Il tempo che resta. Un sabato Santo sospeso tra coronavirus e Resurrezione
Oracolo del silenzio
Mi gridano da Seir:
Sentinella, quanto resta della notte?
Sentinella, quanto resta della notte?
ISAIA, 21, 11
Non è un sabato santo qualsiasi, quello che stiamo vivendo
Un tempo terribile e contraddittorio ha fatto irruzione con la sua pervadente paura, nel cammino e nello spazio che, periodicamente, ci avvicina alla Pasqua.
Come ben spiegava un famoso testo di Giorgio Agamben, il sabato santo è, in ogni caso, un tempo potenzialmente sempre più difficile da vivere pienamente, spiazzante nella nostra comunque frenetica e, ormai, di nuovo iperconnessa (anche se ora solo digitalmente) vita.
Quest’anno, il 2020, molto è stato diverso e alcune nuove riflessioni del filosofo hanno scatenato non poche polemiche.
I canoni dell’angoscia, dell’attesa e della solitudine del sabato Santo si sono dilatati durante una Quaresima che è sembrata infinita, una difficile preparazione della visione e del compimento della Resurrezione.
Un tempo non più definito, in questo caso ancor più tragico, e proteso verso un altrove sconosciuto.
Se ci cimentiamo nella lettura del bello e intricato saggio di Giorgio Agamben che si intitola proprio:
“Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai Romani” possiamo fermarci e riflettere sul fatto che, oggi, ci troviamo allo stesso tempo di fronte e alle spalle la Resurrezione.
Siamo in un tempo fortemente messianico in cui il rapporto dialettico tra memoria e speranza, passato e presente, pienezza e mancanza, origine e fine, necessita di un senso e di una forma.
Un Sabato Santo abnormemente dilatato.
Una risposta ce la fornisce lo stesso Paolo: egli definisce l’essenza/esistenza interna del tempo come ho nyn Kairos: il “tempo di ora”.
Ci troviamo nell’incertezza fiduciosa e sofferente che ci pone tra la morte e la Resurrezione di Gesù, il tempo di ora si pone tra la Resurrezione e l’Apocalissi attraverso una circolarità che inverte il rapporto tra passato e futuro, tra memoria e speranza.
Questo sabato santo 2020 ci dà invece l’opportunità di rendere generativo lo spazio/tempo che stiamo vivendo.
Un sabato santo di preghiera e timore di angoscia che solo se guidata dalla sete di vita e di condivisone, può portare alla piena Resurrezione.
Passando dal testo biblico alla vita di ogni giorno è l’oggi, il tempo che ci resta, quello che è individualmente e umanamente possibile, all’interno della vita di ogni singolo essere umano: ad essere centro mobile, non destino, ma costruzione.
E’ il continuo kairos che ci obbliga ad una costante critica e rimessa in discussione e che si pone di fronte al continuo mutare del presente. Anche di fronte al presente sospeso e angosciato del Coronavirus, non possiamo rinunciare alla nostra”continua rivolta”, invocare pieni poteri, perdere profondità dello sguardo e di spirito critico.
La rivolta, come scrive Simona Urso si distingue dalla rivoluzione proprio attraverso la diversa esperienza del tempo.
“Essere quindi dentro il tempo (la rivolta di Spartaco), e non auspicarsi in un tempo futuro (la prospettiva rivoluzionaria), è il tempo che resta.”
Questo essere dentro il tempo, ancor di più in questo inedito sabato Santo 2020, non ci deve far permettere alla paura di divorare il nostro spirito, di impedirci di decodificare i segni del nostro tempo.
La nostra continua rivolta si pone come argine all’assolutizzazione della violenza e del tempo, anche nel suo scontato destino, divenire del singolo e della comunità.
La Pasqua, che oggi, solo intravediamo è Vita che dà vita.
Come scriveva anni fa Enrico Peyretti, in replica alle considerazioni sulla Lettera ai Romani, “Gesù di Nazareth, affrontando il rifiuto e la violenza con la forza della fedeltà alla verità che aveva da vivere, accettando di essere fatto vittima innocente, insieme a banditi, perché non ci fossero più vittime, neppure colpevoli, è diventato, anche fuori dalla religione che a lui si ispira, un esempio massimo di vita che dà vita, uno spirito maternamente fecondo per l’umanità che cerca di vivere”.
In questo tempo di sofferenza e attesa, di solitudine non possiamo che partire da noi.
Viviamo oggi una Resurrezione che non possiamo toccare, ma di cui dobbiamo imparare a riconoscere i segni.
Affinché il male non si assolutizzi e renda permanente non l’avvento della Resurrezione, ma i chiodi del Coronavirus e di una croce che non ci libera, ma ci tiene affogati nel sangue di una storia apparentemente finita.
Proprio oggi,Sabato Santo 2020, invece, è importante avere il coraggio di guardare alla Vita che dona Vita, nel tempo che ci resta, il tempo di un’incertezza feconda declinata attraverso la memoria e la fede.
Ha scritto lo stesso Agamben pochi giorni fa: “si direbbe che gli uomini non credono più a nulla – tranne che alla nuda esistenza biologica che occorre a qualunque costo salvare. Ma sulla paura di perdere la vita si può fondare solo una tirannia, solo il mostruoso Leviatano con la sua spada sguainata. Per questo – una volta che l’emergenza, la peste, sarà dichiarata finita, se lo sarà – non credo che, almeno per chi ha conservato un minimo di lucidità, sarà possibile tornare a vivere come prima. E questa è forse oggi la cosa più disperante – anche se, com’è stato detto, «solo per chi non ha più speranza è stata data la speranza».
Con questo solo apparente paradosso, viviamo un sabato santo in cui il silenzio e il “distanziamento” è stato il nostro tempo, necessario, ma non privo di coscienza.
Non un altrove acritico.
Qui e ora.
Il tempo che resta è proteso, oggi ancora di più, verso una Santa Pasqua di Resurrezione.