Una prima considerazione a caldo sul nuovo governo riguarda il fatto che intanto sia nato, il che non era affatto scontato, e – sembra; o, comunque, lo auspichiamo – nato con una composizione che non dovrebbe preludere a particolari conflittualità e competizioni interne, problema che (insieme a molti altri – e non entro nel merito di diversi sciagurati provvedimenti) ha caratterizzato fin dall’inizio l’esperienza governativa precedente. Era meglio andare a votare subito? E’ un bene questa alleanza tra 5 stelle e PD (più LEU)? Come giudicare questi cambi di rotta? Io credo che sia prevalso in queste forze politiche un senso di responsabilità nei confronti del Paese e la fiducia di poter dare alcune delle risposte di cui ha davvero bisogno. Del resto la prospettiva del voto – che in genere personalmente, salvo casi particolari, non mi spaventa – e a maggior ragione di un voto dal quale ancora una volta probabilmente non sarebbe sorta in modo diretto una maggioranza – non appariva come la scelta migliore a una grande parte del nostro popolo. Vale la pena rileggere un passaggio del discorso del Presidente della Repubblica dopo il primo giro di consultazioni: “Sono possibili solo governi che raccolgano la fiducia del Parlamento su un programma per il Paese. In mancanza di ciò l’unica strada sono le elezioni, strada da non assumere a cuor leggero dopo poco più di un anno dall’inizio della legislatura”. Non solo: che su alcuni aspetti, al di là delle schermaglie quotidiane, ci fossero consonanze, non lo scopriamo adesso, anche se, finora, onestamente, era prevalso in modo marcato il solco delle differenze e delle diffidenze. Non intendo qui soffermarmi sul programma della nuova compagine e sui tanti problemi ancora irrisolti dell’Italia che il nuovo Governo dovrà con urgenza e determinazione affrontare; del resto li sappiamo e ci sarà comunque modo e tempo per tornarci su. In questo primo commento, a rischio di sembrare moralista, vorrei augurarmi che chi ha l’onore e l’onere di far parte del nuovo Governo – dal presidente del consiglio, ai ministri e ministre, sottosegretari e sottosegretarie – ricordi sempre (e ciò vale anche per senatori/trici, deputati/e, amministratori regionali e locali…) che rappresenta le Istituzioni della Repubblica. E ciò comporta serietà, sobrietà, senso della misura, rispetto per chi la pensa diversamente, sia nei luoghi istituzionali che nell’opinione pubblica, linguaggi consoni, il massimo possibile di coerenza tra parole e azioni. Abbiamo un grande bisogno di uscire da una sorta di ipercomunicazione asfissiante, da forme di presenzialismo mediatico e “fisico” ossessive e stordenti, dalla violenza verbale, dalla voluta e perseguita confusione di ruoli e responsabilità, di privato e di pubblico, di cose che è lecito o non lecito dire (nemmeno pensare; ma almeno non dire). Siamo tutti uguali, ci mancherebbe, dal presidente della Repubblica a ogni cittadino, ma non tutti abbiamo lo stesso ruolo e le stesse funzioni. Abbiamo bisogno tutti (compresi i leoni da tastiera, i perenni arrabbiati e gli urlatori seriali, anche se non lo sanno) di disintossicarci un po’, di liberarci da una specie di rumore continuo che rende difficile capire ma anche farsi capire. Non si tratta di bon ton o di ipocrisia – il grido del profeta, quando ci vuole, è benedetto; la chiarezza è sempre necessaria; non è questo il punto – ma di testimoniare, a tutti ma in particolare ai giovani, un modo sano di discutere e anche di scontrarsi sulle idee. Mi auguro poi che questo Governo sia capace di ascolto: è fondamentale perseguire progetti e obiettivi, guai se non fosse così, ma bisogna anche avere la pazienza e la volontà di ascoltare seriamente le tante voci del nostro Paese (tutte le voci, costruttive o meno, sofferenti e innovative, arrabbiate e propositive), quelle delle grandi organizzazioni sociali, sindacali e produttive, delle associazioni, del volontariato, della comunità cristiana e di ogni espressione religiosa, delle varie sensibilità culturali, fino ai comitati e gruppi informali di giovani e, ovviamente, fino ai singoli cittadini e cittadine. E noi associazioni della rete c3dem, che ci sentiamo parte attiva del mondo cattolico democratico, speriamo di essere a nostra volta ascoltati, per quel contributo costruttivo e disinteressato che vorremmo offrire; ma se ciò non avvenisse, dovremo non avere timore a farci avanti.
Sandro Campanini