LAVORO, REDDITO MINIMO, REDDITO DI CITTADINANZA, WELFARE

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Al Festival dello sviluppo sostenibile (Napoli 22 maggio 2017) Maurizio Ferrera ha presentato una relazione su “Reddito per tutti? Sette tesi su lavoro e welfare”.  Pietro Ichino, insieme a un gruppo di studenti del team Tortugaecon.eu, ha elaborato uno studio su “Reddito minimo, reddito di cittadinanza e altre politiche sociali, in Italia e nel mondo”. Di entrambi pubblichiamo le slide che sintetizzano i due lavori. Luigino Bruni, sull’Avvenire, ha pubblicato, dopo l’accostamento ai francescani del M5S, una riflessione su “Lavoro e cura della povertà: la vera lezione dei francescani”. Il consulente del governo Marco Leonardi, sul Sole 24 ore, è intervenuto su “Lavoro: serve una decontribuzione permanente sui contratti stabili”.

 

 

 

 

One Comment

  1. Discutendo dei reddito di cittadinanza, mi pare opportuno, in premessa, richiamare due considerazioni:
    1) il tema del reddito di cittadinanza, o comunque si voglia chiamare, è un intervento di natura assistenziale motivato dall’assenza di una attività lavorativa destinata a produrre una retribuzione. Se così è, il problema non è il reddito di cittadinanza, ma il lavoro che non c’è, e se la risposta è un intervento assistenziale, significa sfuggire dai problemi che ha il Paese, dalla loro priorità e dimensione
    2) a parte ogni altra considerazione sull’attuabilità anche economica di questa misura, sul tema del lavoro vedo due limiti: a) non è “la priorità” della politica, essendo questa più interessata alle beghe tra i partiti che non ai problemi strutturali del Paese; b) non è neanche la priorità del Movimento Sindacale, CGIL, CISL e UIL in particolare, che certo né parlano ma il loro dire, fintanto che non diventa un “dire e un fare unitario”, resta come il raglio dell’asino, non arriva in Paradiso.
    Sempre sul tema del reddito di cittadinanza, ragionando in termini economici non dimentico che la politica, contrariamente alla scienza, mi ha insegnato che la matematica non è più una scienza esatta e oggettiva, ma che i numero sono “politici”. Lasciando da parte ogni altra considerazione etica, vediamo allora di ragionare:
    1) il reddito di cittadinanza dovrebbe interessare i 3.097.000 disoccupati censiti dall’ISTAT nel febbraio scorso.
    2) ad ognuna di queste persone verrebbe assicurato un reddito di 700 euro al mese per 12 mesi, pari a 8.400 euro ogni anno.
    3) 8.400 euro/anno per 3.097.000 persone comporta un costo di 26.014.800.000 euro, cioè oltre 26 miliardi, 9 in più di quanto previsto dal M5S.
    La proposta del M5S prevede un finanziamento di circa 20 miliardi resi disponibili attraverso 19 interventi che vanno dai tagli alla spesa pubblica, alla riduzione delle pensioni d’oro, all’abolizione del cumulo pensionistico, al taglio delle auto blu ospedaliere, ecc. Per carità tutte proposte condivisibili ma, come insegna la storia, dagli esiti assolutamente incerti.
    Dunque, anche solo dal punto di vista economico, come può reggere una simile proposta specie se considerata non su un solo anno ma, in termini strutturali, su più anni?

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