Luciano Moia e Riccardo Maccioni : “Enzo Bianchi accetta il decreto; lascerà la comunità di Bose” (Avvenire, 1 giugno). Luciano Moia: “Bose, Enzo Bianchi: obbedisco, è l’ora del silenzio” (Avvenire, 3 giugno). Carlo Tecce, “Padre Bianchi: ‘Fatemi restare’. Ma il Papa gli ha detto no” (Il Fatto). Sul blog Confini di Rainews Pierluigi Mele ha intervistato Riccardo Larini, un intellettuale molto vicino alla Comunità di cui ha fatto parte per undici anni (fino al 2005): “Il caso Bose. Intervista a Riccardo Larini“.
4 Giugno 2020 at 09:53
Sull’articolo-velina incredibile (anzi attendibilissimo) di Moia e Maccioni del 1 giugno su Avvenire non ho potuto evitare di inviare al direttore del quotidiano una lettera che non sarà pubblicata se non tagliata e mondata e che quindi riporto qui con speranze maggiori.
Egregio Direttore,
l’articolo di Luciano Moia e Riccardo Maccioni del 1 giugno sulla “bomba” Bose è un capolavoro in perfetto stile curial-democristiano che non si vedeva da tempo. L’ho letto quindi sì con tanta pena, ma con un pizzico di amarissima ironia.
“Bose ritrova la serenità. Dopo lunghi mesi di tensione, è stato trovato un accordo che mette d’accordo tutti”.
Tarallucci e vino insomma. Evviva. Come si possa scrivere senza fare un plissè una frase del genere è un mistero. Come si può affermare che in una famiglia si viva con serenità il fatto che un decreto venuto dall’alto ha cacciato dal monastero il suo fondatore ed altri tre fratelli, che hanno umilmente obbedito ma con la sofferenza che immaginiamo; sofferenza immensa sicuramente condivisa da tutta la comunità. Se gli estensori dell’articolo hanno una famiglia e dei figli, immaginino per un attimo con quanta “serenità” e “tutti d’accordo” potrebbero accettare una sentenza che mandi via da casa loro come padri e qualcuno dei loro figli senza potersi difendere e nemmeno conoscere i capi d’accusa -come Bianchi ha detto di aver chiesto e non ottenuto-. (Ma no, non è una cacciata! Ma è per soli cinque anni! Ah, allora….).
Salto alla fine dell’articolo: “Certo, le questioni sul tappeto sono tante e importanti, a cominciare dalla configurazione giuridica di Bose che, a oltre mezzo secolo dalla fondazione e nonostante la statura internazionale conquistata, è rimasta un’associazione privata di fedeli che dipende dal vescovo locale. Forse una struttura inadeguata per la svolta decisa oggi che apre alla comunità nuove e ancora più rilevanti prospettive”. Perfetto. Siamo alla “normalizzazione” che prima o poi ci si doveva pur aspettare a non essere ingenui. Diamo a Bose una bella e solida configurazione giuridica e canonica sotto il competente dicastero vaticano, perbacco. Binari solidi, basta improvvisazioni e sperimentazioni ecumeniche. Dimentichiamo che è una comunità ecumenica e che quindi dovrebbe quantomeno mettere insieme ordinamenti canonici di svariate Chiese diverse, cosa naturalmente impossibile, e che dovrebbe quindi diventare un monastero Cattolico (sotto giurisdizione romana) con licenza -al massimo- di “ospitare” fratelli di altre Chiese non cattolico-romane, che per quanto precede non potrebbero esserne membri a pieno titolo, ovviamente. Facile intuire che il passo successivo sarebbe mettere fine a questa pericolosa promiscuità che consente l’esistenza in un solo monastero di uomini e donne. Eccetera. Comincia l’imbalsamazione.
E’ proprio impossibile immaginare che lo Spirito si muova in modi che non ci sono consoni e che non rientrino in protocolli tridentini. I profeti hanno sempre fatto tutti la stessa fine, non se ne esce.
Se lo Spirito si facesse vedere anche ai nostri tempi “in forma di colomba”, non potremmo proprio fare a meno di acchiapparlo e metterlo a mangime in una bella gabbietta dorata al riparo dai pericoli, con periodiche visite veterinarie, ben custodito da una guardia svizzera. Non svolazzasse troppo che poi si fa male. E’ più forte di noi. Badate che lo dico anche a me stesso!
Preghiamo invece perché lo Spirito svolazzi libero come vuole e senza piani di volo prefissati; come vento e fuoco doni alla sua Chiesa aria fresca e libera, luce che non sia al neon, fantasia che osa, capacità di sognare, di provare strade nuove e di non avere mai paura della profezia.
Cordiali saluti.
L. A**
4 Giugno 2020 at 12:50
Non so se Avvenire pubblicherà o no la sua lettera. Se non lo farà, debbo dire che un po’ lei se l’è cercata, perché il tono usato, visto che si tratta di una lettera a un giornale e non di un articolo che uno mette sul proprio blog se ce l’ha, è piuttosto irritante. Io non trovo l’articolo di Moia e Maccioni così criticabile. Capisco che si possa pensare, come lei fa, come ha fatto Melloni su Repubblica, e come altri hanno fatto e faranno, che si si trattato di un attacco del Vaticano a Bose per avviare una normalizzazione che dunque tagli le ali alla comunità, alla sua esperienza di comunità mista, di monaci e monache, di cattolici protestanti e ortodossi, di voce libera, capace di profezia. Ma francamente è altrettanto legittimo, e credo più verosimile, ritenere che la comunità stessa, divisa al suo interno e non capace di affrontare e risolvere i dissidi sopraggiunti dopo che Enzo Bianchi ha lasciato la guida e a lui è succeduto Luciano Manicardi, abbia cercato in Vaticano (non avendo un rapporto diretto con il vescovo locale) l’aiuto di cui aveva bisogno. Non vedo in Parolin, segretario di stato e firmatario del decreto che ha concluso il tentativo di conciliazione condotto dalle persone inviate dalla santa sede, il profilo di un normalizzatore. E non credo che papa Francesco, nel dare il suo consenso alla decisione formulata da Parolin, sia stato l’avveduto complice di una normalizzazione oppure l’ingenuo succube di una sorta di imboscata. Naturalmente posso sbagliarmi. Ma è un po’ inverosimile pretendere, come lei fa, che l’Avvenire sposi l’interpretazione della normalizzazione. E, nel parlare di ritrovata “serenità” nella comunità credo che i due giornalisti volessero solo dire che la decisione infine presa è stata accettata da fratel Enzo e dagli altri tre, e questo è un elemento che può obiettivamente portare un po’ di serenità. Ma, certo, tanti motivi di sofferenza restano. E davvero si vorrebbero conoscere – pur senza entrare in questioni troppo private – le ragioni che hanno portato al decreto di allontanamento, per poter capire se i cosiddetti pericoli di normalizzazione che qualcuno paventa sono reali, e, in questo caso, se essi vengono dall’esterno, dal Vaticano, o da dinamiche interne.