di Vittorio Sammarco – “Non siate troppo schizzinosi (choosy)” (Elsa Fornero, ottobre 2012); “Siate affamati siate folli (stay hungry, stay foolish” (Steve Jobs, giugno 2005). Da che mondo è mondo gli adulti provano ad indicare una strada ai giovani. Lo fanno in buona fede, confidando nella propria autorevolezza, nell’esperienza acquisita e soprattutto nell’altrui volontà di ascoltare (tra le tre ipotesi, attualmente la più fallace). Ma perché la seconda frase è diventata (al di là del personaggio che l’ha pronunciata) un mito, e la prima ha invece suscitato tali e tante reazioni da inviperire i giovani che l’hanno ascoltata in diretta e quelli che l’hanno commentata sul web?
Perché l’inglese originale è sempre meglio di quello preso in prestito? No, non credo. Perché sono passati molti anni, ben sette, e oggi la crisi azzanna le certezze anche di navigati adulti? Perché Steve ha creato tanto ed Elsa si trova a gestire, poveretta, i residuati di anni di malapolitica di cui non è responsabile? O perché lo stesso contesto universitario nel quale vengono proposti i due concetti è il campo professionale dell’una e ha invece tenuto ai margini (accolto solo per un saluto agli studenti) il secondo? Tutti elementi di contorno.
Credo, piuttosto, perché semplicemente ha ragione il grande poeta: se vogliamo trarre lezioni universali dalla nostra personale storia, con umiltà possiamo solo indicare l’incapacità di trarre conclusioni valide per tutti, la palese precarietà di tutte le scelte della vita: “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Forse, invece, potrebbe essere più utile rischiare indicando una via straordinaria, alta, che rappresenti un faro e una scommessa, un impegno e una strategia, un desiderio e un motivo di vita.
Una parola, che sa di essere “non richiesta”, ma che dia sostanza alla speranza. Dia uno scheletro a chi si sente già, e non ne ha colpe, fragile come un “osso di seppia”.