Per tanti di noi che nei primi anni ’90 hanno condiviso la battaglia dei “referendum Segni” per il maggioritario e “sognato” che anche in Italia si potesse affermare un moderno sistema bipolare o bipartitico, il ritorno al proporzionale – seppure corretto e assai migliore rispetto a quello in vigore fino a prima del 1994 – è indubbiamente ben difficile da accettare.
Taluni critici dell’attuale riforma lo erano anche, a suo tempo, della legge Mattarella, ma queste sono cose che succedono.
Ciò detto, si è arrivati a questo esito non per un caso della storia e quindi bisognerebbe attentamente riflettere sui vari passaggi che si sono succeduti.
Mi sarei aspettato qualche maggiore segnale di plauso al fatto che la nuova legge elettorale ha il consenso di tutte le maggiori forze politiche, persino di quel Movimento 5 stelle col quale mai o quasi mai è stato possibile trovare intese. Ricordo che nella discussione sulla riforma costituzionale una delle questioni sollevate dai sostenitori del No riguardava l’applicazione del principio “le regole si scrivono insieme”.
Comunque sia, il ritorno al proporzionale è per me e, credo, per molti altri, un brutto colpo, inutile nasconderlo; anche se si spera sempre in una qualche positiva eterogenesi dei fini e in un’ulteriore riforma, più avanti nel tempo.
La responsabilità di questo approdo va però suddivisa almeno per quattro; ed esso vede – comprensibilmente, vista la delicatezza della situazione – il favore del Presidente della Repubblica Mattarella.
Mi sembra che troppe critiche vengano rivolte all’unico partito che ha tentato in questi anni di avanzare soluzioni diverse, cioè il PD; e ci vorrebbe un po’ di prudenza nell’avanzare accuse e sospetti di accordi col centrodestra, dopo che già due governi assieme a Berlusconi (Monti e soprattutto Letta, senza nulla togliere alla serietà e generosità di chi condusse quell’esecutivo) si sono succeduti quando alla guida del partito c’erano dirigenti diversi da quelli attuali.
Sandro Campanini