Un libro che interpreta il cambiamento che accade. Una possibilità per leggere il tempo di crisi come un’opportunità, come una sfida capace di superare il pessimismo dilagante e di riscoprire nuove vie e percorsi per recuperare un rinnovato e salutare impegno dei giovani nella cultura e nel sociale, contrastando la tendenza alla disaffezione politica. Ecco alcuni spunti che emergono dal volume di Guglielmo Minervini, La politica generativa, Carocci Editore, Roma 2016, che sintetizza la visione del consigliere regionale pugliese, già sindaco di Molfetta dal 1994 al 2000, recentemente scomparso.
Una lettura che non sposa stereotipi o tecnicismi politici ma a partire dall’osservazione ed analisi di questo tempo, assume come opzione fondamentale la generatività, sguardo aperto alla speranza che sa riconoscere il bene di quest’odierna stagione di cambiamento, puntando quindi alla valorizzazione dei giovani, riflettendo sulle energie non impiegate, aprendosi verso una nuova visione di futuro. E lo fa dentro una concezione del tempo inteso non come kronos ma come kairòs, un tempo evento ed avvento. Con Papa Francesco l’autore scrive che il tempo di crisi non è una minaccia ma un’opportunità (p. 21), e individua tra le sfide preminenti, sulla scia della Laudato Sii, quella di un’ecologia integrale. Tuttavia registra altresì una deriva insieme antropologica e spirituale: “Abbiamo riempito la vita di cose, in larga misura inutili, ma l’abbiamo svuotata di senso” (p. 22). Evidenza che si traduce nell’ulteriore sfida di “abitare la complessità” (p. 23), consapevolezza che “si trascina un’altra conseguenza: la responsabilità”. Per Minervini “tutto, in fondo, è connesso con tutto e con tutti” (p. 23), da qui è necessario che ognuno si domandi “che cosa produce il mio gesto?” (p. 23), a partire dai fatti che appartengono alla vita quotidiana di ognuno. L’autore è consapevole di tracciare in tal modo “i lineamenti di una nuova etica” (p. 24), nella quale diviene decisivo “il valore della relazione, dell’altro, del noi”, e quindi la proposta di “un nuovo orizzonte etico come risposta intelligente all’interesse generale di mantenimento della vita”(p. 24). Prospettiva che richiama alcune delle linee programmatiche che videro affermarsi quella riflessione che poi fu denominata bioetica, intesa all’origine sia come “scienza della sopravvivenza” che come “ponte verso il futuro”. Qui si tratta di calibrare questa proposta sul versante politico. L’autore invoca infatti “una nuova forma di democrazia che governi la domanda di futuro” (p. 25), vision approdata nell’Europa, per Minervini, infatti, l’UE rappresenta “l’ultimo grande sogno di una costruzione politica fondata sulla condivisione di una prospettiva generale e non sull’imposizione di un rapporto di forza” (p. 25), un sogno che però rischia di essere “risucchiato dalle euro burocrazie” e dal “rigurgito degli egoismi nazionali” (p. 25).
La politica in questo difficile scenario è chiamata ad avere “la forza della visione” (p. 26). Per Guglielmo Minervini, come auspicava don Tonino Bello, di cui è stato uno stretto collaboratore, la politica deve potersi riscoprire come una “mistica arte”, e riconoscersi come lo “strumento attraverso il quale possiamo costruire il nostro destino collettivo”, e poi, richiamando anche don Milani, l’autore ritiene che la politica debba favorire il “sortire insieme dai problemi comuni”. Vocazione che richiede una metamorfosi, o meglio una conversione che renda la politica libera e indenne dalle reti del potere, che la trasformano da “da mezzo del cambiamento” in una realtà asservita ai fini del potere (cfr. p. 27), che tendono a stravolgere la relazione con gli altri. Un primo antidoto al cambiamento di tale visione piuttosto comune è quello del dialogo, realtà che per il politico pugliese avviene “quando si apre alla ricerca dei pensieri pregiati che giacciono in ciascuno. La conversazione è – infatti – vera solo se libera una dinamica maieutica” (p. 28).
Da fuggire il potere concentrato e lo strumento della delega, poiché dire “dammi la tua delega” corrisponde ad affermare “offrimi la tua anima” (p. 28). Delegare significa allora non pensare. La politica tradizionale non è più in grado di far fronte ai problemi globali e non è più credibile quando ripropone nell’immaginario collettivo il modello dell’uomo solo al comando, “la mitologia della leadership carismatica” che ha finito con il suscitare “un effetto dopante” (p. 29). Si tratta di un tipo di politica che “non è aperta né al futuro né alla società” (p. 30), il potere concentrato, infatti, “brucia il futuro” e “intossica i legami di comunità” (p. 30). Il potere allora “da strumento per controllare la società” va inteso come “leva per agire il mutamento” (p. 31). L’autore infatti si domanda: “Una corretta politica di tutela del clima della crosta terrestre è di destra o di sinistra? Si può continuare a parlare di lavoro senza ripensare a un diverso modello di sviluppo o a un diverso ruolo sociale delle imprese?” (p. 31).
La proposta di Minervini è allora quella di elaborare processi e attivare percorsi che favoriscano di fatto un potere condiviso. “Nel vecchio modello la politica ripete: più potere a uno per risolvere i problemi. Nel nuovo modello sostiene: più potere a tutti per risolvere i problemi” (p. 32). Realtà che muta la stessa idea di democrazia, dall’esercizio della delega a un “processo incessante di potenziamento della cittadinanza”. “Da un lato – continua l’autore – il capo-sovrano e la massa. Dall’altro, il leader e una comunità-popolo. Da un lato gli individui (consumatori), dall’altro persone (consapevoli)” (p 32). Nel concreto la proposta è orientata a far maturare la consapevolezza del ruolo culturale, sociale e politico di ogni cittadino, educando e formando la sua capacità e possibilità di partecipazione. Secondo Guglielmo Minervini “ciascuno di noi è un accumulatore di conoscenze di “contesto”, […], un potenziale giacimento di risorse che però restano latenti” (p. 32). Evidenza che invoca “un nuovo bisogno di comunità” (p. 33), poiché le “differenze stimolano la creatività”. In questa luce la missione di una politica generativa è quella di divenire da “attività di redistribuzione delle limitate risorse pubbliche a processo continuo di attivazione delle vaste risorse sociali” (p. 35). Questo significa nel caso dei giovani che essi non sono il problema bensì la soluzione. Da qui l’invito ad essi rivolto: “Tira fuori idee, progetti per risolvere problemi e per migliorare te stesso, il territorio, il mondo” (p. 36). Suggerimento che ha trovato espressione nel programma per le politiche giovanili della regione Puglia chiamato “Bollenti spiriti”, che ha fin qui prodotto laboratori urbani, cantieri della legalità, iniziative di innovazione per l’occupabilità e altro ancora. Spunti e sollecitazioni interessanti che interpellano anche la Chiesa e la scuola affinché si torni con più lungimiranza e convinzione a formare le coscienze, risvegliando il primato dell’uomo interiore. Forse così l’energia, tipica dei giovani, evocata dal titolo suggestivo “bollenti spiriti”, potrà ricomprendersi non come fluire irruente e spesso caotico di forza ma come docile risposta al “discernimento degli spiriti” che diviene riconoscimento della propria vocazione e del proprio posto in società.
Giovanni Chifari
(teologo biblico e giornalista)