Ma il trasformismo è sempre da demonizzare?

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Un fenomeno considerato espressione di malcostume politico, in certe circostanze può essere invece visto come una una scelta di maturazione e di responsabilità. Lo è stato in alcuni momenti della storia italiana. Chiediamoci se se non sia saggio anche oggi mettere da parte le identità costruite nel passato per cercare, senza preconcetti, le risposte migliori al cruciale momento storico che l’Italia attraversa. (Nella foto Giovanni Nicotera – L’articolo esce anche su “Il domani d’Italia”).

 

Devo ringraziare mons. Ravasi che dalle pagine del Sole 24 ore mi ha fatto conoscere la poesia di Trilussa “Er carattere”. Scritta moltissimo tempo dopo che Agostino de Pretis aveva varato il suo governo “trasformista”. Trilussa scherza, al suo solito in romanesco, su un dialogo tra un camaleonte e un rospo: “…ognuno crede a le raggioni sue, disse er camaleonte, io cambio sempre e tu nun cambi mai. Credo che se sbajamo tutt’e due”… rispose il rospo.

Ecco, dopo che in un primo tempo aveva parlato male del trasformismo, il poeta avanza con questa poesia il sospetto che se uno crede rigidamente alle proprie opinioni senza mai avere dei dubbi, può incorrere in errori allo stesso modo di chi le cambia spesso.

 

Il trasformismo

Gli studiosi possono spiegare meglio. Io, in tempo di isolamento da Covid, ho solo passato un poco di tempo spulciando articoli e leggendo qualche cosa anche su Internet. E …divagando.

Sul trasformismo sono stati pubblicati decine di libri. Ed è stato approfondito in tutti i suoi aspetti. Quasi sempre demonizzato come paradigma dei voltagabbana senza spina dorsale, dell’incoerenza e della mancanza di rispetto verso la propria identità. A volte e di recente, come populismo antipolitico e anticasta, subentrato alla crisi dei partiti politici del Novecento e della loro identità culturale naufragata sotto l’incalzare del mondialismo.

Ricordato e citato nel suo lato negativo di interessi individuali o di lobby, su cui si è soffermato con molta superficialità anche Galli Della Loggia citandolo come “luogo paludoso di centro” dove ormai confluiscono destra e sinistra, oggi scomparsi e senza più significato sociologico e culturale nell’offerta politica (sic!).

Osservato infine come segno di una volgare etica liquida e ballerina: quella del proprio tornaconto. E potrei continuare.

Succede invece che collocandolo tra i profondi cambiamenti economici, sociali e culturali che viviamo, potrebbe suggerire, a ben vedere, una più convinta etica, solida e storicamente determinata. Figlia della responsabilità e della propria consapevole coscienza del momento storico che attraversiamo, e di quello dietro l’angolo che ci aspetta al di là dei nostri pregiudizi e di quello che abbiamo pensato sino a ieri.

Comunque stiano, le semplificazioni legate a questo sostantivo non si contano. E proseguono sino ad oggi, perché per molti commentatori il nostro è un tempo di vero e proprio trasformismo, nel suo significato più deteriore e offensivo.

 

La Calabria

Ma vediamo allora meglio partendo da lontano. Dalla Calabria. Cosa c’entra la Calabria con il trasformismo?

La cultura e la storia dei calabresi ci suggeriscono per questa infelice ma nobile e antica regione una costante degna di rilievo. La costante è quella greca (e grecanica) del ritorno ad Itaca. Dell’accoglienza. Della nostalgia della propria casa. Dell’amore verso le proprie radici. Del forte attaccamento al passato e alle tradizioni. Del “familismo”, anche di quello “amorale” purtroppo. Ma anche quella del rispetto della parola data, e della coerenza dei comportamenti. Del giuramento sul proprio onore, nel bene e anche nel male, specie quando si riferisce agli “uomini d’onore”. Quella, insomma, che racconta di “donne e uomini …di parola”.

Succede tuttavia, al di là dell’antropologia, che interrogando la storia risorgimentale il primo incoerente e “voltagabbana camaleontico” italiano sia stato proprio un calabrese: tale Giovanni Nicotera. Nato a Sambiase (Catanzaro) “in una famiglia di tradizioni illuministiche”, repubblicano convinto ed esponente del partito della sinistra liberale, possedeva alcuni valori sui quali credeva molto. E forse per questo era di vista acuta e aveva il dono di guardare lontano. Massone ed ex mazziniano sin dalla Giovane Italia, progressista e anticlericale, attivo e presente assieme al suo amico Pisacane nella spedizione di Sapri per liberare i prigionieri di Ponza, e dopo, vestito da combattente, nella presa di Porta Pia e in Aspromonte accanto ai garibaldini. Insomma, col suo carattere impulsivo ne ha fatte tante, dicono gli studiosi. Fu però proprio lui che, una volta ministro dell’Interno, spinge il suo compagno di partito Agostino De Pretis a creare un governo trasversale assieme ad una modesta quota parte della destra italiana di quegli anni.

Il motivo del calabrese era scontato. Ed era un motivo centrale per le sue idee: avviare le riforme per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia, e mettere al primo posto dell’azione di governo la Questione Meridionale. Pensate un po’: eravamo nel 1876 e dopo la bellezza di 145 anni è ancora un tema prioritario nell’agenda di Mario Draghi.

 

Le mosse di Nicotera e la reazione di De Petris

Proseguiamo. Nicotera, con il preciso, solo e unico scopo di realizzare questo suo sogno, aveva iniziato a contattare diversi deputati della destra, e si stava dando da fare per trovare accordi in Parlamento al di là del suo partito, delle appartenenze, e degli schieramenti politici. Insomma, è lui che pone le basi del c.d. trasformismo che poi in quegli anni conclude a piene mani De Pretis. A Nicotera interessava solo risolvere i gravi problemi sociali e lavorativi del Sud e combattere il brigantaggio. Ed era completamente disinteressato del colore di chi aderiva a questo suo utopico progetto. Fu a quel punto che De Pretis, avendo fiutato la mossa e capito dove voleva andare a parare Nicotera, per non farsi spiazzare dal suo collega di partito, trovatosi nel paesino di Stradella per la sua campagna elettorale, dove aveva il suo collegio elettorale – un paesino distante appena 16 chilometri da Bressana Bottirone, suo paese di nascita, vicino Pavia – pronunciò ufficialmente e ad alta voce il suo famoso discorso nel quale illustrò un intero programma di riforme e concluse dicendo: “Se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista come posso io respingerlo?”.

Grazie a queste parole, rimaste a futura memoria e interpretate sempre, ma sbagliando sempre, come metafora disonorevole della classe politica, De Pretis formò successivamente il suo governo con diversi deputati disponibili della destra storica. Disponibili perché convinti del programma annunciato. E disponibili a sedersi “formalmente” dalla parte opposta da dove si erano sempre seduti in Parlamento dopo la loro elezione. Con qualche tornaconto personale, non c’è dubbio: questione secondaria, però, rispetto al serio disegno riformista proposto da De Pretis.

Per curiosità e per capire meglio il determinato momento storico e sociale di quel periodo, va ricordato che i votanti italiani di quell’anno – siamo, ripeto, nel 1876 – erano solo uomini di età superiore ai 25 anni. Tutti alfabetizzati. E tutti in grado di pagare le tasse: in totale 530 mila persone. Il 2% della popolazione italiana, che era formata da 26 milioni di cittadini. Un misero 2% di italiani aristocratici e latifondisti così composto decideva, dunque, le sorti dell’intero Paese, il Governo e il programma di governo, su cui il trasformismo aveva un impatto sicuramente scandaloso. Anche, se non soprattutto, per i concreti interessi terrieri dell’elitaria classe politica di quel periodo, disposta a ogni ‘trasformazione’.

Quali sono allora i rimproveri da muovere a Nicotera? Questo tenace, non lineare, discusso e discutibile uomo calabrese, può solo rimproverarsi di non aver insistito molto sulla (sua) “Questione Meridionale”. Perché tale è rimasta e tale la troviamo ancora ai nostri giorni. Ma il suo costante impegno, ambiguo quanto si voglia, e la sua lungimiranza sono serviti almeno a far capire che, quando si vuole risolvere una questione annosa e centrale per il futuro del Paese, gli schieramenti, i partiti, e dove si sta seduti nello spazio geometrico dell’emiciclo parlamentare sono inutili e contano poco.

 

Il trasformismo utile

Credo, allora, sia giusto interrogarci se per caso nei momenti in cui bisogna risolvere enormi e gravi problemi nazionali, si debba andare alla sostanza delle cose e non fermarsi alla storica forma-partito e alla sua storia, al suo spazio geometrico orizzontale, o agli interessi personali dei suoi deputati. Draghi potrebbe servire da lezione. Ma Michele Salvati sul Foglio del primo maggio di quest’anno guarda molto avanti e si spinge oltre interrogandosi se: “Siamo sicuri che un governo tra forze politiche ideologicamente opposte debba essere considerata come un’esperienza unica piuttosto che una nuova normalità?”.

Se siamo “tutti sulla stessa barca”, dice Bergoglio, e bisogna remare tutti insieme per uscire fuori dalla tempesta, allora, quando si cerca il bene comune e quello di tutti, si può anche andare al di là della forma, dei propri convincimenti, delle proprie ideologie e della propria storia, e “trans-formarsi”, appunto. Senza scandalizzare e scandalizzarsi perché non è incoerenza, ma solo forte e responsabile coscienza dei tempi.

 

Il ‘trasformismo’ storico dei nostri pensieri

E quando la storia cambia velocemente e la società avanza verso lidi globali sconosciuti, verso un ignoto futuro, si rimane in pochi a pensare che i partiti, la loro cultura, i loro accordi, le loro ideologie, i programmi, lo stesso elettorato di riferimento, debbano invece rimanere pietrificati e ancorati alle idee del passato. Un passato bello quanto si voglia, ma spesso inutile anche solo per farci capire i segni dei tempi che avanzano. Sarebbe solo necessario mantenere fissi alcuni valori.

Per il resto, anche Paolo di Tarso circa 2000 anni fa, in una sua accorata e profonda lettera ai Corinzi, e senza cedere nulla al relativismo ontologico, ci avvertiva che nel corso della vita siamo sottoposti a fisiologici cambiamenti cognitivi. In una prospettiva di ricerca e attesa del Divino e dopo averci raccomandato che corriamo il rischio di diventare meri e inutili “bronzi che rimbombano” se ci facciamo mancare la “carità”, ci ha ricordato l’inevitabilità dei cambiamenti che il tempo provoca nei nostri modi di pensare e di valutare le cose: “Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino”.

Nino Labate

5 Comments

  1. Eccellrnti condiderazioni. Va da se, comunque, che nel nostro Paese il traSformismo è ormai in atto da qualche decennio, da quando è oniziato il cd.’cambio di casacca’ ad ogni piè sospinto . Avvenimenyo questo che fa sempre meno impressione e , senza parlarne tanto, viene ormai accettato comebunbfatto quasi naturale anche se c’è chi fa finta di biasimare coloro che cambiano.la loro casacca. Come dici Tu, caro Nini, non possiamo che prenderne atto e sperare che la mobilità tra i seggi in Parlamento non può che favorire la crescita del nostro Sud anche se ho qualche serio dubbio che ciò possa avvenire in tempi ristretti.Chi assumerebbe utilmente il ruolo di Depretis? Grazie per avermi ricordato il fenomeno nelle sue lontanissime origini.

  2. Scritto che fa molto riflettere. Argomento interessante e ben sviluppato. Complimenti!!!

  3. Ma certo, non confondiamo il trasformismo con il cambiare mente (metànoia) ma non contribuiamo neppure a dare alla parola un’ambiguità che a mio giudizio non ha. Per me trasformismo vuole dire seguire il vento che tira per trarne vantaggio personale o di gruppo.

  4. Chiedo scusa per il ritardo.

    Mi sono accorto solo pochi giorni fa dei commenti, a cui tuttavia ci tengo a rispondere.

    Ringrazio molto Angelo Labrini che dall’alto delle sue radici meridionali e della sua qualificata professione, mi ha lusingato con i suoi complimenti. 

    Così come ringrazio Franco Pasquino che da buon professionista 
    calabrese e avendone viste di tutti i colori,  pur essendo critico sul trasformismo ormai “…accettato come fatto naturale”, si augura tuttavia in conclusione che la ” …mobilità dei seggi in Parlamento” , sia almeno orientata verso la crescita del Sud e il suo sviluppo su cui, ricordo,  Giovanni  Nicotera nel lontano 1876 ha piantato le radici del buon trasformismo.

     Al mio amico Cancedda, conoscendolo come sensibile cultore dei principi di giustizia sociale ed uguaglianza, che io condivido, vorrei solo ricordare che le “sfide sistemiche”  con cui dobbiamo ormai fare i conti , ricordate e sottolineate anche nei recenti vertici del G7 e della Nato e che evocano con altre parole uno sforzo collettivo verso una “ecologia integrale”, richiedono a mio avviso una rivisitazione dell’uso corrente di questo sostantivo. Demonizzato e indicato sempre come comportamento tipico dei voltagabbana. 
    Se secondo la nostra Costituzione, ogni parlamentare “rappresenta la Nazione” e non ha vincoli di mandato, questa libertà di idee e di movimenti quando non è diretta a tutelare interessi individuali o di gruppo,  potrebbe invece favorire la tutela di interessi generali una volta sganciata dalla rigidità di un programma di partito da prendere per oro colato e inchiodato per una intera legislatura. 

    Il trasformismo è certamente un comportamento ” ambiguo”, che rimanda tuttavia a politiche sociali ed economiche (oggi) tra di loro simili. 
    Simili cioè, tra quello che (oggi)  continuiamo a definire destra politica e sinistra politica. 
    Da cui non mi scandalizzarei per niente se (oggi) un gruppo di deputati di destra, votino una legge voluta dalla sinistra, e viceversa. 
    Purché sia una legge rivolta al bene di tutti e non al bene di pochi, e purché non dimentichi l’eguaglianza. 
    Anzi, aggiungo che questo è il trasformismo che io mi auguro.

    Il governo Draghi è solo un anticipo ancora ai suoi inizi.  
    Ma la strada, dal momento che siamo nel pieno di una “crisi sistemica”,   è segnata. 
    Ed essendo io un convinto sostenitore della utopica metafora
    bergogliana, ( che è anche metafora politica ), spero tanto che ci si accorga al più presto che stiamo navigando sulla stessa barca dalla quale ci è difficile scendere , ma sulla quale dovremmo remare il più possibile insieme,  per le tante sfide già iniziate e dietro l’angolo che ci attendono.

    No. Il trasformismo non è sempre da demonizzare. 

    Nino Labate 

  5. Confermo la mia interpretazione del termine. Che la legge da lui stesso proposta sia rivolta al bene di tutti e non al bene di pochi qualunque trasformista lo sosterrebbe, forse anche con convinzione. “Meno tasse per tutti” a destra viene interpretato in un modo, a sinistra in un altro. Sul fatto che sia la politica a indirizzare l’economia e non viceversa, destra e sinistra non sono mai state d’accordo, almeno fino a quando un sedicente socialista di nome Blair ha pensato che la Tatcher non avesse poi tutti i torti. Quanto a non dimenticare l’uguaglianza, soltanto a sinistra si direbbe con don Milani che “Non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra disuguali”. Infine, se oggi assistiamo “a politiche sociali ed economiche (oggi) tra di loro simili” è proprio perché la sinistra europea in questi ultimi anni sembra aver dimenticato e tradito se stessa.

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