at 22:40
Siamo in un periodo in cui l’informazione non brilla per chiarezza. Non che lo sia mai stata e che non ci sia bisogno di confronti tra testate diverse; ma non c’è nessuna ragione per andare dietro a chi fa mobbing nei confronti di gente come noi per favorire ulteriori divisioni, frammentazioni e frazionismi. A meno che non esista un postulato per cui “la sinistra non deve mai governare”.
Giancarla Codrignani
1 Marzo 2015 at 22:45
Sono nato nel 1940, e fino alla pensione ho seguito piuttosto superficialmente la politica sul “Corriere della Sera”. Penso di non essere il solo ad essermi reso conto solo in vecchiaia che la classe politica che si è ritrovata al governo e in parlamento nel dopoguerra non era “normale”, in quanto era stata “selezionata” dalla disfatta del fascismo. Un po’ alla volta, la classe politica è diventata – come è logico – lo specchio del paese. Qualcuno ha detto che il 10% dei politici sono meglio della media dei cittadini, il 10% peggio, l’80% nella media. Non è che oggi non si possano trovare personaggi che non sfigurino troppo in confronto ai padri nobili: ma come potrebbero arrivare a posti di responsabilità nei partiti e nelle istituzioni? E quale consenso avrebbe oggi un Moro nell’elettorato?
Oggi la questione pratica non è se Renzi sia lontano dalla nobile tradizione, quanto il fatto che è l’unico in grado di raccogliere un consenso che non ci faccia governare dai Berlusconi, o dai Grillo o dai Salvini.
D’altra parte, oggi le questioni di fondo a livello mondiale (salvaguardia dell’ambiente, dominio della finanza speculativa sulla politica) non sono alla portata nemmeno del più illuminato dei governanti a livello nazionale. L’unica speranza (per quanto flebile) è una maturazione civile diffusa, un cambiamento culturale profondo che porti al cambiamento nei comportamenti delle persone: che sarebbe anche la necessaria premessa per avere governanti più validi.
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2 Marzo 2015 at 07:50
Non so che credibilità dare alla notizia di stampa che nel PD stia prendendo forma una corrente, o come dice Franco Monaco, una componente, catto-renziana e non so se il fatto che una parte importante di parlamentari non abbia partecipato alla riunione dei gruppi del PD con Renzi possa definirsi come espressione di una “corrente” interna al PD. Se però tutto ciò fosse la premessa per presenze organizzate all’interno del PD, e come tali riconosciute, sarebbe sicuramente un fatto positivo. L’aspetto negativo, almeno per quella catto-renziana, sta nella sua personalizzazione che esula, per storia ed esperienza personale, dalla mia concezione della politica. Vorrei però, prescindendo dalle denominazioni, richiamare l’attenzione sulla necessità inderogabile per il PD di affrontare e chiarire i molti temi che Bersani (cito lui per la ragione che li ha indicati) ha elencato nell’intervista del 27 febbraio scorso ad Avvenire e che mettono in discussione e hanno a che fare con le regole del sistema democratico quali si stanno definendo con la riforma della Costituzione e della legge elettorale per non parlare del Job Act. Mi chiedo, da cattolico impegnato da sempre nel sociale, dove sono, cosa dicono e cosa fanno i parlamentari cattolici del PD. Forse mi è sfuggito qualche passaggio, ma mi pare che il loro silenzio sia assoluto, eppure i temi in discussione non sono affatto marginali toccando le regole della democrazia, del vivere e del convivere e loro sono eredi di una grande tradizione che ha fatto la storia di questo Paese. Devo con amarezza constatare che sono saliti tutti sul carro del vincitore?
2 Marzo 2015 at 13:46
Ma questi cattorenziani che hanno a che fare col cattolicesimo democratico?
Diciamolo fuori dai denti: il rifarsi a Renzi significa accettare un populismo di serie B, un’insofferenza nei confronti dei corpi intermedi, uno strabismo verso destra, una personalizzazione della politica, una concezione del partito che nulla hanno a che fare col cattolicesimo popolare di cui parla Monaco.
Per non parlare poi della laicità, cioè della poca laicità.
Insomma una manovra interna alla bottega del nuovo potere.
2 Marzo 2015 at 15:15
sul jobs act qui le contro-obiezioni di chi, non da oggi, lo condivide
http://www.pietroichino.it/?p=34825
idem per la riforma elettorale, anche rispetto alla costituzionalità:
http://www.disp.uniroma1.it/system/files/files/elezioniaggiornato.pdf
3 Marzo 2015 at 11:17
Riflettendo sulla questione della produzione di idee fondanti nel PD necessarie più che della nascita di correnti proposte nell’articolo di Monaco penso che sia arrivato veramente il momento di dare un giusto significato alle parole che si usano in questi dibattiti. “Cattolicesimo democratico”: che cos’è oggi (vedi Papa Francesco!) un cattolicesimo se non è democratico? Perchè dare questa etichetta solo ad alcuni del PD? “Bene comune” Senza scomodare De Gasperi e Dossetti sarebbe utile rielaborare oggi il vero significato di queste due parole : ci stanno dentro mi sembra una comparazione per nulla pacifica come scrive Monaco con la realtà politica che richiede convinzioni profonde e non facile impegno quotidiano sia nel campo delle riforme che in quello costituzionale. “Consenso politico” : Siamo sicuri che dopo tante delusioni su atteggiamenti, equivoci e compromessi, non sia possibile educarci ad assumere una coerenza con le idee fondanti di tutte le sinistre? E che questo, oggi, non porti anche consenso?
La destra abbiamo visto cos’è con chiarezza alla manifestazione di Salvini. E la sinistra cos’è davvero?
5 Marzo 2015 at 17:49
Ritengo che l’iniziativa sia di massimo rispetto se riesce a rivitalizzare principi e obiettivi che oggi sembrano più “parlati” che “agiti”, mi riferisco alla coerenza e profondità che oggi sembra un po’ latitare, al valore della democrazia vera e al ruolo delle rappresentanze riconosciute e significative, alle politiche familiari e sociali, alla tutela reale dei più deboli, ai valori etici e cattolici, guida essenziale per una società equilibrata e rispettosa di tutti.
30 Marzo 2015 at 21:37
Direi che se commisurati a tali benchmark tutti i cattolici in parlamento dovrebbero umilmente farsi da parte…Ma davvero vince chi alza il livello delle primogeniture e autocertifica il proprio pedigree?
Sono d’accordo con uun commento precedente: dai loro frutti li riconoscerete. Ed i frutti sono i risultati fattuali, empirici delle scelte implementate, non declamate. Quindi a debita distanza per esempio si giudicherà Renzi da quali effetti avrà il Job act sulla occupazione giovanile.
Qualcuno oggi assomiglia a Dossetti più di Renzi? O a De Gasperi? E se fra di loro si assomigliavano poco occorre ipotizzare adeguati mutanti che emulino di volta in volta dell’uno e dell’altro gli aspetti più antirenziani?
Una cosa apprezzo di Renzi: non nobilita le sue strategie di potere e di governo con l’enunciazione di principi che vadano al di là degli usuali slogan di conio mondano. Non si presenta come un cavaliere della fede.
Se si formasse una corrente, come pare non sia, di fedeli di Del Rio, non sarebbe comunque la prima ad attingere alla potenza evocativa del l’esperienza del cattolicesimo democratico, e forse neppure l’ultima. Quello che si può sperare è che l’elevatezza dei principi ispiratori non appaghi, sublimi e compensi più bassi istinti. I politici santi sono eccezionali come i cigni neri. I peccatori, quelli che formano tutte le correnti, ma disdegnano come tutti il correntismo, possono volare un poco più basso dei santi. Ma se fanno politica non possono essere esonerati dal rispondere del modo in cui sono riuciti a cambiare in meglio, almeno un poco, le cose.