Sono terrorizzata (come si può esserlo alla mia età e entro questa assurda storia politica d’Italia) dalla ipotesi appena avanzata dal carissimo Franco Monaco: spaccare anche l’unico esempio di partito almeno relativamente normale che ancora occupa il nostro orizzonte (leggi qui, ndr).
E’ come se non avessimo ancora registrato, dopo più di vent’anni, gli effetti disastrosi avuti nel nostro quadro politico dopo la svolta di destra che ha segnato il mondo all’inizio degli anni Ottanta. Da noi la fine è stata umanamente e politicamente tragica, segnata con la morte di Moro. Altrove, dagli Usa alla Gran Bretagna alla Germania (e poi più radicalmente nei regimi dell’Est), quella svolta ha mantenuto più o meno il disegno politico tradizionale dell’alternarsi fra destre e sinistre storiche. Da noi ha finito con l’emergere un quadro fra comico e inquietante di soggetti improvvisati, fra i personalismi inaffidabili di Forza Italia e le rivendicazioni regionali identitarie a programma raffazzonato, fino alla raccolta televisiva di 5 stelle e alla attuale frammentazione di biografie senza storia, col solerte e accorto contributo della criminalità organizzata. L’unico soggetto, male succeduto alla esperienza dell’Ulivo, che in qualche modo incarna e richiama ancora culture politiche europee è oggi il PD. Disfarlo, mi parrebbe comunque accelerare la fine di quel che resta in Italia delle esperienze democratiche europee, ma senza prospettive e senza un disegno compiuto.
No. Sono dell’idea che la battaglia per il rinnovamento politico simboleggiata nell’Ulivo va ancora condotta entro un disegno unitario, sia entro la società che entro la politica, con franchezza e spirito critico, dicendo i no, i sì, e gli altrimenti che sono necessari, denunciando errori e soprattutto avanzando alternative, e senza riconoscere a nessuno a priori primati che vanno soddisfatti nel concreto.
Solo come esempi. Si vuol togliere la tassa sulla prima casa a tutti nella fiscalità nazionale? Perché non riconoscere alle comunità municipali il diritto di legiferare, come credono opportuno, su questa materia per esercitare una autentica autonomia fiscale e di bilancio? Si vuol autorizzare il diritto a una spesa in contanti fino a 3.000 euro, ma senza nemmeno una indicazione di somma definitiva annuale o mensile?
E si può davvero consentire come definitiva e normale l’accoppiata Presidente del Consiglio e segretario generale del partito, senza garanzia sulla gestione degli organi e la rappresentanza di minoranze, cui pure va consentito di sbagliare? Ci sono molte cose che si possono fare, con Bersani dentro e tante voci importanti fuori. Ma spaccare l’unico partito ancora esistente pur fra tanti limiti mi sembrerebbe una follia.
Paola Gaiotti de Biase
22 Ottobre 2015 at 13:48
Se la stabilità è quella descritta qui sotto d Giorgio Tonini, neo-presidente della Commissione bilancio, su quale asse culturale distinto si dovrebbe sviluppare questa ipotetica scissione?
ITALIA “QUESTA LEGGE DI STABILITÀ È DA SINISTRA RIFORMISTA”. INTERVISTA A GIORGIO TONINI Torna la tensione nel PD. Questa volta la polemica, tra sinistra Dem e la maggioranza renziana, riguarda la manovra finanziaria (legge di stabilità). Ne parliamo con Giorgio Tonini, vice-presidente del gruppo PD al Senato. Tweet5 20 ottobre 2015 Senatore Tonini, parliamo della “manovra” (legge di stabilità). Il Presidente del Consiglio, in un eccesso di trionfalismo, ha affermato: questa è una “manovra” di sinistra (!?). francamente, senatore, non è un po’ troppo propagandistico fare una simile affermazione quando, per esempio, i sindacati hanno espresso forti critiche. Per non parlare, poi, della sinistra del suo partito. può spiegarmi come sia di sinistra una “manovra” che ha il trionfale appoggio di Alfano e Verdini? Altrettanto francamente: questo giochino sulla manovra di sinistra o di destra sta diventando stucchevole. Anche perché si basa sul giudizio su alcune misure, prese singolarmente e non linquadrate in un contesto strategico complessivo. Del resto, come diceva Deng-Xiao-Ping, non conta il colore del gatto, conta che prenda il topo. Dunque, quel che conta è se la manovra fa bene o no all’Italia, agli italiani e in particolare ai più deboli. Detto questo, se proprio vogliamo sottoporci al giochino, io penso che quella annunciata da Renzi sia una manovra di sinistra, beninteso di sinistra riformista, per il semplice fatto che è la manovra più espansiva possibile, restando dentro le regole europee: sia quella del deficit, che quella del debito. Ed essere di sinistra (riformista) oggi concretamente significa proprio essere europeisti e battersi per una politica economica europea di segno espansivo e non restrittivo. Tutto il resto, dal punto di vista politico, sono dettagli. Importanti quanto si vuole, ma dettagli. Veniamo al capitolo molto controverso: l’abolizione della tassa sulla prima casa a tutti, con il rischio assai elevato di favorire i più ricchi e con scarse ricadute sui consumi. Per non parlare delle pesanti ricadute sui bilanci comunali. Insomma un poco di prudenza non guasta… L’abolizione della tassa sulla prima casa presenta indubbiamente qualche controindicazione. Non tanto sul terreno dell’equità sociale (il grosso dell’impegno finanziario si concentra sul ceto medio, non di certo sui ricchi), quanto su quello del federalismo fiscale. La tassa sulla prima casa dovrebbe infatti rappresentare una componente del finanziamento ordinario dei comuni, particolarmente importante in termini non tanto quantitativi, quanto qualitativi, perché su di essa si basa il patto fiscale tra amministratori e amministrati a livello comunale. La tassa sulle seconde case, o i trasferimenti statali possono certamente compensare il mancato gettito dalla prima casa (che è una quota-parte in definitiva modesta della imposizione sugli immobili), ma difficilmente possono surrogarlo in termini di qualità della relazione democratica tra i sindaci e i loro cittadini. Ma in questa fase il governo è alle prese con tutt’altra emergenza, quella di sostenere una ripresa economica ancora flebile. E dopo aver concentrato gli sforzi su impresa e lavoro (15 miliardi di sgravio tra 80 euro e taglio dell’Irap), quest’anno punta ad alleggerire il peso fiscale sulle famiglie, cancellando per tutti la tassa sulla prima casa: un provvedimento che costa relativamente poco (3,5 miliardi) e dovrebbe rendere molto in termini di fiducia e dunque di propensione al consumo. Non parliamo, poi, delle risorse sugli statali e sul mezzogiorno. Anche questa è una beffa… Non è vero che manchino le risorse per il Mezzogiorno: basti pensare che 7 degli 11 miliardi del piano infrastrutture saranno destinati a opere da realizzare nel Sud. Quanto agli statali, in tempi di inflazione vicina o addirittura sotto allo zero, c’è poco da recuperare su quel versante. Ci sono invece ampi margini di incremento salariale se si punta sulla produttività: cifrando i risparmi da ottenere con la riforma Madia e con la spending review e distribuendone una quota significativa ai dipendenti pubblici che se ne rendano protagonisti. Insomma Senatore, Renzi andrà pure come un treno, ma resta sempre la voglia di entrare in conflitto con la sinistra. Giova tutto questo? Una dialettica, a volte anche aspra, tra sinistra riformista e innovatrice e sinistra tradizionale e conservatrice, c’è in tutti i grandi partiti di centrosinistra, in tutto il mondo. Ma come da ultimo ha dimostrato il caso greco, la sinistra vince e governa solo quando in essa prevale la cultura riformista e di governo. In caso contrario, la sinistra si riduce ad un ruolo di testimonianza… Veniamo al partito. Richetti e Del Rio hanno messo sul chi va là di trasformare il PD Partito della Nazione. Clamorosa poi l’intervista di Cicchitto all’Huffington Post, con la proposta dei moderati per Renzi… Insomma non trova che si sia superato il limite? Quale limite? A me risulta che nel Pd siano entrati solo esponenti di Sel e di Scelta Civica, questi ultimi in gran parte di provenienza già pd. È vero invece che c’è un gran movimento nell’area ex-PdL. Un vero e proprio via vai tra chi esce (pochi) e chi pensa di entrare (molti) nell’area della maggioranza di governo. E tuttavia, non si deve mai dimenticare che all’inizio della legislatura, quando Bersani e Berlusconi diedero vita al governo Letta-Alfano, tutto l’allora PdL era in maggioranza e al governo. Poi si sono divisi e continuano a dividersi tra loro, tra chi è pro e chi è contro il governo col Pd. Noi dobbiamo guardare con grande rispetto a questo travaglio, che probabilmente segnala una metamorfosi profonda del bipolarismo italiano. Una metamorfosi che il Pd deve guidare, come sta facendo, e non rassegnarsi a subire. Ultima domanda: il Movimento 5stelle, stando agli ultimi sondaggi, si sta avvicinando al PD. A questo punto come pensate di contrastare l’avvicinamento dei “pentastellati”? Come abbiamo fatto fin qui. Cercando il consenso di tutti gli italiani che vogliono il cambiamento, ma dentro un quadro affidabile e sicuro. E non sono disponibili a precipitare nell’avventura, facendo prevalere la rabbia sulla speranza. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Questa-Legge-di-stabilita-e-da-sinistra-riformista-Intervista-a-Giorgio-Tonini-534320ae-c066-4b75-b662-970218bfdbeb.html
25 Ottobre 2015 at 21:18
La replico di Giorgio Armilleihttp://www.landino.it/2015/10/lulivo-non-fa-il-monaco/
27 Ottobre 2015 at 19:32
No ! Franco Monaco non pensa a scissioni e non se ne andrà dal Pd. Conoscendolo e leggendo per intero la sua intervista in quello che ha detto e in quello che non ha detto e taciuto, in quello che ha voluto esternare e in quello che si è tenuto, mi è sembrato di avvertire che la sua rimane solo “…una provocazione audace”. Per chi ha voglia di capire , per chi soprattutto conosce il suo percorso culturale e la sua sensibilità politica, la serie di subordinate, di distinguo e di periodi ipotetici ne fanno però un testo di facile lettura. Monaco sa che uscendo non risolve niente. Una provocazione però utile, la sua. Per non appiattire su una sola corda il partito che ha contribuito a fondare e in cui crede.
28 Ottobre 2015 at 12:37
Ho letto stamani l’intervista a “la Repubblica” di Arturo Parisi che vi invito a leggere.
Ad eccezione del suo incondizionato elogio per le “primarie, ho sempre stimato Parisi facendo sempre tesoro delle sue lungimiranti analisi.
Il mio precedente commento di ieri sulle “provocazioni” di Franco Monaco e sulla necessità di un “confronto aperto” dentro il Pd , trovano oggi nelle sue parole una più esauriente spiegazione.
2 Novembre 2015 at 14:50
Renzi come Superman?
O è il PD che è culturalmente depresso e si sposta piano piano a destra?
Sto seguendo con amiche e amici le discussioni relative alla legge finanziaria elaborata dal nostro presidente del consiglio e dalla sua cordata di potere, una cordata molto combattiva e poco dialogante, che a me pare marcata dal mantra “vincere è quello che conta”, come se questa fosse l’unica direttrice di fondo per una politica consapevole delle sfide dell’ora e dei pesanti problemi che abbiamo davanti (era la cultura che ispirava la parte più reazionaria della Democrazia Cristiana, la figura di Craxi, Berlusconi). A noi pare, comunque, che la finanziaria sia figlia della frenata elettorale subita a fine maggio dal nostro Presidente del Consiglio, una frenata che ha scosso la sua macchina elettorale, vero braccio armato (i suoi cavalieri armati, i suoi mastini, animati da sicurezze che non ammettono ripensamenti sulle scelte economiche fatte), turbando non poco gli elettori di sinistra. Purtroppo questo sarà un dato strutturale del nostro Renzi e della sua stretta cerchia, cioè vincere a prescindere, conquistando voti di ambienti conservatori, di movimenti con pulsioni moderate, accontentando tutti, inclusi alcuni settori di destra. Tuttavia, dalle nostre discussioni vorrei estrapolare due istanze che ci hanno infiammato: i giovani e l’Europa. A noi pare che un Partito Democratico degno di tale nome, dovrebbe avere come sport preferito il dibattito, l’elaborazione culturale, un’attenzione alle discussioni più pregnanti in corso (i partiti dovrebbero essere grandi fermenti sociali); non dovrebbe certo comportarsi come una dogana tra chi è schierato con Renzi o no, e conseguentemente, in base all’esito del posizionamento, fare scorrere il sangue. Su questi due temi centrali, noi come piccolo gruppo ci siamo molto interrogati, perché pensiamo che immergendosi in essi si scorga il futuro e ci si debba fortemente interpellare su quali siano le vere priorità per tutti. Infatti, a noi pare che a partire dalla finanziaria sia piuttosto esplicito come la corrente attualmente egemone nel PD non abbia fatto la scelta preferenziale dei giovani, che sono i veri poveri di oggi e di domani, e non abbia assunto un netto schierarsi con il progetto europeo. Di fatto, i due temi sono intrecciati, poiché una soluzione ai problemi cruciali dei giovani passa dall’Europa e da un suo forte impulso per affrontare la stagione della globalizzazione. In questo momento, in Europa, si agitano in modo veemente due orizzonti politici fondamentali: ci sono forze sovraniste e forze europeiste. Il Partito Democratico, come area progressista, deve capire lucidamente la posta in gioco e schierarsi con l’europeismo senza indietreggiare. Dovrebbe ad esempio riconoscere con onestà intellettuale che l’Europa ci sta comprando il debito pubblico, mantiene bassi i tassi di interesse, rendendoci meno fragili nel contesto internazionale (francamente il modo muscolare e le posture aggressive di Renzi nei confronti dell’Europa, con ultimatum poco chiari, inducono a pensare che voglia prendere anche una parte dei voti degli antieuropieisti). Tuttavia, a noi pare, che su questo tema dei giovani, la finanziaria metta poco, si comporti come un supermercato che distribuisce a pioggia un po’ a tutti, caricando sulle generazioni future i veri costi. In questo passaggio importante Renzi non si è dimostrato un innovatore ad oltranza, ma bravo nel calcolo politico, nel calcolo personale. Non sta pensando ai veri problemi che abbiamo davanti per risolvere un nodo duro come quello dei giovani. Urgenza che, a ben guardare, nessuno sposa, perché non rende politicamente: giovani in Italia sono una minoranza che non incide dal punto di vista elettorale. Prendiamo la riforma della scuola: molti ci dicono che ci sono state moltissime assunzioni a vantaggio dell’offerta formativa, ma chi vive nella scuola sa benissimo che non sempre si è investito nei cervelli, ma nei voti e quel che succede nelle classi non interessa a nessuno. Nel luogo più importante della nostra società, finalizzato a coltivare una cittadinanza responsabile e allevare la futura classe dirigente, dovrebbe entrare il meglio. Invece, in molte realtà, priviamo i nostri giovani non solo delle risorse economiche ma di quelle culturali, ambientali ed etiche, fornendo loro il pessimo esempio di una generazione, quella dei padri, che ha depredato il loro futuro, inseguendo effimeri sogni di opulenza e consumismo. Infine, una parola a Franco Monaco: condivido la sua posizione di separazione (d’altronde l’Italia è un paese di separati in casa…), nel senso che questa finanziaria a noi pare che non chieda adesione a costo zero dal punto di vista etico: abbassare le tasse ai ricchi non è posizione limpidamente di sinistra e che cammini nella direzione di una società più vivibile e umana. Un’ultima riflessione: la politica per un cattolico democratico è, da un punto di vista culturale, mediazione. Per Renzi invece è in primo luogo decisione e quindi egli marcia in un’altra direzione. Prendere atto di quello che ispira e anima il nostro premier è un modo per muoversi da persone adulte e responsabili. L’ulivo si muoveva con un altro fuoco. A noi pare che accantonarlo sia stato un errore colossale che nel medio e lungo periodo creerà un partito dove si coltiverà solo il potere, con tutte le conseguenze etico politiche e le relative derive corruttive che hanno attraversato la storia del nostro paese con la Democrazia Cristiana , Craxi e Berlusconi.
29-10-2015 Molli Mario Giuseppe
6 Novembre 2015 at 09:43
Quando un opinionista serio e competente come Stefano Folli scrive ( La Repubblica –giovedì 5 Novembre 2015) , commentando le prese di posizione di Chiamaparino che : “ Quello di Chiamparino è un atto d’accusa ormai esplicito verso la deriva egocentrica del potere renziano . Un potere sbrigativo che salta le mediazioni ed è insofferente verso i limiti imposti all’agire politico. E’ un’attitudine che dipende senza dubbio dalla velocità di pensiero e di azione del Presidente del Consiglio , sempre meno disposto a giustificare il passo troppo lento di chi lo segue, siano essi presidenti di regione o ministri . Tanta impazienza si spiega con le certezze di Renzi , convinto di possedere le chiavi per conquistare e conservare il consenso degli italiani . Chi si attarda, chi ha dei dubbi sulla bontà della manovra economica o delle riforme, chi contesta il “leaderismo” esasperato , è ai suoi occhi un sabotatore del futuro , ineluttabile successo elettorale “.
Il giudizio è molto forte che solleva molti interrogativi sul modello democratico che si sta impiantando e che dovrebbe suscitare una serie di riflessioni che vadino oltre l’essere di destra, di centro e di sinistra, ma sulla forma di democrazia del prossimo futuro. Non ho mai pensato che fossimo alla vigilia di una svolta autoritaria, ma leggere frasi come “deriva egocentrica”, “potere sbrigativo che salta le mediazioni politiche” e evocare un “cesarismo” sorridente ma inesorabile” non può che suscitare, in chi si riferisce alla tradizione del popolarismo sociale, qualche turbamento ed inquietudine.
Non credo che i cattolici democratici possano restare silenti, ne accontentarsi , come mi suggeriva un amico autorevole, del fatto che quest’area esprime il Presidente della Repubblica e che lo stesso Presidente del Consiglio non gli è estraneo. In termini di potere è un fatto vero e suggestivo, forse lo è meno in termini di incidenza politico-culturale. Forse la proposta avanzata da Franco Monaco andava approfondita con maggiore attenzione. Non si tratta di formare una corrente , ma mettere in campo una proposta di cultura e di visione politica potrebbe essere oggi utile all’intera area.
7 Novembre 2015 at 15:08
Caro Pezzotta, Stefano Folli è un commentatore attento e misurato. E dice delle cose che bisogna tenere sempre a mente. Ma anch’io la penso come te: non ho mai creduto alla “svolta autoritaria” di Renzi. Non ho mai cioè pensato, che l’innocuo “Renzi- mani in tasca”, abbia in testa il balcone di Piazza Venezia ! Ho sin dall’inizio osservato invece i suoi comportamenti. Che sono come quelli di uno “scout-guascone”: capo-guida anglosassone e poco latino, di una squadra di lupetti! La sua deriva egocentrica? E’ probabile . Ma si tratta di un disturbo della personalità oggi molto diffuso. Che fa durare “l’espace d’un matin” tutti i progetti di coloro che vivono in una dimensione autoreferenziale senza confrontarsi con la realtà. Una caratteristica della cultura neo-liberista che stiamo inconsapevolmente alimentando: quella che crede solo alle proprie idee e non a quelle degli altri; quella dell’io che non crede al noi; quella del leader che non crede al gioco di squadra. Renzi, in questo contesto culturale, rischia di trovarsi in mezzo. Non da solo ma assieme a tutto il suo manipolo di lupetti, che traducono bene il salto antropologico sopraggiunto negli ultimi venti anni, se solo si pensa che buona parte di essi è passata dalla Fgci e si è formata nel vecchio Pci . Non sono mai stato un fan di Bersani, anche se ho sempre apprezzato il suo tratto sornione e saggio di fare polemica e porre interrogativi. Oggi comincio a credere che abbia anche il dono del realismo lungimirante . Prendendo le distanze – mi auguro definitivamente – dai tanti rivoli scissionisti e scomposti che si agitano dentro il Pd , sta ripetendo ormai da tempo che “…Senza Pd non c’è centrosinistra” ! Spero di non essermi sbagliato su Franco Monaco, ma credo che anche lui la pensi in questo modo. Infine anche io sono convinto che bisognerebbe fare qualcosa per incontrarsi e ragionare sulla nostra cultura di provenienza una volta sciacquata nell’Arno dei nuovi tempi. C3 Dem ci sta provando. Ma da solo non basta.
11 Novembre 2015 at 13:33
Caro Nino, sono convinto che sarà difficile che ci si incontri fintanto ognuno di noi si considera il “vero” inteprete dei cattolici democratici e popolari. Bisogna fare uno sforzo rifondativo di quest’area che deve tornare a rappresentare nell’area del centro sinistra un pungolo. I ritorni storici sono sempre pericolosi perchè come ci avvertiva il filosofo di Treviri , possono assumere aspetti farseschi, ma fatta questa precisazione credo che un riferimento metodologico all’esperienza della Lega democratica di Scoppola, Ardigo potrebbe, tenendo conto del contesto in cui siamo, essere utile e forse anche a Pd ed ad altri la presenza di una nuova lega democratica potrebbe tornare utile.
8 Novembre 2015 at 12:21
Non sono iscritto al PD e non credo che mi iscriverò, almeno non in questo PD. Preferisco rimanere un “apolide” politico che non si accasa da nessuna parte. Avendo però alle spalle una lunga militanza sindacale che mi ha consentito di vivere tutto il percorso di costruzione dell’unità sindacale in tutte le sue fasi storiche a partire dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso fino allo scioglimento della Federazione CGIL CISL UIL del 1984,, e ai giorni attuali che vedono CGIL, CISL e UIL fare molto di più di quanto dovrebbero fare per dividersi e molto meno di quanto sarebbe necessario fare per unirsi, avevo espresso un giudizio non positivo sulla così detta “fusione fredda” che dallo scioglimento della Margherita e dei Democratici di Sinistra aveva generato il Partito Democratico.
Il mio non positivo giudizio era motivato dal fatto che se in ambito sindacale, dunque in uno spazio molto più ristretto di quello politico e del governo del Paese, il rapporto tra la cultura politica e sociale cattolica, quella socialista e quella comunista era andato in crisi, era impossibile che questo rapporto si ricreasse, in termini positivi, in ambito politico e desse vita ad un vero partito politico.
Sappiamo tutti molto bene che così non è stato, anzi, l’esigenza di contenere le differenze che nel tempo si manifestavano per mantenere in vita il Partito come parvenza di unità ha di fatto limitato, fin quasi ad annullarlo, il confronto interno a favore delle intese di vertice. Emblematica di questa realtà interna è stata sia la vicenda delle elezioni del Presedente della Repubblica e dei 101 voti contrari, sia la sostituzione di Letta con Renzi alla Presidenza del Consiglio. Non meno emblematico è l’assordante silenzio, per quanto mi riguarda, della componente cattolica del PD, che non capisco se si sia completamente omologata alla pratica dell’uomo solo al comando, oppure se sia del tutto irrilevante e ininfluente sulle scelte del partito e del Governo.
Ciò detto, a me non pare praticabile, perché improduttiva, l’idea di uscire dal PD, a meno che ciò non comporti l’uscita di tutta la componente cattolica e non solo di qualche suo esponente. Ma ciò richiederebbe di essere portatori di una proposta politica di alto profilo che, francamente, non vedo. Dunque, fintanto che non c’è una proposta di tale livello chi è oggi nel PD e bene vi rimanga superando l’irrilevanza e l’ininfluenza a cui si è autocondannato e, viste le scelte del PD e del Governo, le occasioni e le ragioni per rendersi visibili e far sentire la propria voce, certo non mancano.
Credo sia ormai convinzione comune che in questa fase storica non è più riproponibile la presenza di un partito di ispirazione cattolica, ma tra l’affermare questo e assistere impotenti alla frantumazione della rappresentanza politica dei cattolici ce ne passa.
Essendo che il futuro e tutto da costruire, condivido quanto dice Nino Labate rispondendo a Pezzotta: bisognerebbe fare qualcosa per incontrarsi e ragionare sulla nostra cultura di provenienza una volta sciacquata nell’Arno dei nuovi tempi.