In merito all’articolo “Il tabù del dialogo tra Pd e Movimento” di Franco Monaco
Il problema di eventuali alleanze in Parlamento, dopo il ritorno (amaro, a mio modo di vedere) al sistema proporzionale, è certo un tema serio, e quindi fa bene l’amico Franco Monaco a porlo (su Il Fatto quotidiano), anche se sarebbe più utile discuterne nel momento in cui ci fossero all’orizzonte nuove elezioni.
Quello però che non mi convince molto del suo ragionamento è l’asserzione per cui il M5stelle sarebbe in qualche modo malleabile e influenzabile dal Partito Democratico, in quanto formazione “zelig”. A parte il fatto che ciò fa onore al PD, evidentemente ritenuto più forte di quanto in molti lo rappresentano, questa asserzione, a mio avviso, non è al momento abbastanza supportata da elementi fattuali. Provo a spiegarmi meglio.
Il Movimento 5 stelle è stato sempre ferocemente critico verso il PD nel corso dell’intera scorsa legislatura (dopo aver rifiutato in modo sprezzante un possibile accordo di governo offerto a mano tesa da Bersani), ben di più e ben oltre il ruolo che tradizionalmente deve svolgere un’opposizione, e credo che lo stesso Monaco ne possa essere buon testimone. E’ abbastanza chiaro che il disegno del Movimento fosse quello di erodere il più possibile il PD, oserei dire di distruggerlo (in senso tecnico) indicandolo come causa più o meno di tutti i mali, materiali e morali dell’Italia. Mi sembra che su questo non possano esserci molti dubbi; non sto sostenendo che sia solo questa la causa della sconfitta del PD, che come si sa ha varie motivazioni, ma che questo è stato ed è ancora uno dei capisaldi dell’impostazione politica del Movimento. Il possibile accordo dopo le ultime elezioni non c’è mai veramente stato, se non come abdicazione dello stesso PD a un governo Di Maio, e questo ben al di là dello “stop” venuto poi dallo stesso PD e dal “non possumus” lanciato dal suo ex segretario Renzi. Peraltro, nella ricostruzione di quel passaggio sembra che a molti sfuggano le possibili conseguenze che una qualche forma di accordo avrebbe avuto sulla tenuta dello stesso Partito Democratico, sconfitto, lacerato e con una dirigenza e una piattaforma politica da rifare (nuovamente) daccapo. Dunque, mi viene difficile pensare che, con queste premesse, quello del dialogo sia un tabù, piuttosto che un problema molto grosso.
Il parallelo tra “l’influenza” esercitata dalla Lega nella cogestione della responsabilità di governo e quella che potrebbe esercitare il PD – come se ci fosse una sorta di equidistanza – mi sembra un po’ forzato. In campagna elettorale e durante le trattative per la formazione del nuovo governo, si è capito piuttosto chiaramente che i 5 stelle e Lega si intendevano piuttosto bene, da un lato per quello che è stato definito approccio “populista”, che comprende anche l’esigenza di dare alle rispettive porzioni di elettorato – a qualsiasi costo – quello che era stato loro promesso, dall’altro per l’atteggiamento estremamente critico e tendenzialmente autonomistico, se non sovranista, nei confronti dell’Unione l’Europea; le stesse scelte poi assunte su un tema chiave, come quello dei migranti, non mi pare siano state così tanto subite dal Movimento 5 stelle (basti pensare alle numerose precedenti dichiarazioni di Grillo). In fondo – se ci pensiamo bene – il “baratto” tra decreto sicurezza e reddito di cittadinanza sta indirettamente a confermare che anche per i 5 stelle vale l’assunto “prima gli italiani”, a maggior ragione se si pensa che il reddito di cittadinanza andrebbe solo a questi ultimi (salvo pronuncia contraria della Corte). Certo, in questi giorni qualche crepa comincia a vedersi, perché una parte di elettorato 5stelle non è disposto a seguire Salvini fino al punto in cui si sta spingendo, ma temo sia presto per dire (come adombra Repubblica) che siamo alla vigilia di una crisi di governo (saranno i fatti a dire se ho ragione o meno). E che dire del recente tentativo di accordarsi con i “gilet gialli” francesi? Non è certo un’iniziativa “influenzata” dalla Lega, così come non la è la contrarietà alla Torino-Lione (anche se poi vedremo come andrà a finire). Ciò non significa affatto – lo sottolineo – che molti di coloro che, pur sentendosi di “centrosinistra”, hanno votato 5 stelle – ne conosco personalmente diversi – non siano stati spinti a farlo anche da tutta una serie di legittime motivazioni che interrogano fortemente il PD – dal tema della legalità e della “pulizia” dei candidati a quello della disoccupazione, specie al sud, dai costi della politica alla tutela dell’ambiente, dall’apertura ai giovani e alle donne a nuove modalità di partecipazione. O che tra i parlamentari e amministratori 5 stelle non ve ne siano di sensibili a molti temi che sono anche patrimonio del PD. Ma il problema vero non è tanto quello di chiedersi come “influenzare” gli attuali gruppi dirigenti del M5S, quanto di recuperare, da parte del PD, una proposta politica capace di rilanciarlo e attirare anche coloro che lo hanno, forse momentaneamente (questo lo sapremo nelle prossime due tornate elettorali), abbandonato in favore dei grillini.
Dunque è impossibile pensare che un domani le due formazioni possano dialogare? No, non è impossibile, ma ciò richiederebbe condizioni minime che al momento non si vedono. La brutta vicenda della legge finanziaria non rappresenta certo un buon precedente. In quella circostanza, una forza che è nata e si è voluta qualificare per anni come opposizione, tra l’altro dura e aggressiva e spesso critica nei confronti dei poteri del governo rispetto a quelli del Parlamento (qualcuno ricorderà che dopo le elezioni 2013 Grillo aveva persino proposto di andare avanti senza Governo, solo con le attività del Parlamento, come era successo per lungo tempo in Belgio), avrebbe potuto mettersi un po’ più nei panni di chi adesso siede su quegli scranni e chiedeva semplicemente che fossero rispettati i diritti minimi della minoranza. Invece, nulla di tutto questo. Inoltre, l’organizzazione verticistica e “militare” dei 5 stelle rende complicato influenzare in qualche modo il loro comportamento, salvo non siano i Capi stessi ad essere disponibili. In politica non si può escludere nulla e dunque nemmeno che si instauri una qualche forma di dialogo. Ma l’altra precondizione perché ciò avvenga in modo serio e produttivo è che il PD sia un partito più forte, unito, innovativo, capace di rilanciarsi su proposte, comportamenti, messaggi politici all’altezza. Altrimenti, più che influenzare, rischierebbe di accodarsi.
Sandro Campanini
14 Gennaio 2019 at 17:43
Sono sostanzialmente d’accordo con quanto espresso da Sandro Campanini. Ritengo anche che nel M5S ci sia un serio problema di democrazia, in quanto sia Grillo che Casaleggio a chi rispondono delle loro scelte? Ritengo però che il problema reale e primario sia nel Pd perché non mi pare sia stata ancora fatta una seria analisi, anche autocritica, delle sconfitte subite; inoltre non mi pare sia stata una buona scelta quella di procastinare le primarie e il congresso, ma tant’è…Buon lavoro.