La pandemia, che tante cose cambierà nelle nostre vite, ha già cambiato anche il modo con cui “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività” (art. 32, Costituzione) inducendo le istituzioni ad affiancare, sia pure inconsapevolmente, l’amministrazione condivisa dei beni comuni al modello di amministrazione tradizionale.
Da un lato, infatti, la Repubblica sta tutelando la salute degli italiani secondo il modello tradizionale di intervento, cioè attraverso il Sistema sanitario nazionale in cui operano con grande abnegazione i nostri bravissimi operatori sanitari.
Dall’altro, però, la Repubblica si è resa conto che questa pandemia pone un “problema di sistema”, cioè un problema che non può essere risolto dai soggetti pubblici da soli e quindi ha chiesto l’aiuto di noi cittadini per rallentare e poi fermare la diffusione del virus. Ma lo ha chiesto sulla base dello scambio primordiale “obbedienza” (dei cittadini) in cambio di “protezione” (da parte dello Stato), non sulla base di un patto di collaborazione fra cittadini e istituzioni, alleati contro il comune nemico rappresentato dal virus.
Un “problema di sistema”
E invece il blocco totale del nostro Paese disposto per fermare la diffusione del Covid-19 potrebbe costituire un incredibile esempio dell’utilizzazione su scala nazionale del modello dell’amministrazione condivisa.
Abbiamo sempre detto che il vero motivo per cui è necessario affiancare il modello dell’amministrazione condivisa a quello tradizionale non è l’inefficienza, reale o presunta, delle pubbliche amministrazioni bensì è la crescita dell’entropia, intesa come aumento del disordine dei sistemi che presiedono alle nostre vite. E’ infatti l’entropia che provoca i “problemi di sistema”, quei problemi che nessun soggetto pubblico o privato è in grado di affrontare e risolvere da solo, come il cambiamento climatico, le grandi migrazioni oppure, appunto, le pandemie.
Dare un significato alto e nobile
La pandemia pone un “problema di sistema” perché è evidente che i soggetti pubblici, in questo caso le ASL ed il Sistema sanitario nazionale, non sono in grado di combatterla da soli ma hanno assoluto bisogno della collaborazione dei cittadini.
Questa collaborazione, però, darà risultati diversi e sarà più o meno efficace nella comune battaglia contro il virus a seconda di come le istituzioni si rivolgono ai cittadini. Una cosa infatti è limitarsi a chiedere ai cittadini di stare a casa, un’altra è dare a questo “stare a casa” un senso, un significato alto e nobile, che faccia sentire i cittadini orgogliosi protagonisti di uno sforzo epocale, di quelli che cambiano la storia di una nazione.
Fare come in Cina?
Il Covid-19 ha attaccato duramente e quasi contemporaneamente la Cina e l’Italia, due paesi diversissimi fra loro, quasi come se volesse mettere alla prova in parallelo la capacità di risposta di un regime totalitario e di una democrazia parlamentare.
E poiché la risposta cinese sembra essere stata molto efficace, con una nettissima riduzione dei casi di contagio in tempi relativamente brevi, molti nel nostro Paese stanno guardando alla Cina come ad un modello da imitare dal punto di vista della gestione del rapporto fra istituzioni e cittadini. La paura del contagio fa insomma riemergere una vecchia e sempre presente tendenza degli italiani ad affidarsi ad un “uomo forte”, qualcuno che li guidi e li protegga. E i comportamenti incivili e irresponsabili di molti nostri concittadini sembrano dar loro ragione.
Se nei prossimi giorni la lotta contro il virus non dovesse dare risultati concreti e il contagio dovesse cominciare a mietere vittime anche al Sud c’è il rischio che, guardando all’esperienza cinese come modello, molti saranno disponibili ad accettare oggi lo scambio che già veniva proposto negli Anni Settanta per fermare i terroristi delle Brigate Rosse e dei Nar: “Un po’ meno libertà in cambio di un po’ più di sicurezza”.
La salute, bene comune
Uno scambio illusorio e pericoloso, ma poiché quando si ha paura si è disposti ad accettare qualunque cosa, al modello autoritario cinese dobbiamo contrapporre qualcosa di altrettanto efficace e convincente. E ce l’abbiamo, è il modello dell’amministrazione condivisa dei beni comuni, fondato sull’assunzione di responsabilità dei cittadini nei confronti dei beni comuni e sperimentato negli ultimi anni in oltre 200 città con migliaia di patti di collaborazione per la cura dei beni comuni.
In questi giorni tutti, istituzioni, politici, media chiedono agli italiani di essere responsabili, accettando sacrifici alle proprie abitudini di vita per fermare la diffusione esponenziale del contagio.
Andrebbe invece rovesciata l’impostazione. Non tanto una richiesta di fare sacrifici, quanto piuttosto la proposta di essere protagonisti, insieme con le istituzioni, di un’alleanza per l’interesse generale, tutelando con i nostri comportamenti individuali quel fondamentale bene comune che è la salute. Bisognerebbe che qualcuno dicesse agli italiani: “Facciamo un patto. I medici e gli infermieri si prendono cura in ospedale della salute dei malati, voi vi prendete cura stando a casa della salute vostra e di quella degli altri e in questo modo, tutti insieme, ci prendiamo cura dell’Italia e mettiamo le basi per la Seconda Ricostruzione del Paese”.
La Seconda Ricostruzione comincia adesso
Se i cittadini, cioè tutti noi, siamo alleati delle istituzioni per risolvere insieme un “problema di sistema” prendendoci cura del bene comune salute, allora è possibile, anzi necessario dare a quello che tutti stiamo facendo una prospettiva che vada oltre il mero fatto fisico dello stare chiusi fra quattro mura.
C’è modo e modo di “stare a casa”… e infatti ovunque fioriscono iniziative di solidarietà di vicinato, di auto organizzazione, di modi inediti e intelligenti di usare il web, i social e il telelavoro, mettendo a frutto doti molto italiane come la fantasia, l’intelligenza e la capacità di innovazione.
Tutto questo è bellissimo, sia perché ci aiuta a resistere in questa fase di sospensione delle nostre abitudini di vita, che non sappiamo per quanto durerà (ma sicuramente non sarà per poco….), sia anche perché è in questi giorni di forzata clausura casalinga che possiamo mettere le basi per la Seconda Ricostruzione.
Gregorio Arena, presidente di Labsus
www.labsus.org