La Stampa dà conto dei problemi dell’ala liberal del Pd (“Tensione nel Pd. Il listino di Bersani colpisce i liberal”), e accenna ai casi di Morando, Ceccanti, Tonini. Un altro liberal, Umberto Ranieri, su Il Foglio critica “i neofiti della socialdemocrazia” nel Pd, e “la pigrizia mentale” che li conduce “ad attribuire ogni male al neoliberismo”, e sostiene che l’iniziativa di Monti era inevitabile e necessaria e che sarà importante avere in Parlamento “una presenza autorevole e significativa” dei montiani (“Rottamare l’agenda Fassina”). Di tutt’altro avviso Michele Prospero su l’Unità che considera Grillo, Ingroia, Berlusconi, Maroni e anche Monti tutti ugualmente portatori del “rischio populista” (“Cinque capi solitari”); anzi, dice che “l’esperienza di Monti segna una tappa tipica del populismo di un capo ostile alla forma partito e alla partecipazione di energie collettive”. Per Fabrizio Barca, intervistato da Bianca di Giovanni, sempre su l’Unità, l’adesione alla Lista Monti segna uno dei modi in cui si esprime la forte domanda di partecipazione che c’è nel paese; ma sostiene che “chi dice che non c’è differenza tra destra e sinistra, o racconta un mondo monistico in cui esiste una sola soluzione ai problemi, in verità non vuole cambiare le cose e vuole favorire solo una parte, con il convincimento di possedere una soluzione tanto superiore alle altre da voler abolire il pluralismo” (“Sinistra e destra esistono. Chi lo nega non vuole cambiare”). Pierluigi Castagnetti, ancora su l’Unità, osserva che il voto dei cattolici, intesi nel senso largo del costume, non è più condizionabile dai vescovi né da altri, ma il Pd deve cercare di parlare anche a loro mantenendo il profilo “moderno, liberal e accogliente” dimostrato durante le primarie (“Un Pd aperto e inclusivo”).