“Obama crede, e dimostra nei fatti, che equità e crescita devono venire prima del rigore. Questo è il senso della manovra varata in extremis dal Congresso”. Federico Rampini su la Repubblica del 3 dicembre (“La rivincita sul neoliberismo”), vede nella scelta di Obama “un cambio di paradigma” nella politica economica degli Usa, e osserva che “Obama fa bene anche a noi”: “La politica del rigore feroce applicata a Roma, Madrid, Atene e Lisbona, mantiene l’eurozona in uno stato di catalessi (…) Altre terapie danno risultati diversi”. Anche Mario Deaglio su La Stampa (“L’economia può ripartire dal fisco”) vede nella scelta di Obama di tassare i ricchi “un momento di svolta, la fine di uno dei principi guida del capitalismo moderno”, quello cioè che riteneva che, per ottenere un aumento della crescita, fosse sufficiente ridurre le imposte ai cittadini dai redditi elevati. Per Deaglio, “per rilanciare l’economia, a chi ha redditi e capitali elevati si deve chiedere non tanto di consumare di più quanto di investire di più”. Nel suo commento della vicenda americana Carlo Bastasin su il Sole 24 Ore osserva che, a differenza degli Usa, “l’area euro si infligge troppo rigore, anche quando si trova in recessione, per l’assenza di fiducia e di una politica comune che offra garanzie sulle responsabilità di domani” (“La credibilità della politica fa la differenza”). Per Paolo Guerrieri, su l’Unità, la lezione per l’Europa “è la necessità di contare più sul rilancio della propria domanda interna e sui 500 milioni di consumatori che l’alimentano per un rilancio della crescita”, uscendo da deflazione e auserità.