In “Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana”, 11 febbraio 2012.
Ha avuto vasta eco la visita del presidente del Consiglio italiano Mario Monti negli Stati Uniti dove ha ottenuto la fiducia del presidente Obama. Ieri il premier italiano ha incontrato a Wall Street gli investitori americani. Penso di averli convinti a puntare di nuovo sull’Italia, c’è molto interesse per il nostro Paese, dice in sintesi Monti. Per un commento sul valore di questa visita negli Usa, Debora Donnini ha sentito il prof. Stefano Zamagni, docente di economia all’Università di Bologna:
R. – L’importanza è notevole e il successo pure è notevole, quasi inaspettato. Quindi nulla da dire sull’operazione in sé, che è servita e che servirà ancora più nel prossimo futuro a portarci fuori dalle secche. Al tempo stesso, però, una riflessione pacata e responsabile di quanto sta avvenendo ed è avvenuto ieri e ieri l’altro negli Stati Uniti deve obbligarci a due considerazioni, che rappresentano altrettanti rischi se prontamente non vengono fronteggiati con altre misure. Il primo rischio è quello della cosiddetta depoliticizzazione: cioè a dire che si diffonde il convincimento tra gli italiani, secondo cui è meglio avere governi tecnici formati da persone oneste ed esperte piuttosto che governi che sono il risultato di una competizione politica ad opera dei partiti. Perché questo è pericoloso? Perché un atteggiamento del genere porterebbe alla graduale “eutanasia” della democrazia. Il secondo rischio da cui dobbiamo guardarci, e che per certi aspetti è ancora più insidioso, è che si diffonda – anche qui – l’idea seconda la quale l’agenda politica viene definita dai mercati: i mercati lo vogliono, i mercati lo esigono… Questo è molto grave! Perché la politica deve andare a rimorchio dell’economia e in particolare della finanza? Il giorno in cui questo atteggiamento diventasse la norma – ora non siamo nella norma, perché siamo in una situazione emergenziale – quale sarebbe l’implicazione? Quella che è descritta molto bene nella “Caritas in veritate” di Benedetto XVI e cioè la perdita della libertà. L’economia deve essere, insieme ad altri fattori, al servizio del bene comune: ma il momento della sintesi lo deve fare la politica, con la “P” maiuscola, come già Tommaso Moro ci ricordava. La finanza non è per sua natura democratica: perché la finanzia internazionale è guidata da otto grandi banche d’affari. Qui bisogna riconsiderare che cos’è il mercato. Il mercato vive con la concorrenza, ma se abbiamo otto banche che guidano la danza a livello mondiale, dov’è la concorrenza? Sono quelle otto banche che hanno oggi un potere smisurato…
D. – Monti, secondo lei, con questa visita negli Stati Uniti e con questo incontro con il mondo della finanzia, è riuscito a convincere sull’Italia: questo porterà dei giovamenti anche pratici nella famosa questione dello spread, dei tassi di interesse?
R. – La mia risposta è sì, ma questi vantaggi – non dobbiamo illuderci – saranno vantaggi di breve termine se le due condizioni di cui ho detto prima non saranno soddisfatte, perché quando fra un anno e pochi mesi andremo alle elezioni e non sarà cambiato il modo di fare politica è chiaro che gli stessi mercati e le stesse agenzie internazionali, come oggi hanno riaperto il rubinetto della fiducia, saranno pronti a richiuderlo: potrebbero avere una altra ragione per non fidarsi più degli italiani. Quindi sicuramente nella prospettiva del breve termine, cioè del prossimo anno, l’effetto è positivo e questo perché la credibilità di Monti è valsa ad ottenere all’Italia la fiducia: la fiducia deriva dalla credibilità delle persone. Ci vuole la società civile in questo momento in Italia ed ecco perché il movimento cattolico dovrebbe darsi molto più da fare di quanto stia facendo, perché non è tanto il problema di fare un nuovo partito, ma è quello di diffondere un approccio culturale – in primo luogo – e sociale che vada contro la cosiddetta “private politics”, cioè quel modo di concepire la politica che la riduce a poche oligarchie che decidono per gli altri.