Mediterraneo: superare le antitesi e le opposizioni radicali

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Si terrà, il 15 e 16 ottobre, presso l’Università di Palermo, il II Colloquio del Mediterraneo sul tema “Religioni, pluralismo, democrazia: le attese dei giovani del Mediterraneo”, per iniziativa della “Cattedra Rezzara di studi sul Mediterraneo”, sorta nel 2011 per la collaborazione tra l’Istituto di Scienze sociali “Nicolò Rezzara” di Vicenza e l’Associazione culturale “Laici nella chiesa e cristiani nella società” di Alessandria della Rocca, in provincia di Agrigento. Proponiamo qui la relazione che terrà Salvatore La Barbiera, presidente dell’associazione agrigentina.

 

L’umanità contemporanea vive uno dei periodi più inquieti e turbolenti della sua storia. E il mare Mediterraneo si rivela, ancora una volta, come il luogo per eccellenza più evocativo di queste inquietudini e di queste turbolenze. Eppure il Mediterraneo è stato considerato più volte. nel corso dei secoli, quasi “nuovo lago di Tiberiade” dal quale far ripartire la nuova storia. Per tali considerazioni si evidenzia l’importanza e la centralità, nel dibattito culturale e politico odierno, di continuare dialogo e confronto su modalità storiche che assumono nel Mediterraneo tematiche essenziali quali “religioni, laicità e pluralismo, democrazia”.

È altrettanto evidente la necessità di cogliere le istanze e le attese dei giovani del Mediterraneo:sono stati i giovani i veri protagonisti delle primavere arabe, sono ancora loro i veri protagonisti del processo di liberazione dall’inverno arabo.

 

Valori e sfide culturali

Si è da tempo consapevoli di vivere una svolta storica, aperta a possibilità inedite. Da una parte si avvertono progressi incommensurabili, dall’altra pare si torni ad una nuova età della pietra. Si è in presenza di sfide culturali enormi che bisogna affrontare, pena il progredire e l’affermarsi di un processo di disumanizzazione irreversibile e devastante.

I valori della responsabilità personale e comunitaria nell’edificazione della città dell’uomo, nel tempo del trionfo delle democrazie, sembrano vacillare e sfaldarsi assieme ai valori della solidarietà umana universale e ai valori della coesione sociale. Sembra tornare cocente “la crisi delle legature umane”, resa evidente da una dinamica sociale ed economica incontrollata e incontrollabile. Si parla legittimamente di “un’economia che uccide” (Evangeli Gaudium).

Sul piano istituzionale, di contra al riconoscimento ineludibile dell’affermarsi dell’autonomia storica e morale degli stati democratici moderni in uno all’indebolirsi e all’allentarsi dei processi di unificazione europea e mondiale, si constata l’urgenza e la necessità della riscoperta e del riconoscimento dei fondamenti pre-politici di tutti gli ordinamenti moderni, democratici e costituzionali.

 

Postsecolarismo

Ritorna il dibattito e il confronto sulla società postmoderna, post-secolare. Essa appare come la vera nuova dimensione della vita sociale e culturale. Seppure continua ancora ad affermarsi con fatica, con riconoscimenti e sconfessioni ricorrenti, da una parte e dall’altra, con marce in avanti e con paurose marce indietro.

Si avverte l’esigenza che credenti e non credenti, religiosi e laici, si prendano “sul serio”, si ascoltino, si riconoscano e diano reciprocamente contributi positivi all’edificazione di un nuovo umanesimo. Ciò richiede comprensione reciproca e che diventi prassi, universalmente accettata, la pratica virtuosa, come si dice, della “traduzione” della lingua laica e della lingua religiosa nello spazio pubblico comune.

Occorre superare fanatismi e fondamentalismi, laici e religiosi, per attivare quella che è stata definita “la correlazione polifonica”. Ma ciò esige ancora la rescissione definitiva del vincolo che unisce modernizzazione e disincanto, “chiudere col postulato che fa coincidere in modo indiscutibile il progresso con la secolarizzazione”.

Se si converge sull’assoluta necessità di consolidare la svolta del post-secolarismo, si aprono le vie per la grande alleanza tra fede e ragione, tra religione e laicità. Si dice, da più parti, che occorre proprio una grande alleanza in cui la fede religiosa “si consegni” alla ragione per limitare le tentazioni esclusiviste e la ragione riconosca, senza remore, ciò che è dovuto alla fede. Un affidamento, reciproco, dunque che può e deve coinvolgere tutte le culture e tutte le religioni. Ritorna, così, l’esigenza di continuare, con più slancio e determinazione il dialogo interreligioso, interculturale, interetnico. Sembra questo un approdo irreversibile del modo moderno per continuare a far crescere la via dell’umanesimo. Si è detto con saggezza che l’umanità del terzo millennio non vuole né nuove guerre di religione, né nuove guerre di civiltà.

 

Tendenze – Impresa “titanica”

E però certe tendenze, mai assopite e mai allentate, potrebbero riportare a queste guerre. In questa direzione potrebbero spingere l’accentuarsi delle tendenze, religiose e laiche, fortemente identitarie, di contra alle tendenze universalistiche che reclamano direzioni diverse ed opposte. Si tratta, allora, di dare vita ad una impresa enorme, titanica, ma che va combattuta, sempre e in ogni luogo, “in nome dei valori universali” per superare le antitesi e le opposizioni radicali.

Questi valori sono “il dato comune tra la saggezza greca, la cultura romana, il messaggio dei dieci comandamenti, il sermone della montagna, l’eredità della rivoluzione americana e francese, la morale universale di Immanuel Kant, la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la carta dell’Onu” (Jean Daniel – 28.04.2005).

In questo contesto è fondamentale la distinzione tra i versanti interni della religione e i versanti esterni, come è fondamentale la distinzione tra dottrine comprensive, ideologiche e religiose, e area della loro partecipazione al discorso pubblico, alla ragione pubblica.

 

Il pluralismo – Un “quid pluris”

Fondamentale si rivela l’intuizione di Rawls sulla “ragione pubblica”, che consente di prendere sul serio il pluralismo, il fatto, cioè, della partecipazione ad un confronto- colloquio a più voci, in piena libertà, nell’area chi si appartiene a tutti.

In questa area pubblica si confrontano valori ed argomenti che intersecano quelli degli altri. In questa intersezione si deve trovare il ragionevole consenso che consente di armonizzare le differenze e creare le condizioni per una convivenza sociale feconda, equa e libera. Il pluralismo. in questo contesto, non lo si compromette, ma lo si rispetta e alimenta. Si consente a tutte le religioni e a tutte le culture di fare uso pubblico della ragione senza annullare le voci differenti.

Ma, oggi, si arriva legittimamente a pretendere di più dalle religioni e dalle culture: in un moderno ordinamento democratico si chiede a tutti, credenti e non credenti, lo sforzo di tradurre dalla lingua religiosa e dalla lingua laica alla lingua di tutti ciò che è bene per tutti. E tocca a tutti aiutare attivamente questo passaggio. Se, finalmente, il cammino della modernità verso un nuovo umanesimo non lo si intende più come liberazione della società dalla presenza religiosa e si prende atto della persistenza delle religioni e delle comunità religiose, se si accoglie la giustissima aspirazione di tutte le religioni e di tutte le culture all’apporto fisiologico di linguaggi diversi per costruire opinioni e decisioni nello spazio comune della città, si può più decisamente percorrere la strada del nuovo umanesimo. Che è la strada per dare fondamento alla Democrazia e alla Giustizia. Su questa strada può, infatti, costruirsi un’opinione pubblica articolata che può, a sua volta, diventare il contenuto della sovranità popolare, che, attraverso le istituzioni partecipate da tutti, costruisce la giustizia e il diritto.

 

Ricostruire “le legature” – I fondamenti pre-politici

Il contributo di tutti alla ragione pubblica consente di riconoscere la razionalità di tutti gli esseri umani, ma anche di andare oltre, attraverso l’apporto delle religioni, alla ricostruzione delle legature spezzate, alla rifondazione della solidarietà, alla ricostituzione della coesione sociale. È la convergenza su comuni fondamenti prepolitici della democrazia e della giustizia consente di far fronte alle gravissime carenze degli ordinamenti moderni, dove le tendenze secolariste, rese aberranti dalla globalizzazione, portano a conseguenze di totale disintegrazione del tessuto universale dell’umanità. In molti si chiedono come far fronte, altrimenti, al pesantissimo carico di sofferenze, conflitti, fallimenti, disperazioni, povertà, catastrofi naturali, aree di assoluta emarginazione economica e culturale di fronte alle quali non può certo bastare l’ordinaria sovranità popolare, connotata dalle procedure democratiche. Né basta, altresì, il ricorso puro e semplice alla politica!

 

Fase nuova – Religioni e illuminismo politico: l’apprendimento reciproco

Sullo sfondo si scorge la fase nuova nella quale va consolidata e sviluppata la correlazione tra le chiese e l’illuminismo politico. A ben vedere, a differenza del liberalismo illuminista, l’illuminismo politico non attacca l’ortodossia religiosa, ”non c’è guerra tra religione e democrazia, né deve esserci”. Su questi orizzonti il dibattito sembra arricchirsi sempre di più e sempre di più si afferma la necessità di “apprendimento reciproco” e di “concorso reciproco” di laicità e religione alla costruzione della storia nuova dell’umanità verso un nuovo concerto polifonico.

 

Evoluzione necessaria

Di recente, vengono offerti ulteriori contributi alle tematiche interessate. Il punto di partenza, da tutti accettato, viene confermato e ribadito: chiese e stato sono separati, ciascuno nel proprio ambito sono indipendenti e sovrani. Ma, ancora una volta, s’invoca e si sostiene la possibilità di rapporti armonici e fecondi nella nuova costellazione costituita da Stato democratico, società civile, cultura e sub-culture. L’orientamento di fondo è verso una società inclusiva in cui possano armonizzarsi “l’eguaglianza politica” e “la differenza culturale”.

Ciò comporta che cessino le accuse reciproche dei multiculturalisti contro il fondamentalismo illuministico e dei secolaristi contro il culturalismo antilluministico. I primi vorrebbero l’assimilazione forzata e lo sradicamento delle religioni, riducendole a fatto privato, i secondi si concepiscono spesso come universi chiusi, totalità sigillate, incommensurabili e non paragonabili tra loro. Queste visioni radicali portano all’impossibilità dell’intesa e della convivenza.

Avanza, comunque, dal fronte laico una critica di fondo alla mentalità laicista, poco apprezzabile e poco desiderabile, come non accettabile è la deriva fondamentalista dei credenti. Si approda, così, ancora al processo di apprendimento reciproco. Si sottolinea una tesi positiva, condivisibile: la neutralità ideologica dello stato non proibisce di ammettere contenuti religiosi nella sfera politica. E ciò per diversi ordini di motivi: la legittima partecipazione dei credenti e della loro lingua religiosa alla formazione della volontà politica e la necessità, per lo stato democratico, del mantenimento della complessità polifonica delle diverse voci pubbliche. I contenuti religiosi possono essere utilmente tradotti sul piano dell’argomentazione pubblica.

La conclusione positiva è che entrambi le parti, laica e religiosa, darebbero un contributo notevole, fecondo per una convivenza illuminata. Queste tesi vengono ampiamente sviluppate dalle riflessioni recenti consegnate da Habermas al saggio Verbalizzare il sacro (Laterza, 2015). Esse confermano e sviluppano le posizioni già emerse nel dialogo-confronto del 2004 di Habermas col cardinale Ratzinger (Ragione e fede in dialogo, Marsilio Editori, 2005).

 

La relazione originaria tra cristianità e laicità

Lungo questa linea costruttiva non può non evidenziarsi, altresì, il contributo importante, decisivo, venuto da parte religiosa. Nel campo propriamente cristiano si riscopre l’autentica relazione originaria tra cristianesimo e autonomia della dimensione temporale che consente di superare l’antica contrapposizione tra “cristianità” e “laicità”.

La svolta fondamentale è venuta dal Vaticano II. Alla luce della fede e della riscoperta della sua identità originaria, la chiesa “comprende che il mondo ha diritto alla propria autonomia, dal momento che anch’esso, in quanto creatura, ha con Dio un proprio rapporto precedente e indipendente rispetto ad ogni mediazione ecclesiale”. Si riconosce, pertanto, come “esigenza legittima” la piena autonomia delle realtà terrene. La laicità, per i cristiani, torna ad essere un principio da sostenere e difendere contro ogni “sacralizzazione” religiosa e ideologica di ciò che vale semplicemente in quanto umano. (Queste sostanzialmente, sul tema, le conclusioni di Saverio Xeres in «Appunti di cultura e di politica», n. 3/2014).

Correlativamente un lungo percorso ha condotto oggi decisamente la chiesa e i credenti cristiani ad accettare pienamente la democrazia, approdando serenamente alla concezione che si è “democratici perché cattolici” (L. Prenna, Democratici perché cattolici. Una cultura della mediazione, Il Roveto ardente, EIR).

 

Salvatore La Barbiera

presidente dell’Ass. cult. Laici nella Chiesa e cristiani nella società

 

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