Le ultime elezioni europee e amministrative, precedute dalle istrioniche e sacrileghe esibizioni di Matteo Salvini, hanno alzato al 34% il consenso alla Lega: un risultato preoccupante per varie ragioni ma anche perché quell’elettorato è formato prevalentemente da cattolici.
Già altre volte, in occasione di precedenti scadenze elettorali, ci siamo interrogati sui “voti del cielo”, come enfaticamente avevamo denominato il voto cattolico in un convegno promosso da Agire politicamente quasi venti anni fa. Già allora davamo per acquisita la libertà delle opzioni politiche dei cattolici, almeno a partire dalle elezioni del 1994, che segnarono una discontinuità delle appartenenze e il più alto tasso di volatilità nella storia repubblicana. Quella volatilità, come hanno documentato gli analisti, era il risultato di profondi cambiamenti che avevano segnato il volto del Paese.
Oltre venti anni prima, Paolo VI, nella lettera apostolica Octogesima adveniens, segnalando l’ampiezza e la rapidità dei mutamenti sociali, invitava i cristiani a misurare le incalzanti novità del tempo con la luce delle verità permanenti ed eterne. Forniva, così, un parametro valutativo del rapporto tra l’assoluto della fede e il relativo della politica, tra la convinzione dei principi e la responsabilità delle azioni. Da questo discernimento, nasce il “significato cristiano dell’azione politica”, che non consiste nell’agitare il rosario o il crocifisso, ma nel raggiungere una coerenza tra l’opzione politica e il Vangelo, avendone verificato la compatibilità. Perciò, “il cristiano che vuol vivere la sua fede in una azione politica intesa come servizio, non può, senza contraddirsi, dare la propria adesione a sistemi ideologici che si oppongono radicalmente o su punti sostanziali alla sua fede e alla sua concezione dell’uomo” (Oct. adv., 26).
Troviamo attualizzate queste sollecitazioni e preoccupazioni nella Lettera di Pentecoste, che i vescovi del Lazio hanno rivolto ai fedeli della loro regione, chiedendo che fosse letta in tutte le chiese, durante la celebrazione della solennità. Purtroppo, la richiesta è stata ampiamente disattesa e la dice lunga sulle responsabilità di non pochi preti nel favorire o tollerare il salvinismo!
“Vorremmo invitarvi – scrivono i vescovi laziali – ad una rinnovata presa di coscienza: ogni povero – da qualunque Paese, cultura, etnia provenga – è un figlio di Dio (…). Chi è straniero è come noi, è un altro “noi”: l’altro è un dono. È questa la bellezza del Vangelo consegnatoci da Gesù: non permettiamo che nessuno possa scalfire questa granitica certezza”.
Lino Prenna