Nella rete c3dem, sul dibattito intorno al referendum di ottobre, i pareri sono differenziati, come si è visto anche da precedenti interventi e commenti. In questo “30righe”, dunque, l’autore, che è coordinatore della rete, interviene a titolo personale
La tensione per il referendum sulla Legge di riforma costituzionale è destinata a crescere. E forse sarà alta anche dopo l’esito referendario. E’ auspicabile, comunque, che non solo si cerchi di abbassare i toni, ma si tenti, tutti, un’operazione di sana ragionevolezza che spinga sempre di più a discutere con pacatezza sul merito delle questioni.
Inoltre, elemento nient’affatto secondario, sulla veridicità delle dichiarazioni fatte dai protagonisti del dibattito è necessaria maggiore prudenza. E’ un punto che riguarda soprattutto noi giornalisti e mediatori. Il potere d’influenzare, in modo diretto o indiretto, se ne prenda coscienza, è enorme: molti cittadini, distratti dalle vicende politiche (e non sempre è deprecabile, per tanti che fanno anche molte altre cose nella propria vita, oltre che lavorare e curare la famiglia…), non sanno di cosa si sta parlando e traggono le proprie conclusioni solo da pochi titoli di giornale o da battute riportate tra virgolette e, per ciò stesso, immaginate come veramente pronunciate.
Cito tre esempi. Su uno di essi è stata fatta chiarezza, ma il retrogusto di una presunta gaffe della ministra Boschi sul voto dei partigiani rimane. Se avesse detto (nella trasmissione di Lucia Annunziata, “In mezz’ora”): “Anpi: chi vota SI è un vero partigiano”, sarebbe stata, sì, improvvida. Ma non ha detto così, non ha dato pagelle: ha solo detto che nell’ANPI non ci sono soltanto i veri partigiani, ma anche (stimati) iscritti che però partigiani non sono anche solo per ragioni di anagrafe (io sono tra questi da quattro anni). Quelli (anagraficamente) veri, secondo lei, votano per il Sì (può essere che non sia proprio così, ma è inconfutabile che ci siano differenze tra gli uni e gli altri). Davvero si meritava una reprimenda del tipo: “Come si permette?”, e la severa canea che ne è nata dopo?
Secondo: agli inizi di maggio Renzi in un comizio a Firenze fa riferimento alla questione della credibilità dell’Italia che notoriamente ha avuto quasi un governo in media ogni anno (63 in 70 anni). Contestabile? Difficilmente. Ecco il report di quell’intervento https://www.youtube.com/watch?v=SFli0VbYZMk. Ma nella narrazione giornalistica (riportata e citata diverse volte) è stata presentata come la vanteria del solito giovane impertinente che dimentica la gloriosa storia italiana e vanta solo i meriti del suo governo, che avrebbe fatto meglio di tutti gli altri governi, i quali sarebbero dunque “dormienti” (scritto tra virgolette, ma la parola non è stata mai detta). Qui siamo all’aggiunta sottile, e non solo all’interpretazione scorretta, perfino deontologicamente condannabile. E lo stimato giornalista della Repubblica, Stefano Folli, riportando per errore la presunta citazione, nel suo puntuale editoriale di commento politico del giorno dopo, attacca il premier su una cosa che non ha mai detto, giudicandola temeraria e necessaria di correzione.
Terzo: il termine ricatto, applicato alla decisione di Renzi di lasciare la politica (si vedrà se sarà vero, naturalmente), nel caso in cui i No prevalessero. Il termine “ricatto” disegna la figura di un ricattatore, spregevole dovunque, perché costringe, con la forza e con le intimidazioni, altri a compiere azioni contrarie alla propria volontà per evitare un danno maggiore. Al di là del fatto che definirsi sconfitti e quindi non più spendibili sul piano politico, dopo aver investito in modo determinante sulle riforme definendole cruciali per la vita democratica del Paese, è a mio avviso un atto di igiene politica e di serietà, non sono proprio molti degli avversari del presidente del Consiglio (quasi tutti per il No) a giudicare Renzi un usurpatore (“mai eletto”) della carica di primo ministro? Quindi farebbe loro un piacere, se se ne andasse … E questo è un ricatto?
Ci sarebbe tanto altro da puntualizzare: i reciproci insulti (“gufi” e “professoroni”, da una parte, e “brutali e ingenui”, dall’altra, vedi Zagrebelski) non fanno affatto bene alla consapevolezza che occorre per maturare un giudizio sereno il giorno in cui si andrà al voto.
Sarebbe opportuna una moratoria giornalistica su queste presunte notizie. È proprio così difficile lavorare con maggior prudenza e attenersi al vero il più possibile? E vale la pena, se ancora si crede alla nobiltà di questo mestiere, rischiare di prendere qualche “buca” perché non si è veramente valutato quel che viene detto e fatto?
Lo so, è un’annosa questione di deontologia professionale, che è valida sempre. Ma forse oggi, quando il Paese rischia di spaccarsi davvero, lo è ancora di più.
Vittorio Sammarco
2 Giugno 2016 at 19:36
Gentile Sammarco, perfettamente d’accordo col suo intervento, che ha un solo difetto: che adesso qualcuno la accuserà (indebitamente) di essere renziano.
Sulla terza questione, ricordo di aver letto un fondo sul Corriere in cui l’autore (che ora non ricordo) notava che in caso di vittoria del no sarebbero proprio i suoi avversari ad esigere (ovviamente, direi) le sue dimissioni.
Mi pare che il ministro Boschi (negli ultimi 3 minuti del video in cui risponde allo studente di Catania, https://www.youtube.com/watch?v=B-iTBQn_Ygw) esprima nel modo più profondo – sul piano sia umano che politico – le ragioni di queste eventuali dimissioni.