Una riforma balbettante della costituzione

| 2 Comments

Il Senato ha approvato una riforma della costituzione che ancora deve completare tutto il suo iter, fino al referendum confermativo, ma che ha ormai fissato alcuni evidenti risultati. Fine del bicameralismo perfetto (la fiducia al governo passa alla Camera, come il procedimento legislativo in generale, salvo casi specifici), riduzione del numero dei senatori e delle competenze del Senato (composto di consiglieri regionali e sindaci), correzione centralistica delle competenze delle regioni. Il compromesso raggiunto in seno al Pd nelle ultime settimane si è concentrato sul punto delle elezioni indirette dei nuovi senatori da parte dei consigli regionali (che dovrà essere «in conformità alle scelte espresse dagli elettori») e sul rafforzamento delle garanzie, con l’innalzamento del quorum per l’elezione del presidente della Repubblica (che non scenderà sotto ai 3/5 dei votanti). Quest’ultima è una misura opportuna, in quanto rafforzamento delle istituzioni di garanzia, che andrebbero sottratte alla mera maggioranza parlamentare eletta con metodo maggioritario: andrà peraltro verificata nella sua attuazione possibile, perché in assenza di capacità di mediazione il rischio è certamente uno stallo politico-istituzionale.

I giudizi restano disparati. Il governo esulta per aver ottenuto un risultato che viene presentato come al solito in chiave di legittimazione riformatrice di fronte all’estero, soprattutto all’Europa. Forza Italia, in preda a evidente confusione, esce dall’aula mentre in precedenza aveva votato norme simili. Il soccorso dei verdiniani si è rivelato alla fine non necessario. Dai 5 stelle e dalla sinistra, oltre che per la verità da molti costituzionalisti, si levano critiche di autoritarismo. Il punto più spesso sottolineato è che la riduzione del ruolo del Senato lascia la Camera arbitra del governo e, in combinato disposto con la legge elettorale approvata con l’Italicum, secondo alcuni approda a un “premierato assoluto” (o a una specie di presidenzialismo di fatto, non dichiarato).

Ora, da non giurista, a me pare che la critica sia comprensibile, ma probabilmente eccessiva. L’Italicum infatti ha ritoccato gli aspetti peggiori del Porcellum. Ha introdotto almeno la forma di salvaguardia del voto di ballottaggio tra le due liste prime arrivate. La maggioranza della Camera non sarà numericamente strabordante. E, dall’altra parte, come si poteva confidare seriamente – in termini di bilanciamento virtuoso delle maggioranze di governo – nel pasticcio di un Senato costituito piuttosto casualmente con i premi di maggioranza regionali? Restano aperti comunque i problemi a suo tempo segnalati nella legge elettorale: l’attribuzione del premio alla lista e non alla coalizione (ma ci saranno forse liste che di fatto diventeranno di coalizione?), e soprattutto le liste semi-bloccate. Ma non mi pare che si tratti di argomenti sufficienti per vedere in questo voto la cancellazione o lo stravolgimento della logica della costituzione del 1948. E d’altronde il superamento del bicameralismo perfetto era da tempo un obiettivo largamente condiviso.

Mi pare piuttosto di poter dire che il punto debole della riforma sia una certa farraginosità e un sostanziale pasticcio di modelli. In un primo senso (formale, ma qui la forma è anche sostanza), vien da rimpiangere l’asciuttezza del linguaggio costituzionale tradizionale: si inserirebbero in costituzione articoli lunghi, contorti e complessi, quasi da regolamento di condominio (pur non per la prima volta, bisogna ammetterlo). Ma soprattutto, in termini sostanziali, il nuovo Senato risponde a un vizio iniziale, che a mio parere risiede in una scelta del tutto demagogica: quella di dover essere a costo zero. Quindi composto di membri “part-time” che non si capisce come possano svolgere un lavoro delicatissimo come quello di compensazione del rapporto Stato-autonomie locali con la mano sinistra, andando a Roma (ipotizzo) un giorno alla settimana. Se si voleva davvero affrontare il problema degli stipendi del ceto politico, sarebbe stato molto meglio dimezzare il numero dei deputati (questo sì abnorme rispetto a tutto il mondo). E se si voleva invece costituire un Senato delle autonomie vero e proprio, bastava  essere più lineari e attribuire la nomina dei rappresentanti direttamente ai governi delle Regioni (sul modello federale tedesco). Qui si ha invece un ibrido, incerto e confuso, che dovrà essere messo alla prova.

L’aspetto che è passato invece molto meno sotto la lente dell’opinione pubblica è la svolta accentratrice rispetto alla (affrettata) riforma “federalista” del titolo V, risalente al 2001. Del resto, le regioni sono oggi arrivate a un discredito tale nell’opinione pubblica che non c’è da stupirsi di questo esito silenzioso. Se si fossero abrogate, il relativo referendum oggi stravincerebbe nel paese. Ma tutto ciò non esime dal chiederci se la vera linea di riflessione, per ridurre l’abnorme contenzioso prodotto in questi anni e per intervenire negli evidenti abusi di regioni spendaccione e di un ceto politico-burocratico elefantiaco, sia veramente una decisa ricentralizzazione legislativa ed amministrativa. Anche la nuova misura introdotta con una sorta di possibile premio alle regioni finanziariamente virtuose (è stato definito l’embrione di un “regionalismo differenziato”), significa poco se non si realizzano le modalità concrete del federalismo fiscale, che è stato più volte proclamato ma poi di fatto sempre smentito.

Infine, ci si permetta un’osservazione: sono molti coloro che sostengono che non valga tanto discutere nel merito, perché il vero dato è che una riforma è stata fatta. Siamo usciti finalmente dall’immobilismo e dalla stagione dei veti incrociati: una riforma qualsiasi è meglio di nessuna riforma. Ancora una volta può essere un argomento retoricamente “à la page”, ma è nella sostanza un richiamo del tutto “politicante” e anche un po’ urtante: non si chiede infatti alla classe dirigente di un paese moderno di “fare la mossa”. Si chiederebbe di essere un po’ più colta, responsabile, lungimirante, rispetto al proprio elettorato. E quindi di essere giudicata per una volta sulla sostanza delle proprie scelte, non su quanto sia capace di dare l’impressione di essere efficiente.

 

Guido Formigoni

2 Comments

  1. Mi sembra un pò semplicistico liquidare così un testo che nasce da un lavoro collettivo, soprattuto nella Commissione Letta-Quagliariello

    Se scrivi un articolo dicendo che le due Camere fanno le stesse cose ci vogliono due righe; se ne scrivi uno differenziando i ruoli devi scriverlo molto lungo perché devi costruire una serie di tipologie.
    Quando la Costituente aveva pensato (nel primo periodo) di differenziare erano usciti nel progetto di Costituzione testi complicati quanto quelli di oggi.
    Esempio:

    “Sono eleggibili a Senatori gli elettori, nati o domiciliati nella Regione, che hanno compiuto trentacinque anni d’età, e sono o sono stati:
    decorati al valore nella guerra di liberazione 1944-45, capi di formazioni regolari o partigiane con grado non inferiore a comandate di divisione;
    Presidenti della Repubblica, Ministri o Sottosegretari di Stato, Deputati all’Assemblea Costituente o alla Camera dei Deputati, membri non dichiarati decaduti del disciolto Senato;
    membri per quattro anni complessivi di Consigli regionali o comunali;
    professori ordinari di Università e di istituti superiori, membri della Accademia dei Licei e di corpi assimilati;
    magistrati e funzionari dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni di gradi non inferiori o equiparati a quelli di consigliere di cassazione o direttore generale;
    membri elettivi per quattro anni di consigli superiori presso le amministrazioni centrali; di consigli di ordini professionali; di consigli di Camere di commercio, industria ed agricoltura; di consigli direttivi nazionali,regionali o provinciali di organizzazioni sindacali;
    membri per quattro anni di consigli di amministrazione o di gestione di aziende private o cooperative con almeno cento dipendenti o soci; imprenditori individuali, proprietari conduttori, dirigenti tecnici ed amministrativi di aziende di eguale importanza.”

    Quanto alla presunta centralizzazione:
    1-gli elenchi del titolo V erano troppo generosi tanto che essa si era già ampiamente manifestata nella giurisprudenza costituzionale;
    2-sono state le Regioni stesse a chiedere di avere elenchi più asciutti e nel contempo di regionalizzare il Senato;
    3-quando ha condiviso il testo l centrodestra ha chiesto che non fosse un Bundesrat che in questa fase e non per poco sarebbe stato al 90% di centrosinistra, lo stesso schieramento che è anche in testa per la Camera e che ha espresso il Capo dello Stato.

  2. a quanto ben illustrato nel commento di Stefano Ceccanti aggiungo che è profondamente ingiusto non considerare quanto in Italia oggi sia fondamentale ritornare a fare le cose che per 30 anni non si sono fatte. la politica non può essere solo discussione ma deve essere anche azione, diversamente è elaborazione accademica.

Lascia un commento

Required fields are marked *.