A conclusione di alcuni incontri sulla riforma costituzionale e il prossimo referendum, organizzati dall’Istituto regionale De Gasperi a Bologna, l’autore è intervenuto alla Tavola rotonda conclusiva “Il referendum costituzionale tra le ragioni del sì, quelle del no e le ragioni del dubbio”. Riportiamo il suo intervento
Accanto alle ragioni del SI e del NO rappresento le ragioni del dubbio. Pongo problemi, è vero, non sono soddisfatto dalle risposte note. Ma non vuole dire che nel prossimo Referendum non andrò a votare e tantomeno che invito a non votare al Referendum. Sono semplicemente in ricerca. Vorrei essere posto dall’ordinamento nelle condizioni migliori per fare una scelta, vorrei una discussione pubblica che mi aiuti a farmi un’idea delle cose.
Nei nostri tre precedenti incontri abbiamo “spacchettato” noi la riforma: abbiamo ragionato su tre stralci, tre parti (relativamente) autonome della riforma e questo, inducendoci a una comprensione e a una valutazione un po’ puntuale, ci ha forse aiutato contro la tentazione del plebiscito, la semplificazione e la riduzione progressiva della posta in gioco attorno a qualche slogan prima, a una struttura di potere e a una persona poi.
- Confesso che la parte della riforma riguardante il nuovo Titolo V (secondo incontro) è quella che mi lascia più perplesso.
Mi sono formato, politicamente, alla scuola di Ermanno Gorrieri e sono un regionalista convinto. Non al punto di rimuovere i tanti limiti del nostro regionalismo. Ma non lo correggeremo deprimendolo e soprattutto riducendo il ruolo di enti di legislazione delle nostre Regioni, incoraggiandole ulteriormente verso l’ammi-nistrazione e i suoi traffici. Non so se la soppressione delle materie concorrenti e la riduzione delle competenze legislative o ad esclusive dello Stato o ad esclusive delle Regioni, migliorerà la situazione. Temo che l’irrigidisca. Ma soprattutto l’operazione si è risolta in un massiccio trasferimento di competenze (generali e puntuali) verso lo Stato: penso per tutte all’area del lavoro; penso al richiamo al centro di quel “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” al quale precedentemente partecipavano anche le Regioni, col risultato che (art. 119) sarà solo una legge dello Stato a dare disposizioni su tributi ed entrate di Comuni, Città Metropolitane e Regioni, un vero colpo alla loro autonomia e alla loro responsabilità.
Sul punto direi un NO. Ma, interpello tutti: le cose importanti e i cambiamenti si possono fare solo dal centro? Non si deve cercare di cambiare tutti, centro e periferia, per una virtuosa logica sistemica?
- Sul nuovo Senato (primo incontro) sono combattuto.
Attendo da tempo anch’io una sola Camera politica, per evitare che la seconda Camera si presti a continuare senza posa i conflitti tra e nei partiti sorti nella prima Camera, che le elezioni diano esiti difformi dall’una all’altra (Prodi e la sua maggioranza risicata al Senato!), ma soprattutto per sostituire finalmente la seconda Camera con la Camera delle Regioni, la vecchia idea del Costituente autonomista Emilio Lussu ripresa dalla tesi n. 4 del primo Ulivo e praticata in un importante paese europeo.
Ora, temo che se si perdesse l’occasione di questa riforma, ci terremmo ancora a lungo il Senato politico (è una questione di casta con i suoi privilegi, in tanto professionismo politico senza responsabilità).
D’altra parte, il Senato della riforma è cosa ben diversa dalla Camera delle Regioni (per farmi capire meglio, le Regioni nella loro Camera!).
Il Senato della riforma si struttura sul confronto interno alle singole Regioni (loro maggioranze e minoranze, loro partiti, i senatori eletti dalle une e dalle altre), non sul confronto tra Regioni (rappresentate dalle loro Presidenze già investite dal voto popolare).
Si può passar sopra a come è stata realizzata la partecipazione del nuovo Senato alla formazione delle leggi (le cose si possono aggiustare lungo il percorso) ma non sul “voto diviso” delle singole rappresentanze regionali: qui c’è l’annuncio della dispersione e la garanzia che la nuova Camera non servirà alle nostre Regioni (al loro confronto, alla loro collaborazione) e si porrà come un formidabile inciampo nel processo di formazione delle leggi.
Confronto tra Regioni nella loro Camera vuol dire trovare incontri, accordi, sintesi per rappresentarsi tutte insieme e talora anche tutelarsi di fronte allo Stato. Vuol dire dare forza al regionalismo.
Sarebbe necessario riformare la riforma. Potrà farlo un Legislatore tanto avaro verso il regionalismo, come lo è stato l’Autore del nuovo Titolo V?
Dunque, sul punto del Senato per un verso direi un SI (abolizione del Senato come Camera politica), per un verso un NO (a “questo” Senato). Spero che i miei due interlocutori mi offrano argomentazioni per far pendere la mia scelta da una parte o dall’altra.
3. Nel terzo incontro abbiamo esaminato le modifiche della riforma incidenti sulla forma di Governo ed altre modifiche, una serie eterogenea di piccole e meno piccole cose, talora favorevoli al Parlamento (Statuto delle opposizioni, accesso diretto dei parlamentari alla Corte Costituzionale per il vaglio preventivo delle leggi elettorali), talora al Governo (voto a data certa), cose talora di incremento alla partecipazione popolare (in materia di referendum), forse di aggravio (in materia di leggi di iniziativa popolare). Ma si sono subito imposti, per la loro importanza sistemica, i nuovi quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica. Li ricordo perché sono stati oggetto sulla stampa, spesso, di clamorose inesattezze: fino al terzo scrutinio maggioranza di due terzi dell’assemblea, dal quarto al sesto scrutinio tre quinti dell’assemblea, dal settimo scrutinio in poi tre quinti dei votanti. Insomma il Presidente della Repubblica verrebbe sottratto alla disponibilità del partito di maggioranza assoluta (in seggi, per tramite dell’Italicum).
La messa in sicurezza del Presidente della Repubblica si riverbera sulla Corte Costituzionale (sui cinque membri da lui nominati, che per la composizione dell’organo farebbero la differenza tra dipendenza e indipendenza della Corte).
Qui, dunque, un SI convinto. E anche un riconoscimento: se la mano dei miei amici della sinistra Pd aveva spinto il legislatore all’improvvida elezione dei Senatori, qui ha operato bene per prevenire un vero rischio per la nostra democrazia.
4. Un NO (nuovo Titolo V), un SI (nuovi quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica), un NON SO (nuovo Senato): regolerò in coscienza i miei problemi, dovendo esprimere un unico si o un unico no. Certo, c’è una difficoltà personale, ma è tutta colpa mia? Non è anche responsabilità dell’ordinamento che su una materia così composita mi impone una notevole semplificazione? Anche in queste cose, la nostra democrazia non dovrebbe trovare meccanismi più sofisticati e più ricchi, all’altezza di noi moderni?
5. Questa riforma, è stato osservato nel terzo incontro, non porta alcuna modifica nel cuore della struttura democratico-costituzionale della nostra Repubblica. Non opera una fuoriuscita clamorosa dal sistema parlamentare (verso il semipresidenzialismo francese) ma non opera nemmeno una più modesta ma sempre assai utile razionalizzazione dell’attuale assetto parlamentare. Le cronache parlamentari ci dicono che se ci fu una tentazione in quest’ultimo senso, essa fu subito respinta: faceva ostacolo il metodo adottato per la gestione politica della riforma costituzionale (iniziativa del Governo, fortemente presidiata dala sua maggioranza), che non avrebbe consentito la condivisione necessaria per fare cose non esplosive ma comunque delicate.
Pongo il problema per il dopo Referendum ed interpello sia il SI sia il NO: vorremo primo o poi irrobustire il rapporto di responsabilità tra Governo e Parlamento con una elezione del primo da parte del secondo, per tutta la legislatura, salvo il meccanismo della sfiducia costruttiva? Vorremo prima o poi un’elezione del solo Primo Ministro (con le modalità adottate in Germania, che conservano ruolo al Presidente della Repubblica), mettendo il Premier di governo in grado non solo di scegliere ma anche di revocare i suoi Ministri?
In definitiva, vorremo finalmente fare dell’organizzazione costituzionale una cornice e un riferimento sicuri per le nostre azioni e le nostre congiunture politiche?
Domenico Cella