Mancano le idee, manca il dibattito, e la strada è in salita. L’incontro tra Prodi e la rete c3dem

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L’assemblea della rete c3dem dello scorso 21 gennaio a Bologna ha avuto due momenti: uno pubblico, incentrato sull’incontro e il dialogo con Romano Prodi, con lo scopo di riflettere sui principali nodi dello scenario internazionale, l’altro ristretto ai membri della rete (seppur aperto a chi fosse interessato), con lo scopo di eleggere un nuovo gruppo di coordinamento e ragionare sulle prospettive future.

Il tema scelto per l’incontro con Prodi era amplissimo. Diviso in tre parti: lo scenario mondiale (“Globalizzazione, conflitti, disuguaglianze: la situazione nel mondo…”),  il da farsi (“… le possibili vie da percorrere…”) e il nodo di sempre (“ …  il possibile contributo dei cattolici democratici”). Vittorio Sammarco, coordinatore uscente della rete, ha avviato l’incontro con poche note sintetiche: tre no e tre sì. No a chi pensa che non ci sia più ragion d’essere per i cattolici democratici; no alla irreversibilità della crisi della democrazia; no alle risposte semplicistiche, populistiche, alla complessità dei problemi. Sì alla possibilità e al valore di fare rete, valorizzando le differenze; sì alla politica come capacità di concretezza e insieme fedeltà a valori alti; sì allo studio, all’analisi, al pensare politico.

Quando Prodi ha iniziato a parlare, la sala (un locale dei salesiani con circa duecento posti a sedere) era piena. E già da prima dell’inizio Prodi era stato avvicinato da numerosi giornalisti che gli avevano chiesto non già del ruolo dei cattolici democratici ma bensì di Trump e, soprattutto, della possibilità di far rivivere il centrosinistra. Ed è da Trump che Prodi è partito, rivolgendosi all’uditorio. Trump che proprio il giorno prima aveva giurato sulla Bibbia e fatto il breve discorso di insediamento. Quindici minuti storici. Così di certo pensa Prodi, le cui prime parole sono state: “il discorso di Trump ieri è il cambiamento del mondo”. Poi, sì, ha detto che bisogna pur vedere se alle parole corrisponderanno i fatti (la speranza è che non sia così), ma la prospettiva è di un netto cambiamento degli assetti mondiali. Prodi ha subito collegato il riferimento a Trump a quanto aveva detto Sammarco in apertura: il rischio che la crisi della democrazia in atto possa rivelarsi irreversibile. “C’è un forte aumento dell’autoritarismo nel mondo”, ha osservato. E ne ha indicato i molti segnali. La Cina sta conoscendo una inversione di marcia, dopo anni di una pur lenta liberalizzazione; oggi, nelle mani del presidente Xi si vanno accentrando sempre più poteri; il paese conosce meno libertà, ad esempio nei mezzi di informazione. Il potere si verticalizza anche nella Turchia di Erdogan, dopo decenni di cammino di modernizzazione. Lo stesso accade in Russia con Putin, e le sanzioni contro Mosca non hanno fatto che coalizzare tutto il popolo con Putin. E ora Trump, il quale parla di un’America allo sfascio, mentre con Obama la disoccupazione si era ridotta ai minimi termini e si è avuto un forte sviluppo tecnologico; ma Trump – osserva Prodi – denuncia lo sfascio per aumentare il consenso su di sé e per accentrare più potere. La democrazia perde i colpi anche il India, in Egitto. E negli stessi paesi occidentali, dove sempre di più, nota prodi, si affida il potere di decidere a una persona o al suo gruppo. “La democrazia – dice – oggi è in ritirata. Dieci anni fa era diverso. La crisi oggi c’è, ed è forte. Ma non è irreversibile. Dipende da noi”.

Il “dipende da noi” ritornerà più volte nel discorso di Prodi. Qualche volta accompagnato da indicazioni operative, altre volte solo con l’annotazione che si deve riflettere, pensare, studiare, capire meglio, perché le soluzioni non sono in vista. Prodi, dunque, è perfettamente d’accordo con Vittorio Sammarco: non ci sono risposte facili ai problemi dell’oggi. Le dobbiamo trovare, dobbiamo arrivare a cambiare il corso delle cose, ma non servono risposte semplicistiche. E molte delle proposte di soluzione che più corrispondono ai nostri ideali – sottolinea Prodi – non sono oggi proponibili. Non sono realistiche. Prendiamo la diseguaglianza. Sta crescendo rapidamente. Ed è proprio la forte diseguaglianza ad aver creato le gravi tensioni che agitano il mondo. E’ la diseguaglianza che ha fatto vincere Trump in America. A votare Trump è stata la maggioranza dei cattolici praticanti, ha detto Prodi (forse volendo anticipare, con una certa dose di scetticismo, il discorso sul ruolo dei cattolici, democratici e non, in politica), e la totalità degli evangelici. Trump ha fatto leva sulla paura dell’aumento delle diseguaglianze, prodotte in America come altrove da una globalizzazione non regolata. Nella globalizzazione di questo inizio di secolo il lavoro è sotto controllo, ma non lo è il capitale. E trovare una politica che corregga questa stortura, secondo Prodi, è difficilissimo. Fino a prima del binomio Thatcher-Reagan, quando si è affermata la tesi che “non esiste la società, ma esiste solo l’individuo”, la diseguaglianza era contenuta. Perché di per sé l’economia di mercato non porta necessariamente all’aumento della diseguaglianza. Ma la dottrina thatcheriana sì. “Un controvangelo totale” l’ha chiamata Prodi. E così si è arrivati all’oggi, al Rapporto Oxfam che ci ha rivelato che 8 famiglie nel mondo posseggono la stessa ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale (circa 3,5 miliardi di persone).

Perché sia difficilissimo correggere questa situazione Prodi lo spiega. Non che lui sia del tutto pessimista, perché – dice –, se prima, fino a una ventina di anni fa, il crescere della diseguaglianza era accompagnato da una cultura che ridicolizzava quanti chiedevano un intervento dello Stato per regolare l’economia e la finanza, ormai da qualche tempo le cose, almeno a livello accademico, sono cambiate. Sono noti i lavori di Thomas Piketty, di Tony Atkinson. Oggi i Nobel dell’economia vengono dati a chi denuncia le ingiustizie del sistema economico. Però correggere i processi in corso è difficile, quasi impossibile, osserva Prodi, perché chi parla di aumentare le imposte perde le elezioni. In quasi tutti i paesi occidentali, benché non in America, si è persino tolta l’imposta sull’eredità, con la motivazione che essa limita la libertà delle persone, mentre fino a qualche tempo fa si pensava che fosse un intervento giusto nella direzione di cercare di mettere tutti in grado di correre con le proprie gambe. All’aumento delle imposte, insiste Prodi, oggi vota contro anche chi da quella decisione ci guadagnerebbe. Non solo. Oggi, in un clima di populismo imperante, vincono solo i partiti che denunciano la disuguaglianza esistente, ma che non indicano alcuno strumento per combattere quella diseguaglianza. Questo, per vincere, serve, e non altro: denunciare. Più i partiti rinunciano alle proprie radici ideologiche, limitandosi ad azioni di denuncia, più vincono (Prodi fa l’esempio della Francia dove Le Pen padre, identificato come fascista, prendeva solo il 15%, mentre Le Pen figlia, che dice di non essere né di destra né di sinistra, ma denuncia solo, prende il voto anche degli operai di Marsiglia).

Viceversa, per contrastare davvero l’aumento delle diseguaglianze, e con esso la crisi della democrazia che ne discende, ci sarebbe bisogno, secondo Prodi, di un forte impegno di redistribuzione dei redditi e di solidarietà sociale. Naturalmente, nel caso dell’Italia, questo andrebbe fatto tanto a livello nazionale quanto a livello europeo. E però, in Europa, la cosa si complica perché i paesi membri hanno tassi di crescita molto divergenti. E la politica economica dominante nell’Unione europea è condizionata fortemente dalla Germania, paese di fatto leader, la quale agisce secondo schemi dottrinali rigidi (pareggio di bilancio etc.), esercitando una leadership che non tiene conto dell’interesse generale (la Germania, secondo Prodi, non capisce che avrebbe un vantaggio anche per sé se operasse nell’interesse generale). Dall’impostazione dottrinale deriva l’ottica punitiva adottata nei confronti, in particolare, della Grecia, con un danno, però, che si è riversato su tutti i paesi dell’Unione. E dunque l’Unione europea è oggi priva di un minimo di solidarietà, che è proprio ciò che le servirebbe. Prodi si dice molto colpito dal fatto che nell’ultimo anno i consigli europei non abbiano preso nessuna decisione. E il paradosso è che l’unico organismo in Europa ad aver preso delle decisioni è la Bce, che è l’unico organismo non democratico dell’Europa. E’ la prova provata – sbotta Prodi – che davvero la democrazia sta arretrando ovunque.

E qui Prodi è preso da un forte realismo, e a questo realismo richiama chi lo ascolta. Dice: “Prima di dire che cosa dobbiamo fare, bisogna capire in che mondo viviamo. Perché se noi ci facciamo l’idea di vivere in un mondo diverso da quello in cui siamo, noi non riusciremo mai a prendere dei rimedi rispetto alla situazione in cui ci troviamo”. Qui è il punto. Di qui si deve per forza passare. Dopo l’incontro, qualcuno osservava che Prodi non avesse dato indicazioni, non avesse fatto proposte. In realtà ci ha invitato caldamente a riflettere sul fatto che, prima di poter iniziare ad individuare delle piste di lavoro, per correggere la situazione esistente, bisogna conoscerla bene, perché è su di quella che bisogna mettere le mani.

C’è un’altra, diciamo, categoria del pensiero a cui Prodi ricorre di fronte a situazioni di cui non si vede all’orizzonte in che modo si possa invertire la rotta. Come quando si pensa che, una volta toccato il fondo, si dovrà per forza risalire. Prodi osserva che ci sono, a volte, nella storia, dei “risvegli improvvisi”. Sulla crisi della solidarietà europea, e dunque sulla tenuta della sua unione, Prodi ritiene che, giunta come ormai è giunta sull’orlo del burrone, l’Europa farà un passo indietro e cambierà rotta. E’ stato così anche in passato, ad esempio quando la Francia gollista sembrava non voler rinunciare alla sua grandeur. E, comunque, Prodi mostra di non temere eccessivamente l’esito delle prossime elezioni in numerosi paesi europei: tanto i francesi quanto i tedeschi, di fronte, a un sì o a un no decisivo, finiranno per scegliere una politica europeista (tanto più i tedeschi che, tra i popoli europei, sono i meno populisti, forse perché – dice Prodi – si sentono appagati dal loro essere il paese leader in Europa).

Nelle ultime battute del suo intervento introduttivo Prodi torna a riflettere sull’attacco lanciato da Trump alla Nato e, di conseguenza, all’Europa, e il suo abbraccio a Putin. Si dice stupito che la Commissione europea sia rimasta silente. E, in questo caso, avanza due proposte. La prima: è necessario, dice, procedere verso una difesa europea. E’ una risposta obbligata. Cosa non impossibile a farsi, perché non c’è bisogno (per ora) di spendere di più: per acquistare efficienza, basta mettere insieme le forze sotto un unico comando. La seconda: è opportuno (Prodi non ha dubbi) ritirare le sanzioni a Mosca per la questione ucraina; sanzioni volute dagli americani, e appoggiate prima dai tedeschi e poi dagli altri paesi dell’Unione pur contro i loro stessi interessi, dopo trattative condotte in primo luogo dagli americani e nelle quali gli europei avevano partecipato solo come comparse.

Il discorso di Prodi – fatto a braccio, solo per aprire il dialogo con la sala – si conclude tornando alla paura che alberga tra la gente, paura che fa optare per derive populiste, paura che impoverisce la tenuta democratica, paura che nasce e cresce in una società quando essa non si sente più solidale. Far ritrovare all’Europa le ragioni della propria unione, dunque della propria solidarietà, è una via obbligata per fare sì che la crisi della democrazia non sia – come si diceva all’inizio – irreversibile.

 

Le domande e le risposte

Il dibattito si è sviluppato in due fasi. Nel primo giro di interventi hanno preso la parola Sandro Campanini, dell’Associazione Borgo di Parma (sulla democrazia in Europa e sull’euro), Francesco Prina, deputato Pd (immigrazione, riattualizzazione del cattolicesimo democratico) e Franco Monaco, anch’egli deputato Pd (pensiero economico e paradigma thatcheriano, pareggio di bilancio in Costituzione, diseguaglianza e questione fiscale).

Democrazia e leadership della Germania in Europa. Prodi la mette così: o si riesce a ripristinare i poteri sovranazionali in Europa oppure non si va da nessuna parte. Trova sorprendente che i telegiornali non diano più alcuno spazio alla Commissione europea e ne diano invece solo al Consiglio d’Europa.

Euro. L’euro ha funzionato molto bene fino all’insorgere della crisi economica. Senza l’armonizzazione fiscale, cioè senza solidarietà di tipo finanziario ed economico l’euro non può reggere. Ci si lamenta, osserva Prodi, che l’Italia non abbia più il potere di svalutare la moneta, ma un paese che svaluta la sua moneta è un paese marcio. Fuori dall’euro l’Italia tornerebbe ad essere solo un paese che produce beni a buon prezzo, rinunciando ad avere un ruolo attivo nel mondo. E’ piuttosto la Germania che sembra voler uscire dall’euro, ritenendosi abbastanza forte da farcela da sola ad affermarsi nel gioco della globalizzazione. Prodi dice di temere che proprio questa ancora taciuta propensione della Germania costituisca il vero problema della crisi di oggi.

Immigrazione.  Degli immigrati, dice Prodi, “noi ne abbiamo bisogno”. Abbiamo una forte crisi demografica. Nel 2016 sono più le persone che hanno compiuto gli 80 anni che quelle che sono venute al mondo. Gli immigrati sono indispensabili. Ma negli anni prima della crisi l’immigrazione era controllata, poi è andata fuori controllo con le guerre in Siria e in Libia. Noi italiani facciamo bene il primo soccorso, ma poi… E’ impressionate vedere le differenze nella gestione di questo problema tra Italia e Germania. Quanto al ministro Minniti, bisogna dire che in passato i Cie non hanno funzionato: e dunque o ne fanno una cosa molto diversa o non funzioneranno. In ogni caso l’attivismo di Minniti è positivo. Sebbene il problema lo si possa risolvere solo con la pace in Libia. Del resto l’Africa sub sahariana è il più grande centro di sviluppo demografico del mondo; di là verrà una fortissima migrazione, e l’unico accordo che si è riusciti a fare è con il Niger, perché è un paese di passaggio, che non ha migranti. Gli altri paesi non vogliono accordarsi perché subiscono la pressione demografica interna e vedono di buon occhio l’emigrazione. I muri e le reti fra i paesi dell’Unione europea sono un paradosso gravissimo; dicono della mancanza della più elementare solidarietà.

Riattualizzazione del cattolicesimo democratico. Abbiamo certo bisogno di progettualità, dice Prodi, ma dobbiamo renderci conto della diminuzione della fede e della influenza del cattolicesimo nella società italiana. Questa è una società diversa. A Bologna, per fare un esempio, oggi si sposa in chiesa il 20% delle coppie; quando Prodi era giovane la percentuale era del 90%. Prodi racconta che il cardinal Tauran, prete vicino alla sensibilità cattolico democratica, gli ha riferito di quando, andato presso una casa di gesuiti a Bordeaux per tenere dei corsi di catechesi  a dei giovani, aveva chiesto cosa fosse la quaresima, e nessuno rispose tranne uno che disse candidamente che si trattava di “una specie di ramadan”. Commenta Prodi: “Ma allora che cattolicesimo facciamo? Prima si deve fare il cattolicesimo e poi lo si fa democratico!”. E aggiunge: “Fare la rete va bene, ma il problema è il lievito, è avere voce nella società. Certo la testimonianza è importante, ma se voi mi chiedete dell’influenza sulla società io dico: teniamo presente la realtà”. Prodi dice che il grande messaggio di papa Francesco, il fatto cioè che si deve governare col vangelo e non col diritto canonico, lascia disorientata la chiesa, la quale non sa come governare con il solo vangelo. Dunque, certo, con Francesco si aprono degli spazi, ma sono spazi completamente diversi da quelli del passato, “perché oggi  – nota Prodi – non c’è più neppure un nemico da combattere!”.  E ancora: “Abbiamo detto prima che nel mondo politico c’è poco dibattito. Ma nel mondo cattolico ce n’è? No, non ce n’è”. Quando Prodi era ragazzo c’erano i Gedda, i Mario Rossi, e si dibatteva; e poi Balducci, Don Milani; c’era una fermentazione… “Questa nuova società è una società assorbente”, dice. E tutto quanto va riportato a questa situazione nuova, in modo meno eroico ma più difficile. Se riprende il dibattito, allora, dice Prodi, c’è anche un ruolo per il cattolicesimo democratico, altrimenti… “Un dialogo, mentre tutti dormiamo – conclude – diventa un sogno, e non è più un dialogo”.

Pensiero economico e paradigma thatcheriano. A un Franco Monaco un po’ scettico sul superamento di quel paradigma Prodi torna a dire che è un bel cambiamento il fatto che oggi tutti gli economisti e gli stessi politici ammettano che la disuguaglianza sociale sia un dramma. I riformisti alla Clinton e alla Blair non hanno fatto nulla sul tema della disuguaglianza. Si è avuto una sorta di pensiero unico. Ma oggi questo, almeno sul piano intellettuale, accademico, è finito (non tanto in Italia dove gli economisti poco si occupano di temi seri).

Pareggio di bilancio in Costituzione. Prodi , da keynesiano quale si considera, lo ha sempre considerato una follia, e lo ha scritto già a suo tempo. A volte capita che il parlamento commetta follie, dice. Forse la motivazione è stata che si doveva dare una frustata al pericolo di troppo lassismo.

Diseguaglianza e questione fiscale. Quello che sta succedendo, un po’ dappertutto, è che l’ascensore sociale si è fermato. I figli, se non sono disoccupati, fanno lo stesso mestiere del padre. Negli Stati Uniti è sempre più forte la distanza tra le università per i ricchi e quella per tutti gli altri. Le tasse nelle grandi università arrivano a 70 mila dollari all’anno, e il 10% di borse di studio non basta a compensare. E’ necessario agire sul piano fiscale, e in Italia non sarebbe tanto questione di elevare le imposte quanto di ridurre l’evasione; se avessimo un’evasione fiscale nella media europea avremmo un bilancio in attivo. Ed è la stabilità di governo il fattore che favorisce il pagamento delle tasse, come accadde quando sembrava che il primo governo Prodi (quello con Visco al Tesoro) sarebbe durato cinque anni: già dopo i primi quattro mesi di quel governo le entrate fiscali affluivano in misura molto maggiore che nel passato. Prodi accenna poi con sconcerto alle recenti minacce di Theresa May di fare della Gran Bretagna un paradiso fiscale: e fa riferimento al caso delle imposte di fatto non pagate dalla Apple all’Irlanda, osservando che, a fronte di un’imposta ridicola, l’attivo di quell’azienda è stato di ben 259 miliardi. E ora, con Trump, con la “grande America, fare accordi internazionali sul fisco sarà impossibile.

 

La seconda fase del dibattito ha visto intervenire Salvatore Vento, del Circolo Mounier di Genova (perché le forze progressiste non riescono a rispondere al crescere delle disuguaglianze e alla disoccupazione?), Vittorio Prodi , fisico (la questione del riscaldamento globale), Giancarla Codrignani, giornalista (nuove tecnologie e lavoro, chiesa del concilio e accoglienza dei migranti), Guido Formigoni, docente di Storia contemporanea a Milano (la sinistra e la mancanza di un’ideologia), Andrea Marchi (il ruolo del debito pubblico), Piergiorgio Grassi, docente di sociologia delle religioni a Urbino (nazionalismi nell’Est Europa, evitare di disperdere il patrimonio del cattolicesimo democratico), Antonio Manzo, giornalista (il ruolo dei cattolici contro l’ingiustizia al tempo di papa Francesco) e Franco Miccoli, di Gorizia (ancora sulla necessità di un ruolo non solo culturale ma anche politico e progettuale del cattolicesimo democratico).

 Le forze progressiste e le disuguaglianze. Oltre alla mancanza di una comprensione chiara dei fenomeni in corso, la ragione dell’incapacità della sinistra di rispondere alla questione delle disuguaglianze sta, secondo Prodi, nella mancanza di solidarietà, anche la solidarietà nel dividersi il lavoro che c’è, nel ridurre le barriere che frammentano e dividono il mercato del lavoro.

Riscaldamento globale. Su questo tema Prodi è molto pessimista. Rileva che Trump ha fin da subito deciso di non rispettare gli accordi presi. Sarà inevitabilmente la Cina, ora, a portare avanti la bandiera ecologica. Saranno loro a fare le automobili elettriche. E Trump, assumendo questa posizione, si mette contro il mondo intero. Anche il suo mondo. Tra due o tre anni il problema gli scoppierà tra le mani.

Nuove tecnologie e lavoro. Il mondo, dice Prodi, cambia nel modo più inaspettato. Un modo che crea più danni e però, al tempo stesso, meno tensioni. Prima si sarebbe reagito a questi cambiamenti così sconvolgenti, oggi invece si resta passivi. L’automazione, il 3D, tutte le nuove tecnologie riducono fortemente i posti di lavoro, ad esempio nelle funzioni di segreteria, nelle banche, nelle compagnie di viaggio, tra i geometri, gli architetti  e i disegnatori, e così via; eppure il fenomeno quasi non si vede, e non si protesta. La situazione sarà sempre più drammatica. Spero di sbagliarmi, dice Prodi, ma non vedo niente che possa dare sbocco ai tantissimi lavoratori che una macchina 3D sostituisce con solo tre o quattro operatori. Questa è davvero una rivoluzione tecnologica diversa dalle precedenti. E in Italia noi abbiamo le conseguenze di questa rivoluzione ma non abbiamo però gli elementi nnovatori che in qualche modo ci bilancino. Siamo doppiamente schiacciati. “Il rimedio reale, dunque, sarebbe quello di aumentare gli innovatori; ma – dice Prodi – io mi rendo anche conto che è una corsa mondiale verso l’abisso. Ecco perché dico che i rimedi che vi sto proponendo servono solo a cercare di arrivare ultimi sull’orlo dell’abisso”. Il fatto è che manca quello che dovrebbe essere il grande compito delle Nazioni Unite, le quali dovrebbero riflettere su questa realtà drammatica e decidere che, dopo aver favorito la globalizzazione, ora dovrebbero occuparsi del lavoro.

Mancanza di ideologia nella sinistra. Prodi risponde a Guido Formigoni dicendo che lui preferisce dire che manca il pensiero, non l’ideologia. L’ideologia è qualcosa che viene dall’alto, mentre il problema è che non si discute più; manca il dibattito. Il popolo che va contro l’establishment non dà mostra di avere un’ideologia; anzi, il successo di questa opposizione sta proprio nel non avere un’ideologia, perché, “se scelgono, diminuiscono”. Il problema, afferma Prodi, è di riprendere il dibattito, il dibattito sulla democrazia.

Debito pubblico. E’ certamente un problema molto serio. Ma una cosa è chiara, sostiene Prodi: non è possibile diminuirlo senza crescita. In questo momento, poi, il debito pubblico, con tassi che da parecchi anni sono molto bassi, non ci costa quasi niente (il 2%). Il fatto è che noi avremmo dovuto approfittare di questo per cercare di diminuire il debito ma non lo abbiamo fatto. Farlo significherebbe promuovere politiche di sistema: produttività, formazione, scuola… Altrimenti è una battaglia persa.

Nazionalismi in Europa e mondo cattolico. Nel rispondere alla questione dei nazionalismi riemergenti in Europa, si collega anche alle domande, più d’una, sul ruolo politico del cattolicesimo democratico. Inizia col dire che è piuttosto impressionante che, di fronte a quanto accade in Europa, non ci sia stato nessun messaggio significativo da parte dei vescovi europei, i quali hanno un loro organismo di coordinamento, la Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea, ndr). Negli anni in cui era a Bruxelles Prodi ebbe numerosi contatti con la Comece, nella quale “c’erano teste fini” e con la quale ebbe numerose occasioni di dialogo. C’erano le Settimane sociali francesi e iniziative analoghe in Italia, in Belgio … “Noi ci lamentiamo che le istituzioni europee non funzionano – osserva Prodi -. Ma la prima istituzione europea a non funzionare è la chiesa”. Questo, dice, è un discorso da riprendere. La Francia ha rappresentato molto nell’ambito del cattolicesimo democratico … I legami internazionali erano allora più forti di adesso. “Nel mondo cattolico – dice ancora Prodi – ci siamo provincializzati progressivamente”. E invece, aggiunge, ci si potrebbe aiutare a vicenda. Certo, tenendo conto del fatto che si è minoranza: “il mondo cattolico non è più una divisione, è un battaglione”.  Prodi si sofferma sulla situazione grave in cui versa la democrazia in Ungheria e ancor più in Polonia, due paesi malati di nazionalismo e di autoritarismo. E il problema a cui si deve prestare attenzione è che sta aumentando, in questi paesi, come anche in Turchia, in Russia, e in qualche modo anche negli altri paesi europei, non solo l’autoritarismo ma il consenso all’autoritarismo.

Cattolici democratici. Prodi, per la sua breve risposta conclusiva, parte dalla domanda sulle ingiustizie sociali e sul ruolo privilegiato che dovrebbero avere i cattolici nel combatterle. Il problema, dice, è che qui occorre un dibattito nuovo. Bisogna saper convincere la gente, perché nessun partito è disposto a perdere le elezioni. Questa è la situazione in cui siamo adesso. E se si va avanti così non potrà che esserci, prima o poi, uno scoppio … “Anzi – osserva  – Trump potrebbe proprio costituire l’innesco di qualcosa che non riesco a prevedere del tutto ma che è una rottura con il passato”.

A chi aveva chiesto se i cattolici democratici debbano costituire un semplice luogo di dibattito oppure debbano ricercare una presenza sul piano progettuale e politico, Prodi dà una risposta piena di prudenza e di realismo: “Non lo so. Non lo so, perché secondo me se si vuole avere spazio nel dibattito progettuale bisogna avere delle idee, e bisogna dibatterle. Insomma, io vedo una cosa strumentale all’altra. Non c’è in questo momento un gruppo di cattolici democratici che si possa dire che ha proposto questo, questo e questo. Non c’è. Un luogo di dibattito è indispensabile, è strumentale per avere un ruolo nella società”. Poi si chiede: “Quale è l’unico vantaggio della possibilità di successo di questo dibattito? E’ che c’è un vuoto assoluto”. Questo vuoto, spiega, c’è con tutta evidenza anche a destra.  “Allora, attenti – dice in conclusione Prodi  -. Questa, si dice, è una società in cui la politica conta sempre meno, perché c’è lo schiacciasassi del mondo economico. Ed è vero. C’è una politica che segue il discorso dell’economia con un certo fatalismo. E, sino a che le forze sono così sbilanciate, non vedo possibile un cambiamento. Per questo è necessario un dibattito, per arrivare poi eventualmente al discorso di una ideologia, parola che io considero sempre con un po’ di sgomento, ma – diciamo – alla elaborazione di un pensiero un po’ più organizzato”. “Di fronte all’angoscia della gente – dice infine –  si può dare una risposta non di aumento dell’autorità, della piramidalità della società, come viene data oggi, ma di una maggiore democrazia. Però bisogna preparare il contenuto di questa diversa risposta”.

 

Giampiero Forcesi

La video-registrazione integrale dell’incontro, fatta da Radio Radicale, è disponibile qui.

 

 

4 Comments

  1. Ottima sintesi. E’ stata davvero una bella giornata. Ora occorre entrare nel merito di alcuni temi fondamentali: il lavoro e le disuguaglianze. E soprattutto coinvolgere soggetti attivi, buone pratiche diffuse sul territorio. Le scadenze elettorali dovranno essere caratterizzate dalla capacità di elaboirare programmi coerenti con le finalità indicate.

    Buon lavoro a Sandro Campanini

    Salvatore Vento

  2. Ho seguito l’incontro e l’assemblea c3dem, come singolo cittadino, per darmi la possibilità di contribuire a “capire in che mondo viviamo”.
    Avevo preventivamente usato il portale con l’aspettativa di trovarlo più adeguato, rispetto ad altri strumenti offerti dala rete, a una comunicazione interpersonale costruttiva.
    Sia il portale, sia la giornata ai salesiani, mi hanno confermato che i miei potenziali contributi a nuove idee e a un “pensiero organizzato”, sono incomunicabili.
    Ho aderito alla rete, come sostenitore sperimentale, perché spero nell’avviamento di un processo evolutivo del portale che lo renda percepibile come “ambiente di sistema”.
    In un ambiente di sistema è necessario abilitare forme di “interoperabilità culturale” basate sul superamento dei limiti imposti dalla “pragmatica della comunicazione umana”.
    Traggo questo tipo di considerazioni da esperienze esistenziali maturate in ambiti informatici ad uso della ricerca scientifica, dal 1969 al 1982.
    Dal 1983 al 1989 ho cercato di mettere le mie esperienze a disposizione dell’industria informatica europea, nota come BISON [Bull, Icl, Siemens, Olivetti, Nixdorf], senza riuscire a modificare una politica aziendale con esclusivi interessi di mercato.
    Dal 1990 al 1993 ho cercato di mettere le mie esperienze a disposizione di uno studio e indagine sull’evoluzione degli standard dell’Information and Communication Technology.
    Dal 1994 cerco di introdurre il concetto di webterritorialità in un territorio dolomitico, patrimonio dell’umanità, sede del gruppo Luxottica.
    Per capire in che mondo viviamo dobbiamo anche capire perché la Commissione Europea non ha saputo cogliere l’opportunità di fare di internet quello che doveva diventare per fare l’Europa: non solo un’Open System Interconnection [OSI] ma, prima di tutto, un Open System Thinking Environment [OSTE]

    • Un’idea da dibattere potrebbe emergere dalla ricerca di una risposta alla domanda:

      Chi crea un ambiente che permetta di individuare, scegliere e integrare strumenti grazie ai quali diventa possibile il superamento di un blocco evolutivo, sociale e culturale, concettualmente analogo a una buca di potenziale?

      Si dovrebbe risalire alle cause del fallimento di un tentativo, da parte degli enti per gli standard internazionali, di creare un simile ambiente, denominato OSE [Open System Environment].

  3. Sono estremamente grato a Giampiero forcesi che ci offre una sintesi molto precisa, ampia e articolata, dell’incontro con Prodi che è stato ricco di spunti interessanti anche se ovviamente non risolutivo. Non credo che sarà facile trovare una strada per risolvere i problemi della partecipazione politica (e ancor prima di un progetto condiviso…). Ma possiamo e dobbiamo camminare in questa direzione con pazienza, attenzione e ricerca (dico ricerca di cose nuove ma anche ricerca di un consenso intorno a quelle che nuove non sono, ma sono tuttavia problematiche, motivo di discussione e talora di immobilismo). Cammino non facile, ma che ci obbliga a pensare e dialogare; e a cercare quelle intuizioni e quelle luci che ci possono aiutare a capire e descrivere realisticamente la situazione e a trovare ragionevoli e praticabili strade per migliorarla (e non con un colpo di fulmine ma con un’azione forte e costante)…. Già riflettere e dialogare su ciò (e senza avere interessi e progetti sotterranei e particolari) è cosa grande, importante e, speriamo, feconda. Grazie ancora a Giampiero (e a Prodi… e a tutti quanti partecipano in vario modo all’impresa e alla riflessione), angelo (bertani)

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