Avendo ora anche una nuova legge elettorale, approvata tra le forzature e le polemiche, ci avviciniamo ulteriormente a una lunga campagna elettorale per le prossime elezioni di primavera. Difficile ancora dire come si configurerà precisamente il confronto nel paese, ma alcuni elementi appaiono più chiari.
Sulla nuova legge elettorale non conviene spendere troppe parole. Personalmente, ho sempre pensato che si attribuisse troppo peso alle tecnicalità di tali leggi, fino agli ambienti che immaginavano di poter cambiare la politica, forzandola in schemi che si sono sempre rivelati troppo rigidi. La politica – come hanno mostrato le elezioni del 2013 – è sempre eccedente ogni schema e in effetti una legge elettorale che era stata concepita per favorire il bipolarismo ha visto esplodere una terza forza come i grillini. Di fatto, comunque, l’attuale legge è concepita come un misto di prevalente quota proporzionale su liste di partito (per due terzi) e di maggioritario uninominale (un terzo dei parlamentari). Lo sbarramento è al 10% per le coalizioni e al 3% per i partiti (anche se i voti di partiti coalizzati che non raggiungono il 3% ma superano l’1% andranno recuperati dai partiti maggiori, il che favorirà anche un proliferare di liste e listine). Le ipotetiche coalizioni sono per certi versi rese più rigide dall’impossibilità di votare disgiuntamente sulle due quote. Oltre ai singoli candidati dell’uninominale, dovrebbero essere “visibili” anche i candidati dei listini di partito collegati (corti perché al massimo di 6 nomi, ma “bloccati”, confermando che i vertici dei partiti tutto pensano, meno di perdere il potere di selezionare i candidati). La legge ha evitato comunque i peggiori elementi di incostituzionalità trovati dalla Corte nelle ultime versioni della incredibile italiana vicenda (“porcellum” e “italicum”), e ora che Mattarella l’ha promulgata è probabilmente al riparo da sorprese.
Come si orienterà quindi lo scontro elettorale, sulla base di queste premesse? Il tripolarismo tendenziale degli ultimi anni non sarà certo smentito rapidamente. Gli attuali sondaggi danno il Pd e il M5S più o meno alla pari poco sopra il 25%, e l’asse (tutto da verificare) Lega-Fi non molto lontano (anzi superiore a queste cifre, se si aggiunge il partito di destra della Meloni). Tutti gli esperti sembrano convenire sul fatto che, sulla base delle prime proiezioni, sarà pressoché impossibile che si formi una maggioranza solida in parlamento sulla base di coalizioni o accordi pre-elettorali (quindi valutabili dai cittadini in modo esplicito). Del resto, abbiamo ormai imparato che le “boutade” su una legge che permetta di avere un governo sicuro alla sera delle elezioni sono irricevibili, a meno di passare esplicitamente a un modello di governo presidenziale, ipotesi che molti hanno vellicato negli ultimi decenni, ma pochi sono disposti a sostenere esplicitamente e direttamente (considerandone i sottoprodotti negativi). Quindi il problema sarà triplice: vedere se e come si formeranno gli accordi di coalizione, valutare i risultati (che i sondaggi difficilmente prevedono correttamente, in tempi di grande volatilità e nel dubbio sulla dimensione dell’astensionismo) e alla fine capire come le singole forze torneranno a giostrare in parlamento.
I più penalizzati sembrerebbero i 5 stelle, che in effetti sono stati i maggiori oppositori della legge, a causa della loro ribadita volontà di evitare accordi pre-elettorali. Grillo ha però la possibilità di competere anche senza coalizioni in molti collegi uninominali, soprattutto del centro-sud. Difficile immaginare però che da solo il movimento si avvicini alla soglia di poter avere un primato nel numero dei parlamentari. Al di là del fatto che le altre forze politiche e soprattutto quelle della maggioranza di governo sono ancora in tempo a suicidarsi con qualche mossa che dia fiato alla protesta grillina (cosa su cui non metterei la mano sul fuoco, data la pervicace sottovalutazione del problema del malessere del paese, da parte di chi sta nei palazzi e gioca ogni giorno con il politichese).
Chi potrebbe avvantaggiarsi di più è proprio la destra, nonostante le condizioni tutt’altro che floride delle sue diverse componenti. Infatti, Forza Italia è ai minimi storici, con un Berlusconi ai (o anche oltre i) propri limiti anagrafici, che solo le pecche degli avversari gli permettono di non considerare (oltre che per ora incandidabile e segnato dal fallimento storico del 2011). La Lega invece è in crescita, ma l’operazione Salvini di sfondare fuori dal Nord su temi da semplice destra sovranista-populista è tutt’altro che consolidata, anche perché ha la vicinanza/competizione dei Fratelli d’Italia della Meloni, che a spararle grosse non esita certamente. Il punto di vantaggio di queste reciproche debolezze è la disinvoltura con cui queste forze stanno mostrando di superare le loro divergenze vere o presunte (nazione-localismo; Europa-antieuropa; responsabilità-populismo): l’elettorato di destra è anche presumibilmente piuttosto disponibile a seguirli su un’ipotesi di coalizione, nonostante tutti i loro equilibrismi. Se questo incontro non così ovvio si realizzerà, vorrebbe soprattutto dire che il risultato in gran parte dei collegi del Nord sarebbe già orientato e che quindi la partita vera si giocherebbe sui rapporti di forza nella divisione previa di questi collegi (soprattutto tra Salvini e Berlusconi). Ciò particolarmente in vista del fatto che le coalizioni non sono poi affatto condannate a giocare il medesimo ruolo in parlamento dopo le elezioni, complice proprio la probabilissima mancanza di una vittoria chiara.
In questo senso, non si capisce molto la linea recente di Renzi, tutta tesa ad ammiccare a un populismo soft o anche meno soft (Banca d’Italia, vitalizi, migrazioni), nell’illusione di togliere spazio al M5S e senza mostrare di prendere sul serio il pericolo di destra. A meno che non ci sia già – come ha ipotizzato qualcuno e come però si stenta ancora a credere possibile – una sostanziale rassegnazione a dover fare un futuro governo con una parte della destra vincente. Comunque, la situazione che a noi interessa di più, quella del centro-sinistra, non è semplicissima. La scelta di una legge elettorale di questo tipo, oltre ad alcuni altri segnali piuttosto ambigui degli ultimi tempi, sembrerebbe far pensare alla raggiunta consapevolezza che il Pd da solo non vada da nessuna parte, in un turno elettorale così complicato. Ma naturalmente non basta dirlo per costruire una coalizione sostenibile e presentabile: soprattutto dopo mesi e anni di segnali forzatamente contrastanti. Che hanno prodotto una scissione e un allontanamento progressivo delle posizioni tra i vari soggetti che stanno nell’area di centro-sinistra. Ricucire in pochi mesi non sarà facile. Ma d’altronde una coalizione serve proprio per tenere assieme su alcune scelte comuni una pluralità di soggetti che siano anche competitivi tra loro, per attrarre elettorato che altrimenti sarebbe ricacciato nell’astensionismo. Quindi occorre provare a mettere in piedi esattamente qualcosa di questo tipo. Non un Pd attorniato da qualche cespuglio: questo sarebbe un prodotto immangiabile.
Occorrerebbe invece un centro-sinistra largo e plurale, di matrice ulivista, l’unica che abbia permesso in questi anni di battere la destra. Non è detto che tutta la sinistra debba essere coinvolta (qualche soggetto del tutto alieno da una cultura di governo esiste, ma non è certo maggioritario a sinistra del Pd). Come non è detto che non si debba aggiungere anche una componente di centro, purché presentabile. Naturalmente compresa la necessità di rimettere in gioco i rispettivi ruoli e le rispettive cariche attese. Su questo si misurerà la qualità della leadership di tutti i soggetti in campo (e di quelli ancora… virtuali).
Ma il punto vero mi sembra ancora un altro. E cioè se al di là del politichese, degli equilibri e dei giochi di professionismo politico, si raggiungerà un coraggioso accordo che mostri di ridiscutere a fondo le politiche di questi anni, e non intendo solo del governo Renzi, ma di tutto il ciclo del centro-sinistra post-’94. Senza iniziare il trito discorso per cui “nessuno deve mettere veti”, ma anche senza demonizzazioni sospette di tutto passato (del tipo: “avete fatto solo cose di destra”). Occorrerà finalmente dire che si intende correggere in modo significativo il ciclo storico politico-economico della globalizzazione, che ha avuto anche i suoi meriti, ma nei nostri paesi si è tradotto in una de-valorizzazione sostanziale del lavoro a beneficio del capitale, soprattutto finanziario. Partendo dall’individuazione di due o tre messaggi forti che raggiungano la testa e anche il cuore del paese, nitidamente alternativi al discorso della destra fatto solo di egoismi individualistici, additando i capri espiatori del malessere diffuso. E anche a quello grillino che si qualifica solo sulla negazione della casta (come se il paese nel complesso fosse migliore…). Un minimo di progetto, basterebbe un minimo. Costruito attorno alle cruciali questioni dell’identità e dell’incontro con l’altro, dell’Europa e del ruolo europeo nel mondo, del lavoro da rivalorizzare e di quello da creare ex novo con soldi di tutti, della cultura e dei beni immateriali come perno di qualsiasi rinascita italiana. Su questo aspetto anche i cattolici democratici, sulla scia dell’esigente messaggio di papa Francesco, avrebbero molte cose importanti da dire, naturalmente assumendosi la responsabilità della loro trascrizione nella responsabilità politica. Chissà se l’impresa sarà possibile?
Guido Formigoni
11 Novembre 2017 at 22:16
Condivido pienamente l’analisi di Guido Formigoni.
Ma sono molto pessimista sull’esito delle prossime elezioni. Vincerà (e alla grande) il centro-destra; le forze di centro-destra non hanno problemi ad apparentarsi, sanno mettere tra parentesi (per ora) le loro enormi differenze e sanno che soltanto presentandosi uniti il loro elettorato andrà a votare. Il centro-sinistra si presenterà probabilmente diviso. Le sinistre a sinistra del PD hanno il chiaro obiettivo di far perdere il PD renziano, il PD renziano non si rende conto che la politica è sempre compromesso e che le ragioni degli altri, anche di chi è momentaneamente in minoranza, vanno ascoltate e talvolta accolte, magari solo parzialmente.
In tutta Europa vincono partiti e movimenti “anti”; la fase crescente del PD renziano è coincisa con la cosiddetta “rottamazione”…. Non si vede perché l’Italia debba essere così diversa da Francia (dove ha vinto Macron), Spagna ( dove si affermano nuove forze come Podemos, Indignados, senza contare gli indipendentisti catalani), Olanda, Germania, Austria, ecc.
Anzi, in un’Europa oramai proiettata decisamente verso la destra più estrema, Berlusconi rischia di apparire “meglio” di altri ancor più a destra – come Hindenburg nel 1932 .
Poiché ci sono cattolici democratici in tutti gli schieramenti (prevalentemente nel centro sinistra), non potrebbe essere un nostro compito storico quello di lavorare tutti per una vera e seria alleanza di centrosinistra non solo elettorale (ma almeno elettorale!), riprendendo le arti del compromesso e del dialogo della tradizione democristiana – morotea in particolare? Superando le tifoserie renziane e antirenziane – Renzi ha certamente commesso molti errori, ma sarebbe ingiusto non ricordare anche i non pochi meriti della sua azione e del suo Governo (personalmente lo considero uno degli eredi del cattolicesimo democratico, una discendenza magari laterale e non una filiazione diretta).
Un centrosinistra largo non può certamente essere ad immagine e somiglianza di Renzi – ma nemmeno può dimenticare che Renzi qualche voto alle primarie ed alle europee l’ha pur preso…
Quanto ai temi su ri-costruire un centrosinistra un po’ meno acciaccato dell’attuale, le domande che pone Formigoni vanno nella direzione di guardare al futuro, anziché discutere sulle singole misure dei governi Renzi e Gentiloni. Va però pur detto che di molte riforme spesso si dà una immagine caricaturale, molto lontana dalla verità (come nel caso della legge 107/2015 sulla scuola: nessuno ad esempio dice che da due anni tutti i docenti hanno 500 euro in più annui da spendere per aggiornamento, compresi gli acquisti di biglietti di cinema/teatro, di libri o di materiale informatico; chi vuole cancellare quella legge dovrebbe cancellare anche questo).
Lotta alla povertà, diminuzione delle diseguaglianze, investimenti che producano lavoro e benessere (come segnalati nella settimana sociale di Cagliari) – ed anche una fiscalità meno invasiva, che guardi ai tanti giovani “lavoro autonomo-partita IVA”, che non possono essere trattati fiscalmente come i titolari di grandi studi da professionali.
Guido Campanini
15 Novembre 2017 at 22:28
Sinceramente non vedo cosa ci sia di populista nelle posizioni di Renzi sulla Banca d’Italia (è populista ritenere che non abbia vigilato a sufficienza?) e sulle migrazioni (ha sempre detto che il nostro dovere è salvare vite ma che l’Europa non può lasciare sola l’Italia…). Posso essere parzialmente d’accordo sulla questione vitalizi.
Il “minimo” di progetto di cui parla Guido Formigoni si compone di una serie di elementi che sono stati il perno della visione del Pd a guida Renzi: europeismo convinto, il lavoro al centro favorendo quello a tempo indeterminato e aumentando i posti di lavoro, per ogni euro speso in sicurezza un euro in cultura, grande investimento sulla scuola perché è dalla formazione che riparte un Paese… Non tutte le concrete misure saranno condivisibili e certamente si possono migliorare molte cose ma a me il disegno sembra chiaro e la direzione giusta.
27 Novembre 2017 at 18:29
Concordo pienamente. Ho la netta impressione che Formigoni abbia nei confronti di Renzi lo stesso atteggiamento di molti intellettuali: se giudicano criticabili – in modo opinabile ma legittimo – alcuni comportamenti e/o alcune scelte di Renzi, finiscono per concludere che anche se dice che due più due fa quattro sbaglia di grosso.
16 Novembre 2017 at 22:26
Io temo che l’europeismo del PD (e non solo a guida Renzi) sia purtroppo poco convinto. Da dirigente provinciale del PD non ho mai potuto partecipare ad un serio dibattito sulle proposte per una maggiore integrazione europea, ne ho mai potuto conoscere quale sia l’impegno del partito in tal senso. Molte recriminazioni, ma poco di più. La stessa Mogherini mi pare ben poco sostenuta. Sul lavoro andiamo constatando che si assottigliano le differenze reali tra quello a tempo indeterminato e l’altro.Spesso la differenza é solo nei tempi. A mio giudizio anche in vista del programma elettorale occorrerebbe un’analisi onesta dei pregi e dei difetti (correggibili) della legge attuale e proporre le correzioni possibili. Sulla banca d’Italia si tratta di un problema di metodo e di forma, di valutazione attenta delle possibili conseguenze negative di pubblici interventi su situazioni che andrebbero trattate ai massimi livelli con la necessaria discrezione, tenuto conto delle responsabilità di governo del partito. E questo al di la delle questioni di merito.
20 Novembre 2017 at 22:28
Ricucire in pochi mesi non sarà facile, dice giustamente Guido. Purtroppo non è solamente con la sinistra priva di cultura di governo che l’attuale Pd ben difficilmente riuscirà a costruire una coalizione “sostenibile e presentabile”, come Guido la auspica. Perché il reiterato atteggiamento di sfida di Renzi e la reazione di quanti sono infine arrivati alla scissione rendono del tutto improbabile, in tempi stretti,.un dialogo serio. Ma Guido pone anche un’altra questione: “il punto vero”, dice, gli sembra un altro, e cioè la necessità di un accordo “coraggioso” che mostri di “ridiscutere a fondo le politiche di questi anni”, quelle non solo di Renzi ma di tutto il ciclo del centro-sinistra dal ’94 ad oggi. Si tratta, sostiene, di “correggere in modo significativo il ciclo storico-politico della globalizzazione” e la sua peggiore conseguenza: la sostanziale svalorizzazione del lavoro a beneficio del capitale, soprattutto finanziario. Ora, però, seppure questa sia un’esigenza vera, che è nelle cose, come si può pensare che sia affrontata nel tempo che ci divide dalle elezioni? Tanto è vero che poi Guido chiude il suo articolo proponendo di individuare “due o tre messaggi forti”, capaci di parlare alla gente, e alternativi al discorso della destra e a quello dei grillini. E dice che basterebbe un “minimo di progetto”; per il quale indica quattro punti: le migrazioni, l’Europa, il lavoro da rivalorizzare e quello da creare, e la cultura come motore di rinascita.
Condivido il minimo di progetto, ma bisognerebbe che, allora, gli attori della ipotetica coalizione smettessero, da un lato, di esaltare tutto ciò che è stato fatto sin qui (accettando, viceversa, di criticare alcuni aspetti e soprattutto facendo capire al Paese che si è ben coscienti delle difficoltà in cui ci si muove e della gradualità di ogni possibile cambiamento) e, dall’altro, di pretendere una “netta discontinuità” dalle principali riforme perseguite sin qui (perché non è concepibile che si chieda a qualcuno di rinnegare ciò che ritiene di aver fatto di buono). Si dovrebbe, invece, avere il buon senso di guardare avanti, di discutere di nuove proposte che, meglio e più di prima, traducano in obiettivi perseguibili il valore dell’apertura nei confronti dei migranti (ma, certo, facendo i conti con le reali possibilità di accoglierli dignitosamente e di integrarli, a cominciare dal mezzo milione di immigrati senza permesso, o in attesa d’un permesso, che s’arrabattono malamente nel nostro Paese), diano il segnale non ambiguo della fiducia nell’Unione europea come via maestra per affrontare il futuro, correggano quel che ha senso di correggere nelle norme sul lavoro, senza rialzare bandiere inutili ma costruendo nuove forme di garanzia con le politiche attive, estendendo il dialogo (già ben avviato) con i lavoratori e con i sindacati in tutti i luoghi di crisi e soprattutto individuando in modo coordinato tutte le opportunità di investimento pubblico, e, infine, per stare al quarto punto suggerito da Guido, dando tutti i fondi possibili – e, insieme ai fondi, e prima ancora, l’attenzione, lo spazio di dialogo, il protagonismo – al mondo della scuola, alle università, alle istituzioni culturali e alla ricerca, dicendo con forza al Paese che si è convinti che qui stiano le risorse per superare la crisi e per imprimere alla società più dignità, più fiducia in se stessa, più autentico benessere, maggiore giustizia sociale.
27 Novembre 2017 at 18:51
Sono d’accordo con Formigoni quando dice che occorrerebbe ” correggere in modo significativo il ciclo storico politico-economico della globalizzazione, che ha avuto anche i suoi meriti, ma nei nostri paesi si è tradotto in una de-valorizzazione sostanziale del lavoro a beneficio del capitale, soprattutto finanziario “. Mi piacerebbe che desse anche un’idea di come il governo di un singolo paese potrebbe realizzarlo. Esempio spicciolo: come eliminare i paradisi fiscali per combattere la mega-evasione, se nemmeno l’Europa elimina i suoi? Così mi piacerebbe avere un esempio di quelli che Formigoni considera “messaggi forti capaci di parlare alla testa e anche al cuore del paese”, considerando che buona parte del paese (circa il 50% secondo Diamanti) è molto sensibile ai messaggi diretti alla pancia come quello della insicurezza prodotta dagli immigrati. Immagino che per Formigoni “per ogni euro in sicurezza un euro in cultura” sia un messaggio debole. Non capisco poi come Formigoni possa definire una “boutade” l’ipotesi di una legge elettorale che definisca un sicuro vincitore, a meno di non avere un sistema presidenziale: forse che i sistemi elettorali regionale e comunale non definiscono un vincitore, quantomeno la sera del ballottaggio? Del resto l’Italicum è stato giudicato incostituzionale non per il meccanismo del ballottaggio, ma perché non prevedeva una percentuale minima di voti per essere ammessi al ballottaggio. Ma siccome l’ha proposto Renzi, non può essere altro che una boutade…
30 Novembre 2017 at 12:03
Il discorso sulla “boutade” relativa al sistema elettorale mi sembra di solare evidenza. Se un sistema politico non è strutturalmente bipolare/bipartitico, l’unico modo di avere la certezza del governo la sera del voto è appunto eleggere direttamente il capo dell’esecutivo (questo intendo per modello presidenziale). Gli esempi che lei fa del sistema comunale o regionale sono esattamente di questo tipo, come si fa a non capirlo? L’unica alternativa è appunto inventarsi meccanismi di trasformazione del voto in seggi che rischiano di essere giudicati come eccessivamente forzati nel premiare minoranze. Il ballottaggio previsto dall’Italicum per il premio di maggioranza incorreva proprio in questo problema. La questione non è che l’abbia proposto Renzi (!), ma che la Corte costituzionale l’ha bocciato…
27 Novembre 2017 at 23:18
Diamoci un impegno unitario nelle rete: sostenere per le prossime elezioni candidature e coalizioni che sostengano prioritariamente tre punti:
– l’Europa come fattore imprescindibile, proprio come Macron, anzi collaborando attivamente su quella scia, semmai affermando che Europa, Balcani e Mediterraneo sono i tre poli del nostro futuro oltre che della nostra storia;
– una maggiore giustizia sociale comporta la riduzione di garanzie e “diritti acquisiti” insostenibili sotto tutti gli aspetti; meno vincoli a piccole medie industrie, artigiani, piccole e nuove realtà professionali….; BASTA TUTELE DEI GARANTITI PENSIONATI COMPRESI (io sono tra questi); il lavoro possibile per giovani e donne passa dalla riduzione di troppi di tali privilegi;
– GOVERNARE A TUTTI I LIVELLI il fenomeno migratorio, dal Governo ai piccoli comuni; anche qui da noi esplode il problema ogni giorno e solo il volontariato (soprattutto cattolico) sostiene il peso della cosiddetta “condizione umanitaria”: il problema ha messo a nudo l’inefficienza cronica e strutturale del sistema pubblico.
Uscire assolutamente dalla divaricazione buonismo-razzismo uguale sinistra – destra.
Una proposta sperando che si possa lasciare qualche paletto nel guado utile a proseguire il cammino dopo la devastazione dell’alluvione prevista da tempo dovuta anche alla insopportabile supponenza della “vera” sinistra.