Resistere per ricostruire. Riflessioni in tempo di coronavirus e quaresima.

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Qui da noi tutto è esploso con il carnevale! Non che prima non fossimo consapevoli del pericolo, ma proprio per quel fine settimana la minaccia è diventata concreta; e poi la quaresima… Casualità, segno? Sta di fatto che proprio la quaresima mi ha portato a considerare la storia di Israele e la fuga dall’Egitto.

Sgombro subito il campo da troppo facili pregiudizi: non si tratta di castigo di Dio. Dio ama l’uomo e non lo castiga con la morte. E, se non è così, allora che cosa ci può dire il racconto di quella vicenda così tremenda?

Riassumerei la storia in questo modo: c’era un popolo molto ricco, nel massimo fulgore economico e militare, che si arricchiva e godeva dello sfruttamento di quella parte della popolazione emarginata, costituita dagli Ebrei. Succede che viene chiesto di mettere fine a quell’ingiusto sfruttamento. Questo è volere di Dio.

Il faraone non vuole assolutamente rinunciare ai vantaggi derivanti da quella posizione subalterna e a quella richiesta risponde aumentando il carico di fatiche e privazioni, pensando che, così facendo, avrebbe intimorito e sopito la richiesta di libertà. La reazione non si fa attendere e così cominciano le disgrazie (le piaghe), conseguenza della volontà di sopraffazione e della paura di perdere i privilegi goduti.

Lo schema si ripete più volte:  il profeta (Mosè) chiede giustizia, denuncia lo stato di schiavitù e il faraone sembra capire la situazione di pericolo che potrebbe derivare dal mantenere le cose allo “statu quo”, promette cambiamenti, poi fa i conti con la perdita di potere che ne deriverebbe e “il suo cuore si indurisce” e quindi nega quanto promesso. E tutto questo in un crescendo di disastri e di perdite umane ed economiche che però non intaccano il suo potere di dominio.

Fermiamo qui il racconto.

A me sembra che la storia che oggi stiamo scrivendo abbia molta analogia con questo racconto mitico.

Sono riconoscibili i profeti che gridano le ingiustizie e le contraddizioni che distinguono questo nostro tempo: poveri sempre più poveri, ambiente in forte sofferenza per effetto dei cambiamenti climatici, guerre per il dominio di territori e di popoli….

Non sono ascoltati pur crescendo la consapevolezza della necessità di risposte immediate. Sconfiggere la fame, ridurre l’emissione di CO2, frenare il riscaldamento globale del pianeta, favorire sistemi produttivi non inquinanti, accettare il disarmo… sono stati al centro di accordi internazionali ….regolarmente disattesi. Quanti faraoni oggi!

E tutto questo produce angoscia, non solo paura. L’angoscia è uno stato di alienazione dell’uomo ed è dovuta all’inefficacia della sua azione, è conseguente alla dissociazione, al conflitto tra la coscienza morale (si dovrebbe fare così) e la coercizione di una realtà esterna che produce comportamenti incoerenti. Diciamo che vogliamo la pace e produciamo armi; vogliamo sconfiggere la fame, ma non rinunciamo al nostro benessere; sprechiamo per comodità risorse e gettiamo prodotti per mantenere  attivo il mercato delle merci; vogliamo ridurre emissioni di CO2 ma continuiamo a consumare energia…. C’è un conflitto permanente tra la volontà di rispondere alle esigenze morali e le azioni incoerenti che portano al fallimento di tale volontà.

L’incoerenza o dissociazione della morale, oggi come allora, trova il suo fondamento nella volontà immorale di avere il dominio sulle cose e sulle persone; e questo non è certo ciò che Dio ha voluto per l’uomo.

L’angoscia vive nel profondo della coscienza, rivela la tragicità della vita e per questo rimane nascosta, riconoscibile per i comportamenti da essa determinati, ma camuffati e giustificati in modo tale da essere attribuiti a cause esterne all’individuo che ne soffre.

Facciamo un esempio: c’è un divieto ad uscire, giustificato da un’esigenza collettiva di ridurre il contagio, ad oggi unica possibilità per sconfiggere il virus. A questo divieto gli anziani che lo infrangono argomentano lo scarso interesse per la loro vita residua, i giovani sostengono la bassa aggressività del virus nella loro fascia di età e così fallisce l’efficacia del provvedimento percepito come riduzione del proprio io, ma poi l’angoscia diventa evidente negli ospedali, nelle corsie dove ormai non si trova più posto per curare tutti. La mancanza di una coscienza collettiva, di un sentirsi popolo, della cura della collettività sono il luogo del fallimento.

Così combattiamo il virus mettendo in campo altre forme coercitive di controllo sociale, più stringenti di quelle a cui siamo sottoposti, che resteranno attive e sfruttate anche a emergenza terminata, ma non garantiranno da un’altra possibile formazione di RNA, capace di aggredire le cellule dell’uomo.

Siamo fragili, diventiamo inadeguati, quando non sappiamo accettare la finitudine della nostra esistenza, per nostra o altrui volontà; quindi possiamo dire che la fragilità non è da Dio, è frutto di una esagerata volontà di egemonia dell’uomo sull’uomo e sulle cose, della supponente onnipotenza egoistica individuale o di gruppo; è una solitudine interiore, priva di relazioni gratificanti e fondate sull’amore, che nel confronto con il mondo comunque vuole affermarsi come superiore o si sente profondamente inadeguato.

Il racconto dell’esodo ci porta a considerare l’angoscia degli egiziani che videro scendere le tenebre sul paese, provocando grande spavento, visione di fantasmi (fake news), immobilità, mentre vi era luce per gli Israeliti, segno della irrealtà entro cui vivevano l’esperienza della crisi.

Nel momento della crisi, dell’angoscia è possibile trovare luce se si è capaci di fidarsi e affidarsi, se si è in grado di trovare  la forza di riprendere il cammino abbracciando una umanità solidale, se c’è la volontà di liberarsi dalle schiavitù che costringono la nostra vita in schemi che non riconosciamo appartenerci.

Ma questa pandemia sarà l’ultimo atto del crescente egoismo, della violenza sulla natura, del condizionamento sociale, dell’accumulo illimitato e non socialmente governato e delle disuguaglianze sociali che opprimono la maggior parte dell’umanità?

Forse sì, forse no.

E il racconto biblico continua…. Il faraone, preso dalla paura (e non dalla consapevolezza), lascia uscire gli Ebrei dall’Egitto, ma mentre questi sono già in cammino sente prepotente il bisogno di affermare la sua potenza, non vuole assolutamente perdere il dominio e per questo li rincorre per riportarli all’interno dei confini del potere. E noi chiudiamo scuole, raccomandiamo agli anziani di stare in casa,  continuiamo a produrre e consumare (nella maggior parte d’Europa) perché pensiamo di poter ancora controllare la situazione.

Così l’esercito del faraone sembra avvicinarsi agli Israeliti, ma trova frapposto tra sé e gli altri una nube che non consente di vedere e li costringe a fermarsi, a perdere l’orientamento, mentre gli Ebrei illuminati dalla stessa nube possono attraversare il mare all’asciutto, tra due fronti dell’acqua che si era ritratta.

Gli egiziani poi li inseguono in quell’impresa perché il faraone aveva detto: “Che abbiamo fatto, lasciando partire Israele, così che più non ci serva!”. E nel mare trovano difficoltà a muoversi, e quando il mare racchiude le sue acque non possono più scappare: è l’implosione di una società potente per lo sfruttamento delle altrui debolezze, non più in grado di governare gli eventi.

Si dice, dopo non sarà più come prima…., ma sempre ricordando Esodo, dopo ci sarà il  deserto e non il paese ove scorre latte e miele. Il viaggio nel deserto sarà ancora ricco di contraddizioni e sbandamenti che solo per la fede nel Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe si concluderà nel paese desiderato.

Il racconto dice a noi che l’uscita da questa situazione ci deve far riflettere e non sarà facile. Anche noi oggi abbiamo un pastore e profeta: Francesco, che grida le ingiustizie del mondo e ci spinge con esortazioni ad abbandonare stili di vita egoistici. Sapremo seguirlo?

Siamo in grado di riflettere sul valore delle nostre relazioni interpersonali (nessun accumulo a discapito dei fratelli), sul valore delle nostre scelte sociali e politiche, in ordine all’economia, alla salvaguardia della terra, alla redistribuzione della ricchezza?

Abbiamo in più, rispetto a Israele, la presenza di un mediatore che intercede per noi presso Dio; mediatore perché ci ha dato testimonianza del volto di Dio e della relazione amorosa che Egli vuol instaurare con l’uomo a patto che questi sappia vivere lo stesso rapporto con i fratelli.

Gesù ci ha rivelato un Dio che ci guida, ci ama, ci incita ad accettarci così come siamo, nella nostra finitudine, fuori da desideri di onnipotenza, di isolamento, amati perché da lui creati, così come siamo, solidali con quel mondo in cui ha voluto che fossimo collocati. Solo nell’amore reciproco potremo vivere liberi dall’angoscia, in quella gioia piena invocata da Gesù: “Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv. 16,24b)

Sapremo prendere le decisioni, fare le scelte giuste per uscire dall’angoscia dell’onnipotenza?

 

Giovanni Margarino

chirurgo oncologico di Genova

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