In un suo recente articolo su Repubblica (segnalato anche in questo sito) Alberto Melloni si chiede “dove sono i cattolici progressisti” e lamenta la scomparsa di “un canale che metta il Paese in comunicazione con riserve di intelligenza che spesso sono indispensabili”, maturate nell’ambito del cattolicesimo democratico o “progressista” . Il tema tocca nel vivo l’esperienza personale di molti di noi e delle associazioni che fanno riferimento alla rete c3dem.
Credo che oggi sia più complicato, rispetto al sistema dei partiti del passato (si pensi all’esperienza della DC), ricostruire quel “canale” (o forse quei canali…) di cui parla Melloni: paragonare la stagione attuale a quella che va dal secondo dopoguerra ai primi anni ’90, con le sue glorie (indubbie) ma anche con le sue miserie, è esercizio sicuramente utile; ma non possiamo basarci solo su ciò che è stato per capire cosa fare per l’oggi e per il domani. “Quel” passato non è riproducibile, al di là di come lo si giudichi, rimpiangendolo o criticandolo.
Premesso ciò, non ho la pretesa di fornire risposte e, anzi, credo che varrebbe la pena tener conto nella nostra riflessione (che su questi temi di fondo non si è mai interrotta) anche di questo contributo del prof. Melloni.
Mi concedo solo due brevi annotazioni.
La prima riguarda quello che Melloni scrive nelle ultime righe: “ricostruire quei canali richiederà uno sforzo enorme, un tempo enorme e un atteggiamento penitente”. Ecco, possiamo dire che le nostre associazioni sono dentro questo “sforzo enorme”, sono consapevoli che occorre perseveranza e non mancano di umiltà: esse continuano a elaborare, produrre cultura, creare occasioni di formazione e dibattito, nonostante le difficoltà che questo comporta.
E’ anche da questi percorsi che possono nascere vocazioni all’impegno diretto che magari arrivino sino a quella “superficie” che – fuori dalla metafora di Melloni – significa assunzione di responsabilità amministrative e politiche, mantenendo però un collegamento col proprio retroterra; il quale – va sempre ricordato – non ha il profilo di una lobby o di una consorteria ma è ambiente variegato, plurale, ricco di sensibilità diverse ma proprio per questo vivace e stimolante.
La seconda annotazione riguarda la possibilità di meglio valorizzare – per così dire – quello che già c’è. Ho l’impressione, a volte, che si faccia un po’ di fatica (da una parte e dall’altra) a tenere aperti i collegamenti tra persone impegnate in politica che hanno una formazione culturale simile alla nostra e i “mondi” dai quali sono venuti. Problema, questo, a dire il vero non nuovo (ho abbastanza anni per ricordare che veniva sollevato anche ai tempi della DC..); ma che certamente oggi, per tante ragioni che qui sarebbe lungo spiegare, si ripresenta e non ha risposte preconfezionate.
Mi chiedo perciò se anche sotto questo profilo non ci potrebbe essere un maggior sforzo reciproco: da parte di chi è impegnato in politica, nel sentire il rapporto col proprio “retroterra culturale” come qualcosa di importante, da cercare e non solo da accettare come eventualità; da parte di chi è impegnato culturalmente e socialmente, nel proporre un’interlocuzione aperta e costruttiva con chi ha ruoli politici, senza appiattimenti e collateralismi ma anche superando certe rigidità. Non sono poi così pochi coloro che già sono impegnati nell’ambito politico-amministrativo avendo alle spalle un riferimento ideale – in senso ampio – “cattolico democratico”…
Un incontro da cercare reciprocamente senza confusione di ruoli e senza strumentalizzazioni di sorta, ma anche con un po’ più di buona volontà e di fiducia.
Sandro Campanini