Bel documento, quello uscito dall’Assemblea: per quel che dice, lo condivido senza riserve.
Mi lascia però perplesso il silenzio su argomenti come quelli che hanno trovato una prima disciplina nelle leggi sulle unioni civili e sulle “disposizioni anticipate di trattamento”. Qualche tempo fa si sarebbe detto che fanno parte dei “temi eticamente sensibili” che la politica non può ignorare essendo piuttosto chiamata ad affrontarli e con particolare sensibilità (oserei dire, in punta di piedi) sia perché coinvolgono situazioni in cui ciascuno di noi, per se stesso o per chi gli è più vicino, può, da un momento all’altro, venire a trovarsi concretamente di fronte a scelte tra le più drammatiche e persino laceranti, sia perché in rapporto ad essi è particolarmente forte la divaricazione tra gli approcci di base che pur non possono definirsi a priori “irragionevoli” o “disumani” ma che dipendono largamente dalla diversità delle risposte che vengono date sui problemi fondamentali dell’esistenza. E io continuo a pensarlo, anche se non ritengo affatto che in quell’area si esaurisca la categoria degli intrecci tra etica e politica (in primo piano, almeno per dei cristiani dovrebbero forse esserci le sollecitazioni provenienti dal Discorso sulle beatitudini e dalla parabola del giudizio finale; per tutti coloro che si sentano autenticamente cittadini di questa repubblica, non dovrebbe poi dimenticarsi quantomeno la più gran parte dei “princìpi fondamentali” enunciati nella parte introduttiva della Costituzione …).
Ho d’altronde l’impressione che quel silenzio sia uno dei tanti sintomi della difficoltà in cui ci si trova in molti, dopo tanti anni nei quali si era indotti soltanto a dire dei “sì” o dei “no” a certezze granitiche su una serie di “princìpi non negoziabili” tradotti in regole dettagliate da perentori interventi della gerarchia (o da chi per essa). Fortunatamente, oggi, nella Chiesa universale e in quella italiana, si respira un altro clima. Badiamo tuttavia a non contribuire a dissolverlo, a beneficio, da un lato, di una martellante propaganda che tende a dipingere come cattolici “illuminati” solo coloro che non muovono alcuna obiezione a un’indefinita espansione dei “diritti civili” e, dall’altro, delle velleità revanscistiche da parte di chi ha nostalgia del Sillabo e aspetta soltanto che passi del tempo perché le “eresie” di Papa Francesco possano venire accantonate in tutta fretta sull’onda di una nuova “gelata” dottrinale.
Per quel che mi concerne, non sono che un cittadino (e un cristiano) privo di particolari responsabilità nella vita politica del Paese e insieme consapevole di non avere specifiche competenze riguardo alle materie in questione: dunque, non mi azzardo a proporre ricette “tecniche”. Condivido però senza remore la convinzione che, in larghissima parte, si tratti di temi altamente problematici, il che mi fa ritenere che in questi campi ogni legislatore dovrebbe essere quantomai sobrio e rispettoso delle libertà degli individui e, insieme, coraggioso promotore di umane solidarietà. Al tempo stesso ritengo che questi siano temi i quali legittimano le più ampie trasversalità tra gli schieramenti partitici e al loro interno: mi sconcertano pertanto le … scomuniche come quella a suo tempo lanciata nel Partito democratico contro le posizioni, per opinabili che fossero, di Paola Binetti.
Nel contesto, non vorrei che i silenzi venissero interpretati come rassegnazione all’invadenza di una mentalità che ci siamo abituati a chiamare “radicale”, e che copre un’area ben più vasta del partito avente questo nome, anche se in esso trova un personale politico particolarmente capace di condurre con grande abnegazione (onore al merito …) battaglie di ogni tipo (talune, sacrosante) ma in questo campo risoluto a fare, di ogni riforma (sia pur la più equilibrata), un trampolino verso traguardi ulteriori, presentati come ormai dovuti. Ultimo esempio, appunto, la legge sulle “dat” che, pur oggettivamente lontana dall’essere un “via libera” ad ogni forma di eutanasia, viene appunto prospettata come una mera tappa di un cammino in tal senso, da proseguire subito per giungere sollecitamente alla meta. Quanto, poi, a chi abbia qualche obiezione, sia pur parziale, è ormai uno sport molto diffuso quello di additarlo al pubblico ludibrio, tramite la quasi totalità dei media, come retrogrado oppositore dei diritti più elementari.
Mi preoccupa altresì che, specialmente in campi come questi, si manifestino con frequenza, nella magistratura, tendenze ad andare praeter legem o addirittura contra legem, nel palese o malcelato intento di anticipare di fatto e di promuovere forzature normative. Altra cosa, ovviamente, è il ricorso, più che legittimo, alla proposizione di questioni di costituzionalità che consentano alla Corte competente di esercitare la sua autorità nella comparazione tra una legge ordinaria e la Carta fondamentale, dovendosi semmai constatare altresì, e non senza qualche preoccupazione, l’accentuarsi, a sua volta, della tendenza, da parte dei giudici costituzionali, a produrre, più o meno dichiaratamente in nome dell’interpretazione “evolutiva” o della teoria dei “princìpi supremi”, modifiche tacite di quella stessa Carta (comprensibili, quando si tratti di mera presa d’atto di situazioni non prevedibili al momento della sua redazione e pacificamente constatabili; assai meno, laddove si faccia leva su controverse e controvertibili rilevazioni del costume sociale o di altri fattori sulla cui interpretazione e sulla cui rilevanza è fortemente opinabile che a statuire sia un consesso di giudici, per quanto autorevolissimi, e non il Parlamento con la maggioranza qualificata prescritta per le operazioni di revisione costituzionale).
Mario Chiavario
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5 Marzo 2018 at 15:44
Coloro che hanno vinto le elezioni hanno il diritto e il dovere di governare perché così ha deciso il voto, che è pur sempre un fattore di libertà e di democrazia.
Ciò nonostante sono preoccupato della vittoria del M5S e della Lega, e lo sono per la tenuta democratica del nostro Paese che, stante le premesse e le promesse della campagna elettorale, sembra messa in discussione dalle forze che hanno vinto.
Ma ciò che più mi interessa è cosa farà ora l’area del centro sinistra (il PD e la sua coalizione, Liberi e Uguali, ecc.) relegata a svolgere il ruolo di opposizione pure fondamentale in un sistema democratico.
Che dire della sconfitta dell’area del centro sinistra e della sinistra se non che già con le lezioni in Sicilia le premesse della sconfitta c’erano tutte. Anche in Sicilia quest’area si era presentata divisa, il risultato aveva penalizzato certo il PD ma la sinistra aveva perso il 25% dei voti. Non dico che la responsabilità sia solo loro, ma quelli di LeU non l’hanno capito, hanno fatto la scissione e hanno perso. Tutti i loro leader sono fuori del Parlamento stando ai risultati dei voti all’uninominale, buon per loro se saranno ricuperati nei collegi plurinominali.
Questi risultati non vogliono forse dire che il popolo della sinistra e del centro sinistra non vogliono le divisioni? Non voglio dire che questo popolo è capace di guardare molto più avanti di quanto non siano in grado di fare i suoi gruppi dirigenti e rappresentativi? E se così è, su che basi e come ricostruire una forza unitaria che sia in grado di dare prospettiva e senso politico all’area del centro sinistra?
Questo è l’orizzonte per il quale si deve lavorare, essendo che, dopo queste elezioni, tutti gli schemi del passato non servono più a nulla.