Sono tante le piazze d’Italia invase dalle sardine. Ad oggi se ne contano almeno 130. Ascoltando i loro discorsi, leggendo i loro decaloghi, guardando le facce pulite dei tantissimi giovani che legittimamente si pongono all’avanguardia di questo moto civile, verrebbe da dire che la politica ha finalmente rioccupato gli spazi suoi propri. Il paradosso da molti sottolineato, che si tratta di un moto che contesta le forze di opposizione, quando tradizionalmente le piazze esprimono insoddisfazione nei confronti di chi governa, dice solo una parte di verità. Le piazze delle sardine, infatti, oltre a reclamare una politica educata con la sua mitezza, la suo senso della complessità, la sua carica pedagogica che la sottrae dal rincorrere gli istinti, caratteristiche oggi particolarmente assenti nello stile e nel linguaggio della destra, disvelano altresì il vuoto della sinistra. Un vuoto che non è tanto o soltanto di idee, quanto di credibilità della sua classe dirigente. Il vuoto denunciato è fatto di una continua tracimazione di parole e di dichiarazioni attraverso i vecchi e i nuovi media e di una asfissiante presenza nei luoghi della comunicazione. E’ il vuoto di una classe dirigente che di fronte ai problemi delle comunità balbetta parole d’ordine, parole magari cariche di forza immaginifica, senza essere in grado di produrre progettualità. Una classe dirigente che ha perso il suo primato: è mai possibile che la politica industriale, quella ambientale, quella delle infrastrutture e persino quella agricola (vedasi il dramma della xilella nel salento) sia ormai costantemente nelle mani e nei provvedimenti della magistratura?
Le piazze delle sardine ci dicono altre due cose: sul piano della identità del movimento e sul piano del metodo che viene proposto.
Nei volti di questi giovani ritrovo i tratti di quelli che Maritain chiamava “le minoranze profetiche di choc”. Ne L’uomo e lo Stato scrive infatti: “… non basta definire una società democratica dalle sue strutture legali. Un altro elemento gioca una parte profonda, ossia la leva attiva, l’energia dinamica che mantiene il movimento politico, e che non può essere inscritto in alcuna costituzione né incorporato in alcuna istituzione, poiché esso è, al tempo stesso, personale e contingente, ed ha le sue radici in una libera iniziativa…E questi servi o profeti del popolo non sono necessariamente i rappresentanti eletti dal popolo. La loro missione ha origine nel loro stesso cuore e nella loro coscienza. In questo senso, essi sono profeti da sé imposti. Sono necessari al funzionamento normale della società democratica. Sono necessari soprattutto nei periodi di crisi, di rinascita, di rinnovamento profondo di una società democratica.”
Dalla forza del loro discernimento, che vuol dire saper fare i conti con la complessità, scaturisce la loro capacità di distinguere “i profetici autentici e i profeti falsi; i ladri che cercano di dominare gli uomini e i servi che cercano di liberarli; l’ispirazione venuta dagli oscuri istinti e l’ispirazione dell’amore vero.”
In secondo luogo, le piazze delle sardine con il loro richiamo al richiamo al territorio, specialmente quello delle periferie, quello rurale, quello carico di questioni sociali, quel territorio che la solitudine degli scartati colora di tristezza e di impotenza, dicono qual è il metodo grazie al quale restituire significati alla politica. Il ritorno sul territorio, accompagnato dalla consapevolezza dell’importanza delle relazioni personali e comunitarie, è la risposta alla politica politicante, la politica chiusa nelle miserie dei bassi compromessi che preservano nel tempo i posti di comando, le rendite di posizione, la sopravvivenza delle varie consorterie, e attraverso i quali si alimenta il quotidiano esercizio del potere.
Se la crisi della sinistra passa dalla incapacità dei suoi interpreti di porsi in ascolto della comunità e delle singole persone e – nel Sud particolarmente – dal prevalere di logiche di mero potere, il ristabilimento delle relazioni tra le persone è la condizione imprescindibile per la ricostituzione di legami di fiducia e di credibilità. Da questo punto di vista, il proposito delle sardine di ritornare sul territorio fa di esse i nuovi “animatori di comunità” di olivettiana memoria.
La semplice quanto innovativa esperienza di Adriano Olivetti delle Missioni di sviluppo, che avevano appunto negli animatori di comunità il loro motore, fu una modalità di accompagnamento dei processi di sviluppo locale mediante azioni volte a riannodare le relazioni comunitarie (le reti corte) e attraverso queste il legame con le Istituzioni (le reti lunghe) intorno alle “domande di sviluppo” che la comunità esprimeva e che gli animatori stanava.
Essere linfa vitale della democrazia e strumento per la ricostruzione dei legami comunitari è una grande sfida che le sardine vogliono affrontare. Per l’attuale classe dirigente è l’annuncio – come scrive il professor Magatti – che ha già consumato le proprie chance.
Luigi Lochi
22 Dicembre 2019 at 18:10
Carissimo Luigi Lochi,
ho letto con piacere questa tua riflessione che condivido pienamente anche per la scelta delle citazioni. Un caro saluto
Chiara Canta