(L’articolo è apparso su “ChiesadiMilano. Portale della diocesi ambrosiana”, in febbraio)
L’Unione europea sta vivendo mesi cruciali su diversi fronti: dalla Brexit alle elezioni del parlamento di maggio. Si ha quasi l’impressione di stare su un crinale decisivo tra rilancio del futuro di questa iniziativa e avvio di un circolo vizioso di crisi e divisione. L’Europa è in questione. Perché ogni cittadina e cittadino compia le sue scelte con consapevolezza, è bene avere in mente l’orizzonte essenziali di problemi che ci sta davanti. Proviamo a riassumerli – senza aver spazio per approfondirli – in alcuni punti essenziali.
Primo. L’Europa non è un dato di fatto: non è difficile constatare come non abbia evidenti basi comuni di lingua, storia, cultura, identità. I popoli europei stanno insieme solo se si accordano su un progetto condiviso per il futuro. Non si deve mai dare per scontato questo elemento, non si deve dare per ovvia l’identità europea, pena la sua sconfitta. Chi ci crede ha il compito di continuamente rimotivarla e rilanciarla all’altezza delle sfide dell’epoca. L’idea per cui il percorso «comunitario» iniziato settant’anni fa tra sei paesi sia ormai irreversibile e non possa che avanzare, spesso coltivata dagli europeisti, è profondamente illusoria e sbagliata.
Secondo. L’Europa è davvero una necessità per il nostro futuro. Ma occorre spiegarlo non con un vago appello alla cultura delle origini o alle scelte dei nostri nonni. Sempre l’Europa è stata un orizzonte di valore, che però ha funzionato quando costituiva una risposta elaborata a un problema politico reale. Originariamente, il problema della ripresa della Germania dopo trent’anni di guerre. Possiamo dire che oggi ci sia un problema analogo? A me pare del tutto evidente: dopo la crisi del 2008 e la «grande stagnazione» successiva, noi conosciamo un mondo in cui i giganti come Stati Uniti e Cina hanno rilanciato una statualità per governare la globalizzazione (bene o male che lo stiano facendo). Un appello forte in questa direzione oggi è più che mai opportuno: l’Europa non può mancare al tavolo. Occorre ribadire che non c’è futuro per piccoli-medi Stati europei se si isolano stizzosamente tra di loro nel mondo dei giganti. Per cui la necessità dovrebbe muovere l’ingegno.
Terzo. Le acquisizioni della storia hanno ormai distinto l’Europa da altre parti del mondo, costituendo un patrimonio progettuale non trascurabile, se valorizzato. Si pensi al discorso sul metodo di rapporto tra gli Stati (metodo inclusivo e cooperazione invece che egemonie e imposizioni; capacità di governo dell’economia senza dirigismi ma senza subalternità ai mercati). Si pensi all’originale modello sociale (una società che mira a integrare i perdenti lottando contro le diseguaglianze eccessive; rapporti di mediazione articolata tra i gruppi e i mondi sociali, invece che individualismo anglosassone o “collettivismo” asiatico; mediazione continua tra esigenze della crescita economica e esigenze della coesione sociale). E forse, ancora più a fondo, c’è una concezione della persona umana al di sopra della sicurezza o della stessa coesione (integrazione delle diversità e anche delle religioni nel primato della coscienza, ma anche nel dialogo reciproco; rifiuto della pena di morte). Sono tutti tratti «europei» forti, non banali, che a volte sottovalutiamo, ma che vanno sempre aggiornati.
Quarto. Qualcuno oggi dice che il vero scontro è tra europeisti e «sovranisti» o «populisti». Mi pare uno schema riduttivo. Infatti, è ambiguo dire che stanno con l’Europa solo coloro che sostengono la linea politica e istituzionale dell’Unione negli ultimi anni, a partire dalla risposta alla crisi secondo le regole dell’austerità. L’Europa degli ultimi decenni ha seguito linee quanto meno controverse (lo ha ammesso a denti stretti, recentemente, lo stesso presidente della commissione Juncker). Non è un caso che l’Unione europea “così com’è” si sia attirata molte contrapposizioni. Quindi potrebbe e dovrebbe essere un messaggio forte quello che dica: l’Europa è necessaria, ma apriamo un dibattito franco su «quale Europa» oggi vogliamo. I veri europeisti non si sottraggono a questa sfida.
Quinto. L’Europa interessa molto anche i credenti. La Chiesa cattolica può giustamente fare appello a tradizioni europeiste forti, da quando Pio XII ha proclamato san Benedetto patrono dell’Europa. Sulle «radici cristiane dell’Europa» si è discusso fin troppo: negarle è stato un patetico rifiuto della storia; affermarle come rivendicazione di un primato non ha aiutato una riflessione aperta. Anche in questo campo, però, non tutto è ovvio. I vescovi europei fanno ultimamente sempre più fatica a utilizzare questo retaggio per prendere posizioni comuni su temi delicati come le migrazioni (segnatamente, i vescovi dei paesi dell’Est spesso non si distaccano dai loro nazionalismi). C’è quindi un processo di purificazione e di auto-verifica della coscienza cristiana da sviluppare prima di poter lasciare un messaggio positivo. Sarebbe utile aprire un confronto libero e spregiudicato anche su come il cristianesimo parli oggi all’Europa.
Guido Formigoni
15 Marzo 2019 at 13:32
come italiano ed europeo, come partecipe del movimento federalista condivido (e ringrazio) le considerazioni presentate; posso aggiungere una parola su un tema che, per aver praticato i percorsi della cooperazione internazionale, so che pesa molto nelle relazioni tra popoli: l’essere stati, noi europei per secoli artefici di un pesante sfruttamento di continenti trattati come dominio da utilizzare con il colonialismo, lo schiavismo e quant’altro la sola meta del profitto consigliava
cose a cui non si rimedia con la sola espressione di buoni sentimenti, mentre si cerca di contendere lo spazio a chi si muove con logiche di nuovo e più ampio dominio commerciale e finanziario, come da molto gli USA, come ormai pesantemente, la Cina
i paesi europei (se non uniti, almeno coordinati!) possono (potrebbero: lo faranno?) proporsi come soggetto attivo nelle politiche di sviluppo, che sono economiche, ma non solo: culturali e giuridiche, fino all’ambito della formazione di servizi pubblici e relativo personale qualificato, di livello equivalente agli standards dei paesi più avanzati
oltre la (urgente, indispensabile, meritoria!) azione di sostegno al miglioramento dei servizi sanitari, c’è molto da fare per la formazione di quadri tecnici per le strutture di governo, a cominciare dall’ambito della amministrazione pubblica, dei governi locali e di settori come l’istruzione
qui si che “l’europa” potrebbe (potrà) fare molto