Tratto dalla “Lettera di gennaio 2012 – Il nostro ‘58”
di Luigi Pedrazzi
Nel 2008, quando tra agosto e settembre, con Grazia Villa, Vincenzo Passerini, Nicola Apano e molti altri amici da tanti anni con pensieri assai convergenti su esperienze di fede e su analisi delle situazioni italiane, decidemmo di promuovere col “Nostro 58” una “festa” roncalliana e di attenzione personale al significato storico del grande concilio Vaticano II, inviammo a circa 100 amici sparsi qua e là in Italia una proposta e un cd (o una fotocopia del testo) di un discorso di Giuseppe Dossetti su Roncalli e il Concilio. A noi pareva una informazione sintetica e una valutazione profonda e giusta del personaggio Papa Giovanni e della sua opera di Pontefice e dottore straordinario nell’Età Moderna; l’assumemmo come una presentazione più autorevole per i nostri obiettivi sul tema. Il suo svolgimento si è poi concretato, nel giro di pochi mesi, nell’impegno di scrivere e leggere quanto ci saremmo scritti sull’argomento, al fine di crescere nella “festa” che Roncalli aveva portato nella nostra vita di cristiani, arricchendo e un po’ correggendo anche le nostre culture personali, insieme all’opera grande avviata nella Chiesa, per tutti e con tutti: se la vogliamo e l’accogliamo, avendola capita giusta e gioiosa. Arrivati anche noi, ripercorrendo la “preparazione conciliare”, all’inizio dell’ultimo anno che la conclude, e già si vede in arrivo la ricorrenza che celebrerà il mezzo secolo dall’apertura dell’evento conciliare, ci sembrano maturi da leggere e del tutto attuali da valorizzare, tre criteri della interpretazione formulata da Dossetti, parlando agli amici di Bologna, già nel 1966, a solo un anno dalla conclusione del Concilio.
Oggi li troviamo esposti nella lunga relazione “Per una valutazione globale del magistero del Vaticano II”, che il grande italiano cattolico pubblicò col Mulino solo più tardi, nell’anno 1996, ormai 31 anni dopo la conclusione del Concilio. Uno dei tre “criteri” lo citiamo dalle prime pagine, gli altri due dalle ultime, verso la fine della lunghissima sua riflessione (durata quasi quattro giorni dal 5 all’8 ottobre del 1966 al mitico istituto per le Scienze religiose di Via san Vitale 114, Bologna).
Qui trascuro le argomentazioni centrali che si distendono per 75 pagine a stampa, ancora oggi illuminanti i punti che Dossetti giudicò “i più rilevanti” di quell’evento indubbiamente grande, e complesso pur nella sua straordinaria unità, essenziale e potentemente correttiva, potenzialmente riformatrice in misura e qualità da riconoscere teologicamente “epocale” (anche se a lungo se ne può misconoscere proprio questa energia).
Cito uno dopo l’altro i tre “criteri”, solo un po’ snelliti là dove sono inseriti puntini di sospensione…. In fine, cercherò brevemente di dirvi in che senso queste citazioni di “criteriologia conciliare” di Dossetti a me paiono importanti e molto significative, specie se riusciamo a vederle connesse e legate anche alla cose più grosse incontrate e vissute da Dossetti nei sui anni in compagnia di fascismo, guerra e politica: mentre la fede in Cristo era sale e lievito della sua vita, così aperta e capace di responsabilità, o coscienza del fine. Teologicamente, si può anche dire “escatologia”: è una linea, certo non di massa nella società contemporanea, ma capace di sprigionare qualità di comportamenti risananti insufficienze e abusi in atto nel poverissimo “spazio pubblico” e relative “formazioni antropologiche”.
Criterio UNO Dossetti, “Il Vaticano II”, pp. 23-25
E’ mia intenzione procedere, a meno di un anno dalla chiusura del Concilio, a un bilancio molto provvisorio che, se non profondo, vorrebbe almeno offrire una certa completezza, quanto ai punti che a me sono sembrati rilevanti. Completezza però estremamente inadeguata rispetto a quelli che io presumo essere i punti forza del Concilio, le sue virtualità profonde…. La mia relazione sarà incompleta, soprattutto in ordine ai suoi aspetti più positivi, sia perché umanamente non è facile per un’opera così vasta e a così breve distanza fare veramente un inventario adeguato dell’attivo, sia per una ragione molto più profonda: sono convinto, convintissimo, che le virtualità profonde del Concilio si esplicheranno sotto l’azione dello Spirito in modi che sono del tutto imprevedibili….
A ciascuno, in proporzione della grazia che Dio vuole dispensarci, sarà dato di vedere questo o quell’elemento delle linee di forza del Concilio….Secondo i carismi di ciascuna anima vi saranno modi diversi di discernere tali cose e il carisma della comunità sarà proprio la capacità di assumere, unificandoli in una visione più completa, i singoli veri, ricchi ma parziali modi di discernere… Soltanto a tutti insieme sarà possibile, nell’attualità concreta della comunità cristiana, individuare altre parti di questo inventario.
Questa premessa è importante anche per un’altra ragione…. Accettata, essa consente di capire come, nonostante le osservazioni critiche che verranno sviluppate, tuttavia rimanga un profondo, energico ottimismo nei confronti del Concilio…E’ bello e importante riconoscere le operazioni meravigliose dello Spirito, non è inutile (però) sapere quello che le formule elaborate dagli uomini vogliono davvero significare per non correre l’alea di ritenere dette cose che non lo sono, o risolti problemi ancora aperti. E’ vero che lo Spirito opera malgrado ogni equivoco o ogni mancanza di chiarezza umana, ma è altrettanto vero che noi siamo tenuti a far di tutto per eliminare ogni “malgrado”.
Criterio DUE Dossetti, “Il Vaticano II”, p.100
Per concludere si può dire che certamente tutte le linee dinamiche di movimento che abbiamo considerato precedentemente esistono e sono ricchissime. Operative vi sua. Anche le critiche espresse su certi punti non denunciavano delle impossibilità, ma semmai volevano indicare la linea in cui ricercare le possibilità più grandi di quelle immediatamente emergenti dai testi conciliari. Ma bisogna ancora aggiungere che alla fine c’è un modo attraverso il quale si rivela il cristianesimo nella storia e nel mondo; questo modo è quello adottato da Cristo e narrato nel capitolo II dell’epistola ai Filippesi; nell’inno cristologico di quel testo ci sono mille strade attraverso le quali la Chiesa può tentare di rendere il suo servizio al mondo ed essere presente nella storia, ma queste mille strade devono finire inevitabilmente sempre in quel modo con cui si è rivelato il Cristo, cioè il crocifisso, l’obbedienza, la purezza, la povertà, la pace, nell’amore del padre. Quindi, per poter giudicare veramente tutto ed avere degli orientamenti, bisogna arrivare a sintetizzare quello che si è detto analizzando i singoli documenti, in ordine a queste categorie supreme, che sono le categorie cristologiche per eccellenza. Sono quelle categorie nelle quali, in un certo senso, la via della ragione e del mondo diverge dalla via di Cristo, perchè non sarà mai possibile rendere ragionevole la crocifissione, come non potrà mai essere ragionevole la povertà, o un certo tipo di castità e obbedienza.
Sappiamo che il Concilio deve aiutare i cristiani a fare la critica delle incarnazioni sbagliate di questi trascendentali cristiani; quindi deve aiutare a criticare una castità che è tutt’altro che perfetta, una obbedienza che magari non è cristiana, non è sovrannaturale, perchè puramente umana, adulatoria, conformistica; deve aiutare a fare la critica della povertà, come è realizzata normalmente, soprattutto nella vita religiosa. Tutto questo deve avvenire, ma non può cambiare i contenuti, che non possono essere altro che la crocifissione, la povertà, la castità, l’obbedienza, e non solo per qualcheduno, ma per tutti i cristiani, nell’ordine proprio, nella misura che la provvidenza segna per ciascuno di essi.
Criterio TRE Dossetti, “Il Vaticano II”, pp.101-102
Alla fine il discorso si riduce a una domanda: questi documenti, queste pagine meravigliose di teologia e di rinnovamento istituzionale, specialmente negli aspetti più positivi, aiuteranno i cristiani, laici, clero, diaconi, vescovi, preti, religiosi ad essere più fedeli a questi dati o no? Ad un certo momento millecinquecento pagine di testi possono essere un po’ troppe se ci confondono in qualche intuizione cristiana fondamentale, in qualche approccio immediato sotto l’impulso della grazia….perciò, se è giusto sempre più immergersi in questi testi, bisogna anche assimilarli con una più profonda dipendenza dalla Parola di Dio ascoltata immediatamente, che porta a quella riflessione personale, la quale diventa anche, inevitabilmente, teologia: una teologia che non si articola estensivamente in una serie di anelli e di sistemi, ma che però intuisce nella forza dello Spirito Santo, nella grazia del Signore, le realtà e i giudizi fondamentali da dare sui comportamenti nostri, di coloro che ci sono vicini, e addirittura sui comportamenti globali dell’umanità nel nostro tempo.
Io credo che solo a questo patto noi possiamo fare nostro lo spirito profetico con cui papa Giovanni condannava nel discorso di apertura del concilio i profeti di sventura. In quel discorso e in quella citazione noi troviamo un esempio di quel lucido ottimismo che conserva poi alla fine e alla base di tutto quella lucidità fondamentale, suprema ed evangelica, che è la sola che autorizza veramente l’ottimismo. Papa Giovanni poteva dire quello che ha detto nel discorso di apertura del Concilio e arrestare, bloccare i profeti di sventura, perchè Egli nella realtà delle cose si muoveva con questo tipo di lucidità, e intuiva le situazioni in questa semplicità e libertà evangelica, di cui, anche dopo le mille e più pagine di testi conciliari, noi non possiamo fare a meno, perchè sono quelle che fermentano tutto il resto e ne pongono il fondamento. Leggiamo dunque insieme… “Nel presente momento storico, la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani che, per opera degli uomini e per lo più al di là della loro stessa aspettativa, si volgono verso il compimento di disegni superiori e inattesi, e tutto, anche le umane avversità, dispone per il maggior bene della Chiesa”
Ecco un breve commento per punti della “criteriologia dossettiana”
Sul criterio UNO
1. A un solo anno di distanza dalla chiusura del Concilio, Dossetti parla per quattro giorni, con notevole competenza e lucidità, di un “bilancio” che cerca di essere completo sui punti che a lui “paiono rilevanti”. E’ una performance che gli è possibile per una preparazione remota “specifica” di storia e teologia della Chiesa e del ruolo che in esse gioca il magistero conciliare; e per l’appassionata partecipazione che vi ha recato con fede gioiosa e tuttavia sempre vigile e critica. Proviamoci anche noi, mettendoci almeno un po’ di “fede gioiosa”.
2. E tuttavia avverte l’inevitabile incompletezza del suo bilancio. Occorrerà più tempo perchè si possano esprimere i carismi di discernimento, e diventino possibili approfondimenti e confronti. Un inventario più adeguato sarà possibile solo “tutti insieme” “nell’attualità concreta della comunità cristiana”. Invece di accusarci con troppa facilità, confrontiamoci amichevolmente con rispetto reciproco: chi si interessa del Concilio, in fondo, è un amico, quasi qualunque cosa dica, a favore della sua “continuità con la Tradizione”, o “speranza e volontà di riforma purificatrice”.
3. Un profondo ottimismo circa il Concilio in lui resta anche se fa osservazioni critiche. Queste si riferiscono alle espressioni umane che possono sciupare un po’ le meravigliose operazioni dello Spirito. Ma esse sopravvivono malgrado ogni frenata o equivoco. Ma facciamo di tutto per eliminare ogni “malgrado”. Personalmente il massimo di gioia conciliare lo sento confrontando i risultati finali dei 16 documenti con la confusione e il grigio ripetitivo degli schemi preparati (più di 70). Per fortuna sono finiti in fumo nelle votazioni largamente maggioritarie dei Padri conciliari tra 1962 e 1965. Ma ripercorrendo ora quella preparazione laboriosa e amata dai suoi autori, prende forza la gratitudine per le scelte maturate tra i Padri, soprattutto per il “dottore” mitissimo e fidente che ha fatto nascere quella grande, costruttiva esperienza di collegialità ecclesiale e di fede trinitaria. Raccogliamone i frutti originali, con amore reciproco e per tutti: da questo conosceranno che siamo suoi discepoli.
Sul criterio DUE
4. Le linee dinamiche del concilio esistono e sono ricchissime. E ciascuna è operativa vi sua. Servirla, ci riempie di gioia e sostiene e qualifica anche le nostre piccole forze. Dubbiosi, possiamo lasciarle tutte inerti, ma lentamente, mentre esse continuano a vivere, la nostra fermata ci colloca ai margini dei processi storici reali. Si è visto nei primi 50 anni e si può continuare a vederlo. Riflettiamo sui fatti e con prudenza coraggiosa proviamo a sperimentare le indicazioni più essenziali del Concilio. Non tanto predicarle ad altri, ma praticarle noi.
5. Quanta verità da riconoscere e quante conseguenze da trarre dalla “massima” così semplicemente enunciata: non sarà mai possibile rendere ragionevole la crocifissione, la povertà, o un certo tipo di castità e di obbedienza. Il cattolico conciliare forse si vede dalla coerenza con cui pratica questa convinzione.
6. I “trascendentali” cristiani non possono essere cambiati. Per questo il Concilio è una grande forza della continuità, ma –pure – è una grande richiesta di approfondimento e riforma. La predicazione è importante, ma ciascun cristiano deve sapere che la pratica è decisiva e ancora più lo è la sua sgradevole incoerenza
Sul criterio TRE
7. I testi meravigliosi del Concilio vanno studiati, ma essi aiutano la buona pratica solo se assimilati con una più profonda dipendenza dalla parola di Dio ascoltata nella quotidianità e nell’immediatezza. Il Concilio ha riproposto e riabilitato la lettura abbondante e continua della Scrittura. In presenza di questa pratica, se non a posto siamo a un buon punto: ma un po’ di motivazioni come le espone e fa conoscere il Concilio aiutano a rendere abitudinario questo comportamento. La teologia che ci garantisce di più unifica le “norme conciliari convincenti e non minacciose” e una “pratica vissuta con costanza nella propria quotidianità”.
8. Non si può restare ottimisti, come fu papa Giovanni, se non si vede il bene che resiste al male. Per questo una propria resistenza (specie se la si sente condivisa da qualcuno) ci aiuta moltissimo a restare fiduciosi e sereni: non è vincere che serve a questo scopo, ma basta molto anche solo resistere. Pensare ciò che si fa e fare ciò che si pensa è un grande aiuto per restare abbastanza ottimisti. La santità e l’unità della persona erano in papa Giovanni una grande forza.
9. Senza percepire una centralità della figura storica di Papa Roncalli è difficile capire, amare e usare il Concilio Vaticano II. Anche per lui, la sua formazione di storia della Chiesa contò moltissimo: il catechismo da bambino e da sacerdote lo ricevette buonissimo, ma la sua formazione personale di studioso fu soprattutto storica. Anche la vita in Bulgaria e Turchia gli fece conoscere da vicino (non solo da libri) una storia difficile e dolorosa. A nostra volta, se non capiamo, non amiamo, non usiamo la lezione conciliare, a livello culturale resteremo preconciliari, col rischio di diventare, nel giro di qualche decennio, degli analfabeti e dei messi al margine della storia, della sua evoluzione e dei suoi problemi. Nella formazione laica non si può più non saper leggere, scrivere e far di conto: dall’800 è così, come ora bisogna un po’ frequentare internet e l’elettronica per essere uomini del nostro tempo… Così dosi di Roncalli-capito (ed amato) e Vaticano II conosciuto (e praticato) sono l’ABC della formazione cristiana contemporanea. E qualcuno potrà anche andare oltre l’ABC, e sarà utilissimo: ma è sulla base di una ABC di massa che si possono avere protagonisti che possano andare oltre, fino a portarci da un Vaticano II (non credo a un Vaticano III, ma, forse) a un Gerusalemme 2: perchè, come ci ha spiegato bene a Oliveto un bravissimo Giovanni Paolo Tasini (sulle orme di Dossetti), il giusto rapporto Cristo-Israele ci vuole per vivere nel mondo senza più realtà e pericoli di Impero. E senza illusioni di riprese e apprezzamenti di “cristianità”.
In conclusione, davvero una forte centralità della lezione storica complessiva di Giuseppe Dossetti (repubblica e chiesa, mondo e pace, attualità ed escatologia) dà conto della sua notevole “lunga durata” e del realismo dei suoi giudizi e attualità delle sue iniziative, sparpagliate e attraenti per quattro o cinque generazioni di cittadini partecipanti e di fedeli esigenti, riflessivi e oranti (un po’ più della media).
Forse nella Repubblica e nella Chiesa arrivano tempi non per mitizzare Dossetti ma per conoscerne meglio pensieri e iniziative, di notevole originalità, ampiezza di vedute e lunghi tempi di una presenza di fatto molto intensa in fasi e luoghi diversi.