A Ventimiglia la storia dell’accoglienza dei profughi comincia nella Chiesa di sant’Antonio (in località Gianchette, sulla strada che conduce al cimitero) ed ha come protagonista il suo parroco, il prete colombiano don Rito Julio Alvarez. Don Rito, ordinato sacerdote nel 2000, vive in Italia dal 1993. A Sanremo ha costituito l’associazione Onlus “Angeli di pace” che sostiene la Fondazione colombiana “Fundaciòn Oasis de amor y paz” a favore dei bambini e ragazzi sfruttati nelle piantagioni di cocaina o arruolati nei gruppi armati.
Nell’estate 2015 (da giugno ai primi di ottobre) i migranti, impediti di varcare il confine francese, occuparono la scogliera dei Balzi Rossi, mentre intorno i turisti facevano bagni di mare. L’anno successivo, il momento più drammatico fu il mese di maggio quando la presenza dei migranti raggiunse le mille unità. Non esisteva nessuna struttura e don Rito spalancò le porte della Chiesa che divenne un grande dormitorio. Nacque un movimento di solidarietà senza precedenti che assunse il nome di “Ventimiglia confine solidale”. Questo “Campo di transito per famiglie” ospita in media una settantina di persone, provenienti per lo più da Sudan, Eritrea, Etiopia, Somalia, Africa centrale. Ci sono donne (sole, incinta, con marito e figli) e ragazzi d‘età inferiore ai 15 anni. In un anno, racconta don Rito, sono passate circa quindicimila persone. La parrocchia fornisce diversi servizi, dal pernottamento ai pasti, integrati dalla presenza programmata di medici e di avvocati per la consulenza legale.
E’ un vero e proprio campus internazionale con continue presenze di volontari. Al momento della mia visita (18 luglio) erano presenti tre ragazze universitarie spagnole, che dedicano due settimane delle loro vacanze al volontariato, un inglese, Ben Teuten, dell’associazione “Refugee Youth Service”, coordinatore del progetto Calais, una coppia (lui italiano, lei inglese) della vicina località di Vallebona, che prepara la cena, e diverse volontarie dedite all’insegnamento dell’italiano. Uno degli ospiti più conosciuti è il sudanese Adam, che ha inoltrato domanda di asilo: nel cortile interno coltiva un piccolissimo orto.
Dal mese di luglio 2016 è attivo anche il campo attrezzato, “Parco Roya”, gestito dalla Croce Rossa che accoglie circa 500 persone. Un altro centinaio di profughi vive lungo il greto del fiume e non ne vuol sapere di dirigersi al centro di raccolta ufficiale. Sono tutti con la mente rivolta oltre confine, in attesa di cogliere il momento giusto per scappare.
A breve il campo della Chiesa dovrà confluire nell’unico centro della Croce rossa. Se la Chiesa di sant’Antonio, e la Caritas diocesana, costituiscono oasi di solidarietà e di carità cristiana, la popolazione però – nonostante la gestione equilibrata dell’Amministrazione comunale da parte del giovane sindaco Enrico Ioculano – esprime paura che si trasforma in avversione alla vista di tanti migranti che circolano in strada senza la pur minima certezza sul futuro. Soprattutto, la paura aumenta nelle ore serali, quando si vedono in giro soltanto loro, i migranti di pelle nera.
Il comportamento delle autorità francesi, impedendo il passaggio in Francia, viola quotidianamente i più elementari diritti umani, in evidente contraddizione con l’affermazione della fede europeista del presidente Macron e dell’antico motto umanitario di “fraternité”. La distinzione dei migranti tra “rifugiati richiedenti asilo” e “migranti economici”, cara al Presidente francese, è davvero un atto di ipocrisia. Quando migliaia e migliaia di esseri umani scappano dalle loro terre e intraprendono lunghi e drammatici viaggi – prima all’interno dell’Africa per raggiungere le coste e poi nelle acque del Mediterraneo per arrivare nel nostro continente – vuol dire che sono spinti da una disperazione che la civile Europa e la civile comunità occidentale devono saper affrontare. Qui passa la distinzione tra civiltà e barbarie.
Salvatore Vento
26 Luglio 2017 at 12:37
Le parole di Salvatore rispecchiano esattamente l’aria che si respira alle Gianchette e a Ventimiglia. Grazie!