Il coraggio normale e silenzioso come virtù civile

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Umberto Ambrosoli

“Coraggio”

Il Mulino 2015, pp.112

 

di Martino Liva

 

Forse qualcuno ricorderà quando alcuni anni fa (era il 30 ottobre 2009) venne pubblicato su internet un video-choc relativo ad un´esecuzione di camorra avvenuta nell’estate dello stesso anno. Sangue versato davanti ai passanti in un bar dei vicoli della Napoli antica, rione dei Vergini alla Sanità.

Immediatamente dopo (Corriere della Sera, 1 novembre 2009), Umberto Ambrosoli commentava l’episodio straziante riflettendo sul fatto che «se quei cittadini che oggi hanno paura non prenderanno coraggio, le loro (e non solo) prospettive sono nefaste: sono destinati a divenire semplicemente un insieme di persone che abitano un territorio, non saranno mai più neanche una collettività». Umberto Ambrosoli è cresciuto avendo davanti agli occhi una storia di coraggio. Quella del padre, Giorgio, liquidatore della Banca Privata Finanziaria di Michele Sindona, assassinato sotto la sua casa milanese la sera dell’11 luglio 1979, per aver saputo dire alcuni no ed aver preferito agire nell’interesse di molti rispetto a quello di pochi. Umberto, ora, ha provato a declinare la parola che ha contraddistinto la vita del padre (ed anche la sua) nelle 112 pagine del libro Coraggio, edito dal Mulino, per la collana «Parole controtempo». Un coraggio che Ambrosoli ha scelto di raccontare non attraverso categorie astratte ma mediante storie concrete, spesso sconosciute ai più, di certo affascinanti.

 

Storie che Ambrosoli ha articolato nella loro manifestazione nei mestieri (il coraggio degli imprenditori e nella libera professione) e nel ruolo istituzionale. Storie vissute spesso lontano dal clamori e dai riflettori, ma per questo, forse, ancor più meritevoli di essere raccontate.

Come quella di Liberato Passarelli, Presidente dell’Ordine dei Commercialisti di Castrovillari, e Costanzo Iorio entrambi uccisi (il primo nel 2009 nel suo studio, ed il secondo nel 2008, a Foggia) a causa del loro ruolo di curatori in due diverse procedure fallimentari. Oppure quella dell’avvocato penalista catanese Stefano Famà, caduto sotto i colpi della mafia perché reo di aver consigliato il giusto comportamento processuale ad una sua assistita.

 

Insomma, Ambrosoli declina il coraggio come una virtù civile, che non si sostanzia in gesti eroici o rivoluzionari, ma più semplicemente in un modo di vivere, che passa attraverso piccole azioni ed un codice di comportamenti possibili. Il coraggio, inoltre, come moto d’animo in grado di tenere alti, per dirla con il titolo di un bel libro di Claudio Magris, i «livelli di guardia» contro tutte le degenerazioni possibili della vita sociale: il disprezzo per la cultura, la caduta della politica, la degenerazione dei rapporti civili, il populismo strisciante e l’illegalità diffusa. Il coraggio, infine, quale solido antidoto contro la paura, a cominciare da quella della solitudine. Già, perché spesso, non solo in Italia, chi è in grado di compiere gesti coraggiosi si trova tutto d’un tratto solo. Basti pensare, ad esempio, alla vicenda di don Pino Puglisi, il «rompiscatole» (ipse dixit) che imperversava per il quartiere palermitano di Brancaccio, il quale diceva ai suoi ragazzi: «temiamo la sofferenza, la malattia, la povertà, la miseria, però potremmo dire che la sofferenza più grande è quella di essere soli». Era solo, il 15 settembre del 1993, la sera del suo 56° compleanno quando venne ucciso da Cosa Nostra perché credeva nel valore dell’istruzione, della convivenza fondata sulle regole, della libertà di coscienza.

 

Le storie di Umberto, quindi, più che raccontare di una parola in disuso, forse, fanno riflettere sul fatto che il coraggio, anche silenzioso, è in realtà più diffuso di quanto si pensi ma non sempre riesce a prevalere la quotidiana battaglia contro «fascino comodo dell’illegalità», contro i comportamenti omertosi, contro l’indifferenza. I protagonisti del libro, in qualche modo, sono testimoni di quel «coraggio normale» di cui si parla nell’ultimo capitolo del libro, citando le parole di Tina Anselmi. Il coraggio di dimostrare che ognuno può servirsi di quel piccolo-grande potere di cui scriveva lo stesso Ambrosoli, concludendo il bel libro dedicato alla storia del padre (Qualunque cosa succeda, Ed. Sironi, 2011). Il potere, scriveva, di considerare di essere tutti responsabili, seppur per una gradazione impercettibile, della direzione complessiva in cui va il mondo. O, più semplicemente, una città, un paese, un quartiere, un ufficio, un condominio.

 

Martino Liva

 

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