Il declino dei corpi intermedi

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Il presidente delle Acli Gianni Bottalico, coadiuvato dal giurista Vincenzo Satta, si è fatto autore e promotore di un utile libro dal titolo “Corpi intermedi”.

L’intento del libro, reso esplicito dal sottotitolo “Una scommessa democratica”, è chiaramente rivolto al rilancio del dibattito su questo tema centrale  della cultura democratica, particolarmente di parte cattolica.

E d’altra parte la sussidiarietà di cui tanto si parla che senso avrebbe in mancanza di corpi strutturanti la società civile?

Però il dato che emerge incontrastato dai molti interventi autorevoli che compongono il libro, dalla prefazione di Romano Prodi, agli scritti di De Rita, di don Fabiano Longoni dell’Ufficio Lavoro della Cei, del gesuita Francesco Occhetta, di don Sciortino di Famiglia Cristiana, di Nando Pagnoncelli presidente dell’Ipsos, è la comune constatazione della continua erosione e dissoluzione dei corpi intermedi: associazioni, organizzazioni, partiti, enti diversi sperimentano tutti attualmente la medesima tendenza generale alla decrescita e alla dissolvenza.

Prodi individua i motivi di questo fenomeno generalizzato nel nuovo contesto mondiale in cui viviamo, causa di una condizione permanente di precarizzazione e di molecolarizzazione e nei nuovi mezzi di comunicazione che favoriscono rapporti diretti scavalcando le aggregazioni. Gli altri interventi non si discostano da questa interpretazione.

Parallelamente e, nonostante l’asserita e concorde visione del declino dei corpi intermedi, altrettanto unanimemente gli autori ne ribadiscono la necessità, l’importanza, l’insostituibilità.

Verrebbe da dire: pessimismo della ragione e ottimismo della volontà. La ragione parla di crisi irreversibile, la volontà vi si oppone e  invoca il contrario.

Sul tema è poi ritornato De Rita sulle pagine del Corriere a proposito degli enti pubblici intermedi; De Rita se la prende con un governo che accentra le funzioni esautorando gli apparati pubblici intermedi che le dovrebbero trasmettere e comunicare, rischiando così di operare nel deserto. E conclude la sua perorazione auspicando che ci si impegni a recuperare un po’ di “dimensione intermedia della società e dello Stato”,

Ma  gli enti pubblici intermedi non costituiscono un’eccezione rispetto agli altri corpi intermedi; anzi, proprio le “istituzioni” sono fra i corpi intermedi più colpiti dalla tendenza attuale, perché ai motivi ricorrenti di crisi aggiungono la crisi di “autorità”.

L’istituzione in quanto tale, qualunque istituzione, oggi soffre di una malattia di credibilità (a partire come è noto da quella più comune e immediata, il matrimonio: molti oggi preferiscono la convivenza libera e modificabile alla istituzione vincolante e perenne).

Per la mia attività professionale ho qualche conoscenza delle attività bancarie e assicurative; in questi campi sta avvenendo un fenomeno del tutto analogo a quello delle associazioni politiche e sociali.

Molti rapporti e molte operazioni avvengono on-line: c’ è sempre meno bisogno di agenzie e di filiali.

Saltano le “intermediazioni”, sia delle grandi Assicurazioni centenarie sia delle agenzie di banca dove ci si trovava di casa. Ma è così un po’ in ogni campo, chiudono librerie, negozi, le prenotazioni si fanno per via informatica o direttamente col cellulare, ecc….

 

In poche parole: è inutile cercare scorciatoie e piangere su una situazione che è destinata a protrarsi e ampliarsi, come è inutile lanciare appelli  non si sa bene a chi perché tutti si trovano nella medesima situazione.

E’ bene invece pensare seriamente a che cosa è possibile fare, in alternativa, ognuno per la propria parte.

Personalmente vedo due strade, tutte due impegnative, ma realistiche.

Da una parte occorre prendere in mano le associazioni esistenti e ripensarle da cima a fondo.

Si parla tanto della riforme costituzionali e legislative, ma perchè non porsi il problema della riforma delle associazioni, problema forse maggiore e comunque preliminare?

Penso alle associazioni che più conosco,  come la Cisl, le Acli, l’Azione Cattolica, ognuna delle quali avrebbe bisogno di una bella rinfrescata.

Il sindacato vive tuttora sulla base di uno schema classico che richiederebbe oggi non qualche aggiustamento, ma un vero cambiamento di paradigma. L’Azione Cattolica perde iscritti ogni anno ed è una realtà sempre meno significativa; continua a vivere  su presupposti ormai desueti; possibile che non si possa  mettere mano a un suo riorientamento?  Le Acli gestiscono una molteplicità di  servizi: non è possibile trasformarli in un inizio di nuovo associazionismo?

Si potrebbe continuare. Non oso parlare dei  partiti perché tutti li criticano, ma si tratta di una critica da Maramaldi; le difficoltà dei partiti hanno ragioni strutturali e  nessuno avanza a riguardo proposte credibili sul da farsi.

D’altra parte occorre costituire “associazione” o “aggregazione”  in modo nuovo: penso alla generatività di Magatti, alle idee di aree territoriali proposte da Bonomi e Magnaghi (che si rifanno a Olivetti), alle iniziative relative ai beni comuni e alla cittadinanza attiva, a possibili forme di mutualismo; insomma un arcipelago di proposte che nel loro assieme parlano un linguaggio nuovo  e adeguato, proponendosi come forme di risposta ai problemi emergenti.

Non sono lamentale o critiche rivolte ad altri, sono idee concrete che consentono di lavorare subito in modo costruttivo, anche se occorrerà tempo perché possano incidere nel determinare forme nuove significative di socialità.

 

Sandro Antoniazzi

 

3 Comments

  1. “La sinistra può morire. “Quando Manuel Valls nei giorni scorsi ha pronunciato questa frase da parte di molti osservatori hanno si è pensato che fosse più un desiderio, che un allarme. Sbaglieremmo a pensare che questa sia una questione solo francese, essa riguarda tutta l’Europa e la crisi che la socialdemocrazia e le stesse correnti del social cristianesimo stanno attraversando sotto l’onda del nuovo riformismo dai forti tratti neoliberisti. È chiaro che l’area politica che un tempo si collocava sotto lo striscione del progressismo sociale se non è del tutto morta è però molto malata. Sotto i colpi e il decisionismo del potere esecutivo questo pensiero politico a forte matrice solidaristica viene messo in un angolo. L’elogio di Marchionne e la sferzata gratuita al sindacalismo è solo l’evidenziazione di un modo di pensare che non riesco più a condividere, sembra quasi che l’idea di una democrazia pluralista, fatti di potere e ruoli diversi sia un ostacolo. Giustificare i continui e sprezzanti giudizi sul sindacato a causa delle sue attuali debolezze e difficoltà ad innovarsi radicalmente, è solo un alibi che serve a nascondere o mantenere nell’inconscio un pensiero di comando. Ma è attraverso queste frasi che sembrano marginale che forse si rivela un pensiero e una visione della società e della democrazia che non mi piace.
    E’ chiaro che ogni forma anche debole di neoliberismo non può accettare che i corpi intermedi agiscano, il problema è a mio parere di cultura politica e di visione democratica, questioni su cui si dovrebbe essere tutti meno indulgenti.

  2. Ho letto con colpevole ritardo !
    Ma il tema dei “corpi intermedi” meriterebbe un convegno che potrebbe promuovere il coordinamento C3 dem.
    Basterebbero solo tre autori dell’interessante saggio .
    La deriva leaderistica con l’enfasi sul decisionismo, un nuovo “centralismo” e la crisi della collegialità sono ormai di casa .

  3. Per chi, come me, ha dedicato una vita alla CISL e ora segue le vicende sindacali da semplice iscritto, prova un che di amarezza nel leggere queste parole di Sandro Antoniazzi, le considerazioni di Savino ma anche l’articolo di Padre Franscesco Occhetta pubblicato su La Civiltà Cattolica “La notte del Sindacato”, ma non perde la speranza che il sindacato possa, perché e ne ha le forze e le capacità, superare le difficoltà di questa difficile fase storica che segna il passaggio ad un modo di essere “altro” rispetto a quello vissuto e sperimentato.
    Non in termini di analisi esaustiva, non possibile nello spazio di un commento, ma credo che almeno tre siano le questioni che il sindacato, o movimento sindacale che dir si voglia, e la CISL in particolare, devono affrontare con priorità:
    1) il superamento di un modo autoreferenziale di essere del sindacato che pur se a parole afferma il contrario, di fatto sovrasta e limita tutti i corpi sociali intermedi, compresi quelli del terzo settore. Se il sindacato continua a vivere con lo sguardo rivolto al passato della concertazione piuttosto che al futuro della partecipazione e non si rende conto della progressiva irrilevanza del corpi intermedi nei processi decisionali che riguardano il Paese, i suoi problemi e il suo futuro, non solo rischia di essere, ma di fatto è parte di un processo di riduzione della partecipazione e dunque della democrazia nel nostro Paese. Se il sindacato non si assume il compito di costituirsi e di comportarsi come centro di gravità per corpi sociali intermedi che hanno pari dignità e sono espressione di partecipazione, di responsabilità e di democrazia, viene meno alla sua ragion d’essere: dare rappresentanza e voce a chi non ha né rappresentanza né voce.
    2) affinché gli spazi di partecipazione che il sindacato rivendica alla politica e al Governo ai vari livelli sia una richiesta credibile, questi debbono, anzitutto, esserci al suo interno come modalità di decisione sulle politiche e di scelta del gruppo dirigente. Non basta e non serve celebrare i congressi ogni quattro anni per affermare la natura democratica e partecipativa della vita del sindacato, quando invece è evidente la natura oligarchica delle scelte relative al gruppo dirigente e alla politiche. Per rendere esplicita questa affermazione basti ricordare quanto avvenuto nella CISL. Savino Pezzotta che al Congresso del luglio 2005 aveva ottenuto oltre il 95% dei voti ed è stato eletto Segretario Generale, dopo sei mesi è stato costretto alle dimissioni in quanto, estraneo alla logica dell’oligarchia interna ed esterna ai gruppi dirigenti, non accettava l’imposizione di Bonanni come Segretario Generale Aggiunto. Analoga è la vicenda Bonanni che, in quanto capo degli oligarchi, non solo si è autodeterminato lo stipendio, ma lasciando la Segreteria Generale quando è scoppiato il caso dei maxi stipendi, ha anche determinato la sua successione e la composizione della Segreteria CISL. Va detto che la CGIL, per non parlare della UIL, non è messa molto meglio, in quanto anche per loro vige la regola dell’oligarchia che determina politiche e poteri.
    3) il sindacato è sicuramente, in termini di numero di aderenti (circa 12 milioni), una grande forza che però conta e determina poco in ragione delle divisioni che l’attraversano e che vede CGIL, CISL e UIL molto più impegnate ad evidenziare ciò che le divide e le caratterizza e molto meno ciò che le unisce e le accomuna. E’ incomprensibile come, dopo una fase di unità d’azione e di intenti durata diversi decenni, che è stata la condizione che ha consentito il superamento, o quanto meno l’attenuazione delle divisioni e contrapposizioni in campo politico, si sia scelto di porre fine alla Federazione CGIL, CISL, UIL, così come è incomprensibile che mentre a livello politico, pur con tutti i limiti di questa esperienza, continui a vivere nel PD una sostanziale unità tra la tradizione cattolica e quella comunista, nel rapporto tra CGIL, CISL e UIL, si faccia grande fatica a trovare sintesi e iniziativa comuni. Ciò che manca nel sindacato è un pensiero grande che sia in grado di mobilitare le energie, che pure ci sono e sono molte, per costruire un sindacato unitario, che non sia la somma di ciò che esiste, ma superi, vada oltre, le attuali sigle confederali, di queste ne sia la rifondazione organizzativa, ma anzitutto, di contenuti e di politiche. Come potrebbe il sistema politico e di Governo prescindere dal rapporto e coinvolgimento di una forza sociale che rappresenta 12 milioni di persone? Dovrebbe bastare questo perché si cominci a dare qualche risposta alla crisi del sindacato.
    Guardando con sempre grande interesse a quanto avviene nella CISL, voglio condividere Ivo Camerini che dice “la nuova CISL è già tra noi”. Mi auguro ed ho speranza che sia cosi, per il bene dei lavoratori e del Paese.

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