Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di un amico-lettore del nostro portale, della provincia di Cremona
Volentieri vorrei entrare nel dibattito aperto da Franco Monaco nell’agorà dei cattolici e democratici, il portale c3dem, con l’articolo del 9 dicembre “Cattolici e referendum”, per riprendere, qui, le cinque ragioni da lui enunciate, secondo le quali si sarebbe generato, nella circostanza del referendum costituzionale tenutosi pochi giorni fa, uno scostamento di settori del mondo cattolico, spingendo, come sostiene Monaco, una parte cospicua e forse maggioritaria dell’universo cattolico a schierarsi per il sì.
Di Franco Monaco ho sempre apprezzato e sostenuto il suo stimolante pensiero di cattolico e politico, e ancora oggi ne apprezzo la sua acuta analisi, espressa a margine del referendum.
Questa mia personale riflessione vuole porsi, senza presunzione alcuna, su un piano di pacato confronto con lui e con gli altri interlocutori del tema in oggetto.
Di quelle cinque ragioni deficitarie accennate da Monaco, quattro riguarderebbero, primariamente, il comportamento dei cattolici nel loro fare politica, e solo una il ruolo svolto dalla Chiesa, nel suo modo di essere negli “interessi cattolici”.
A riguardo di quest’ultima ragione, mi pare possa essere di aiuto quanto espresso recentemente da “La Civiltà Cattolica” nell’articolo a firma di Giovanni Sale S.I., apparso sul n° 3990, del 24 settembre 2016.
«La Chiesa al tempo di Papa Francesco ha chiaramente manifestato l’intenzione, su questa materia, di non voler più dare adito a sospetti di collateralismo con il potere politico – archiviando una pratica che nel passato anche recente, almeno in Italia, non era stata talvolta disdegnata dalle gerarchie ecclesiastiche per difendere i cosiddetti «interessi cattolici» -, riconoscendo l’autonomia dello Stato e rispettandone l’ambito di competenza e di azione nello spazio pubblico. La rispettosa neutralità che la Santa Sede ha conservato nella recente questione della riforma referendaria, come pure su altre materie, sta a dimostrare come questa modalità di rapporto sia ormai completamente tramontata».
Sugli altri quattro deficit puntualizzati da Monaco, li riunirei in un’unica considerazione, che vado ora a esporre.
Purtroppo la notte della repubblica non è del tutto superata e la lunga transizione democratica non sembra scongiurata. Infatti, dopo la prima e la seconda Repubblica sembra si torni sempre al punto di partenza. Sembriamo incapaci di raccogliere la lezione della storia o di voltare pagina, mettendoci in ascolto della crisi che, da lungo tempo, attraversa le istituzioni e gli stessi uomini che le rappresentano.
Il Paese Italia, attraversato dallo scandalo dei privilegi di una «casta» incapace di rigenerarsi e di colmare la distanza tra cittadini e palazzo, di dare risposte ai problemi reali della gente e di creare le condizioni per un cambiamento radicale, secondo le regole e gli strumenti di una democrazia matura, sembra fatalmente destinato a una sorte profeticamente annunciata tempo: «Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere» (Aldo Moro – 1978).
L’on. Aldo Moro, acuto osservatore della realtà, colse da subito i primi segnali della crisi profonda tra politica e società, tra cittadini e istituzioni e nella tenuta dell’ordine democratico, tanto che, all’assemblea dei gruppi parlamentari tenutasi il 28 febbraio 1978, si espresse, senza fare sconti, in termini molto espliciti: «Devo riconoscere che qualche cosa da anni è guasto è arrugginito nel normale meccanismo della vita politica italiana. C’è una crisi dell’ordine democratico. Temo il dato serpeggiante del rifiuto dell’autorità, della deformazione della libertà che non sappia accettare né vincoli né solidarietà».
Tuttavia, dentro quella crisi, Aldo Moro ebbe occhi per cogliere gli aspetti di cambiamento e di possibile passaggio verso una democrazia più matura, seppe, con lungimiranza e sano realismo, “guardare avanti”. A chi scriveva di lui, qualificandolo come un profeta di sventure, rispondeva con la saggezza che gli era propria: «No, non sono un pessimista vedo che tutto questo, anche se può in qualche misura tralignare, è il cammino dell’uomo, un andare più in alto e avanti… So che, pur con distorsioni ed errori, per i quali si paga talvolta un alto prezzo, avanza nella nostra epoca una nuova umanità, più ricca di valori, più consapevole dei suoi diritti, più impegnata nella vita sociale».
Con tanto rispettoso e fraterno affetto, mi verrebbe da ricordare a Franco Monaco una riflessione religiosa ma anche politica di Dossetti, a lui tanto cara, dove il monaco emiliano commemorando l’amico Giuseppe Lazzati, nell’ottavo anniversario della sua morte, sostanzialmente affermava che, senza alcun rimpianto per il passato (il giorno precedente), ai suoi pesi, alle sue prove, ai suoi tormenti e alla sue speranze, la sentinella stessa non si ripiega a considerare e tantomeno a rimpiangere il giorno prima, non si limita a rivendicare con energia il patrimonio passato e ad “avere l’orgoglio delle proprie ragioni”, ma getta il proprio sguardo in avanti, nel tentativo di comprendere che la storia del mondo non sarebbe quella che è se la speranza non alimentasse i nostri sforzi e la carità non illuminasse la nostra vita quotidiana. (Giuseppe Dossetti, 1994 – Sentinella, quanto resta della notte?)
Del resto, tanto Dossetti come Moro, sentinelle salde e forti, vissero insegnando il raro dono del “guardare avanti”, con quel respiro di carità e di speranza, mettendo in gioco la propria vita per una causa più grande.
Nell’aprile del 1977, un anno prima della fine tragica della sua esistenza, l’On. Aldo Moro scriveva: «Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiamo il proprio libero spazio intangibile, nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo. La pace civile corrisponde puntualmente a questa grande vicenda del libero progresso umano, nella quale rispetto e riconoscimento emergono spontanei, mentre si lavora ciascuno a proprio modo, ad escludere cose mediocri, per fare posto a cose più grandi» (Aldo Moro – Agire uniti nella diversità – Il Giorno, 10 aprile 1977).
Conviene, per chi non ha dimenticato, e sono tra questi, alimentare discretamente il “ricordo”, un patrimonio etereo, impalpabile, ma non di rado capace di dare senso al cammino di chi è rimasto: l’ho fatto a settembre, ricordando, con uno scritto indirizzato al settimanale cattolico cremasco “Il Nuovo Torrazzo”, la figura di Aldo Moro, a cento anni dalla nascita; lo faccio ora, ricordano Giuseppe Dossetti, a venti anni dalla sua morte.
Concludo non senza ringraziare la redazione di c3dem, per avermi offerto l’opportunità di esprimere la mia modesta opinione in questo interessante dibattito aperto da Franco Monaco, che sinceramente saluto e ringrazio, unendo in questo anche coloro che sono intervenuti prima di me.
Chieve, 15 dicembre 2016
Lino Tosetti
e-mail: linonline@libero.it
16 Dicembre 2016 at 17:24
Bravissimo Lino Tosetti a documentarci in profondità, aggiungo solo che il referendum ha fatto emergere con il No una gamma di reazioni, ancor più preoccupanti quelle dei più giovani
Mi sembra che appartenga alla reazione la protesta degli studenti di Torino contro il loro compagno di classe premiato dalla Fondazione Einaudi per aver preso l’iniziativa di competere con il distributore di merendine (sanzionata dall’Istituto)