Cattolici e politica? Un dibattito sulle pagine di «Appunti di cultura e politica»

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Il secondo numero del 2020 della rivista «Appunti di cultura e politica» ospita un focus sulla crisi del cattolicesimo politico e la proposta di un nuovo movimento di ispirazione cristiana. I contributi che animano il dibattito sono di Stefano Zamagni, Franco Monaco e Filippo Pizzolato.

Il dibattito carsico su un nuovo «protagonismo» del cattolicesimo nella politica italiana è stato riacceso dal Manifesto per un nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana e dal relativo movimento “Politica insieme” che, tra i suoi promotori, annovera l’economista Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia per le Scienze sociali.

Proprio a partire dall’intervento di Zamagni prende le mosse il dossier della rivista. Egli, infatti, ritiene che «ogni cristiano coerente non può non essere interessato alla politica» (p. 7). Da qui, secondo l’Autore, discende la conseguenza che i cristiani non possono attestarsi al pre-politico, come è stato fatto per lunghi anni: «Da un trentennio a questa parte si è consumata una cesura profonda, entro il mondo cattolico italiano, per quel che riguarda l’impegno politico diretto» (p. 8). È questa la «teoria della diaspora» del cristianesimo politico che, secondo Zamagni, ha portato a una duplice debolezza. Il passaggio qui si fa delicato e, dunque, è bene riportare le parole dell’Autore: «Per un verso, essa [la diaspora] comporta che i cattolici si rassegnino a essere minoranza ovunque si trovino inseriti e quindi accettino di scomparire politicamente»; «con il risultato che, poiché in democrazia vige il principio della maggioranza, chi è minoranza mai potrà vedere accolte le proprie istanze, a meno di gesti compassionevoli o “buonisti” della maggioranza. Bel paradosso, davvero!» (pp. 8 – 9). Nel quadro di un bipolarismo di stampo inglese che in Italia è stato maldestramente naturalizzato, secondo Zamagni il cattolicesimo politico perde consistenza e il contributo cristiano rimane schiacciato dai due schieramenti. Egli, infatti, ritiene che il bipolarismo non possa essere strumento di una democrazia «sostantiva» (p. 9): esso, infatti, sacrifica fortemente la rappresentanza del pluralismo sociale, centrale per la nostra tradizione culturale e sociale. Queste considerazioni fondano il progetto di “Politica insieme” e del suo Manifesto. Il nuovo movimento – il cui programma dovrebbe essere diffuso entro l’estate – non è ancora definito: «In un’apposita Assemblea costituente si deciderà se dare vita o meno a un nuovo soggetto partitico, autonomo, non confessionale, aperto a chiunque ne condivida la missione e il programma» (p. 10).

Al di là delle forme e dei contenitori, cosa si propone questo movimento?

1. «La definizione del modello di ordine sociale verso il quale dirigere l’azione politica»: centrale pare dunque la volontà di definire una forma sociale, economica e politica su cui puntare. Annota Zamagni, infatti, come nel mondo cattolico ci sia smarrimento culturale e «si sia andata consolidando l’idea, nel corso dell’ultimo trentennio, secondo cui il cattolicesimo impegnato in politica possa indifferentemente optare per un progetto neo-liberista o neo-statalista o altro ancora. L’idea passata è che si debba restare uniti sui princìpi morali, ma non anche sui processi di trasformazione degli assetti istituzionali» (p. 10).

2. La «proposta di “Politica insieme” poggia sulla considerazione che ci sono oggi le condizioni per dare ali a una forza politica di centro moderata – e quindi non conservatrice –, aperta a credenti e non credenti che si riconoscono in un progetto politico di taglio trasformazionale» (p. 12).

3. Il rifiuto della negative politics, ovvero del mettersi sempre all’opposizione delle proposte altrui, mai indicando un progetto politico chiaro e propositivo. Franco Monaco, già deputato del Partito democratico, si dice d’accordo sulla percezione di stallo del contributo del cattolicesimo politico alla vita del paese. Monaco, però, non condivide l’idea di un partito unitario di ispirazione cristiana per il fatto che – oggi, ancor più di qualche decennio fa – i cristiani non possono essere identificati con una qualsivoglia ideologia politica e sociale poiché non sono un moloch culturale. Ciò però «non sottintende un minoritarismo rinunciatario e quasi compiaciuto, ma la realistica, responsabile, presa d’atto che oggi i cristiani rappresentano una minoranza sociale» (p. 15).

Monaco si dice contrario a un «bipolarismo presidenzialista», secondo la logica, fino a poco tempo fa in voga, di una «democrazia decidente», ma – a differenza di Zamagni – è favorevole a un bipolarismo dell’alternanza, che dia spazio a un fisiologico e chiaro mandato elettorale con una conseguente responsabilità politica di fronte agli elettori. Egli, in sintesi, non si dice distante dai contenuti del Manifesto, quanto dall’idea di far nascere un movimento politico che potrebbe portare avanti «posizioni ambiguamente terziste» (p. 18) e facilmente strumentalizzabili.

Filippo Pizzolato riconosce che, dinnanzi all’attuale panorama politico-rappresentativo, la sensazione è quella di essere in un mare senza punti di riferimento nel quale la tentazione di aggrapparsi a un appiglio, anche piccolo, è forte: «In un deserto, una piccola oasi può sembrare un albergo confortevole», ma rischia di divenire – al di là delle intenzioni dei promotori – una «roccaforte dell’esistente» (p. 19).

Pizzolato rileva, inoltre, come il nuovo movimento politico – proponendosi in modo alternativo alle aree (a proiezione europea) socialista e liberale – presupponga un’unità culturale del cattolicesimo politico che, al pari di quella partitica, «appare evanescente e artificiosa» (p. 20). Inoltre, con il marcato rifiuto del bipolarismo, la creazione di un «centro moderato, ma non conservatore» potrebbe condurre al rischio di svuotare i due schieramenti maggioritari «proprio delle loro componenti più ragionevoli, contribuendo così a una più marcata polarizzazione, di cui potrebbe approfittare […] una forza che già occupi in modo diverso il centro» (p. 21).

In ultimo, Pizzolato, domandosi se vi sia – in concreto – la «base» a cui questa nuova proposta politica pensa di proporsi, auspica che qualsiasi iniziativa passi attraverso «un lavoro di tessitura paziente, di dialogo federativo libero dalla tentazione di appiccicare etichette e di incasso elettorale. Dalle autonomie, dal basso, non dall’alto» (p. 22).

E proprio quest’ultimo richiamo a un movimento democratico dal basso, che sappia intercettare le forme articolate e plurali della partecipazione, pare condivisibile in vista della “fase 2” del progetto politico lanciato da Zamagni. Nelle prime fasi, infatti, sono state avanzate alcune analisi e linee programmatiche condivisibili, ma ancora troppo generiche (tra cui la valorizzazione dei corpi intermedi e il ripensamento del sistema economico verso un’economia civile). Ora tocca al passaggio più delicato e decisivo: dare forma a questi propositi e, come emerge anche dal dibattito sulle pagine di «Appunti», è proprio qui che si gioca la partita più importante perché, quando si discute di cattolici e politica, forma e sostanza non possono essere separate.

 

Andrea Michieli

Segretario dell’Associazione “Città dell’uomo”

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  1. Può avere senso una nuova unità politica dei cattolici, se tale unità si costruisse partendo dalla corretta analisi della crisi della società industriale. Analisi da sviluppare con la proposta di una politica che voglia fare proprie le potenzialità della nuova “società sapienziale” che (con il nome di “società della conoscenza”) stiamo inconsciamente vivendo.
    Della nuova “società sapienziale” vanno individuate le risorse e i loro coerenti impieghi.
    Fin qui, pare che nessuno sia ancora aperto a considerare il patrimonio dei contesti d’arte (che fa “storico” ogni territorio umanizzato) quale nuova risorsa per la qualità della vita nei territori storici.
    Il patrimoni d’arte è considerato importante soltanto in riferimento allo sviluppo turistico, non in funzione delle nuove imprenditività e produttività postulate dalla sua valorizzazione mediante i processi della salvaguardia, postulati dall’ICR di Giovanni Urbani fin dal 1975 con il cosiddetto “Piano Umbria” (leggibile nel sito dell’Istituto Mnemosyne di Brescia: http://www.istituto-mnemosyne.it ).
    In questi anni, si è visto che il consenso degli elettori va sempre più a movimenti-partiti unitematici: la limitazione dell’immigrazione, il sostegno finanziario ai meno abbienti…
    In questo quadro, potrebbe essere pensato un nuovo movimento che sia dia l’obiettivo di assegnare primato etico-politico alla cura-salvaguardia dei contesti d’arte dei territori storici?

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