Ho accolto con dispiacere e con un vivo sentimento di amicizia la notizia del dies natalis di Armando Rigobello, conoscendo la sua avanzata età. Avevo cominciato a leggere il suo nome quando ero al liceo e frequentavo il Movimento Studenti di AC. Seguivamo le dispense di un “Corso nazionale militanti studenti”, che uscì in 12 numeri, dal dicembre 1953 all’ottobre 1954, quando io mi iscrissi in filosofia all’Università Cattolica di Milano. Nelle citate dispense Rigobello curava i capitoli su Persona e società, mentre della “spiritualità del Movimento”, della “realtà e vocazione studetesca in Italia”, della “vocazione dello studente in Italia” e delle “Idee del Movimento” si occupavano don Giuseppe Nebiolo, VIncenzo Saba, Mons Emilio Guano, diversi responsabili dell’Ufficio Centrale studenti, fra cui comparivano Alvise Cherubini, Mario Rossi, Piersanti Mattarella, Agostino Greggi.
Rigobello era nato a Badia Polesine nel 1924 ed era stato allievo, a Padova, di Luigi Stefanini, e, con lui, di Emmanuel Mounier, e, durante il lungo soggiorno a Monaco di Baviera, di Romano Guardini. In Cattolica noi studenti, da neotomisti allievi di Olgiati, della Vanni Rovighi e di Bontadini, seguivamo con sospetto, ma anche con simpatia, lo spiritualismo e il personalismo italiano, fra cui spiccava il nome di Rigobello, che sarebbe diventato ordinario a Perugia nel 1963.
Lo vidi per la prima volta in sede congressuale UCIIM, nel 1964 (tema: “Una scuola nuova per una società nuova”), e poi nel Consiglio centrale, dove era stato cooptato da Nosengo fra i cooptati illustri. Era insieme giovanile e saggio, umile e divertente, col suo dialetto veneto, che infilava talora anche in discorsi paludati; pacato nei modi, era tenace nel difendere i suoi punti di vista. Insegnò a Roma, prima alla Sapienza, poi a Tor Vergata, storia della filosofia e filosofia morale; fu nominato membro del Consiglio di Amministrazione della RAI, in un periodoabbastanza turbolento. Fra i molti suoi saggi impegnativi ha generosamente collaborato alle collane dell’UCIIM, fra l’altro dedicando un saggio al suo amico Nosengo (“Al centro l’uomo. Il personalismo di Gesualdo Nosengo”, pp.83-96), da lui definito “personalismo testimoniato”, nel volume curato da Giuseppe Cavallotto, uscito nel 2000 presso la Urbaniana University Press.
Lo incontrammo anche nella Consulta per la pastorale universitaria, come consigliere e anche come relatore; a Gallarate tra i filosofi e a Praja a Mare, nei convegni pedagogici organizzati da Peppino Serio, da Antonio Pieretti e dal sottoscritto. Si conversava amabilmente con lui. Non s’imponeva, non fuggiva, non cambiava discorso. Era un professore autorevole e mite, un cattolico leale, attento a dialogare con tutti i principali filosofi del secolo scorso, partecipando anche alla vita ecclesiale e a quella associativa. Cercava di difendersi dalla “slavina” di scritti che da ogni parte cominciavano a piovergli nel computer, per chiedergli un parere su tutto, distraendolo dallo studio e dalla fedeltà agli impegni che si assumeva.
Grazie, Armando, anche a nome del MSAC, dei tuoi studenti e dell’UCIIM.
Luciano Corradini