Di dimensioni contenute (170 pagine), ma assai denso e non privo di ambizioni, è il libro che Lino Prenna, ordinario di Filosofia dell’educazione all’Università di Perugia, coordinatore nazionale dell’associazione Agire Politicamente (una delle quattro che hanno dato vita alla rete c3dem), ha dato alle stampe all’inizio di quest’anno, per i tipi de il Mulino. Titolo e sottotitolo indicano bene l’oggetto del libro e l’intento dell’autore: Dal cattolicesimo democratico al nuovo popolarismo. Sui sentieri di Francesco.
Scrive Prenna nell’introduzione: “L’intento è di stabilire una correlazione tra l’attitudine moderna del cattolicesimo democratico e l’antropologia teologica di papa Francesco, interprete critico ma cordiale della modernità; di rilevare la trama dottrinale sottesa al suo ministero sociale, e proporne un’iniziale declinazione politica, verificando l’ipotesi che, come per il cattolicesimo democratico, la mediazione, così, per Bergoglio, la dialettica compositiva delle opposizioni polari, costituiscono la ‘ragione ermeneutica’ congiuntiva e risolutiva delle contraddizioni che abitano la realtà e alimentano la ‘tensione politica’ del mondo”.
Questa lunga citazione chiarisce ulteriormente la prospettiva in cui si muove l’autore, e mostra anche come il suo sia un argomentare molto meditato e complesso, che cerca di scavare le fondamenta su cui costruire la sua proposta culturale, politica e religiosa insieme. In effetti il libro si compone di quindici brevi capitoli che formano l’ordito di una rigorosa analisi volta a dimostrare, da un lato, le potenzialità del cattolicesimo democratico di fronte alla sfide che la storia oggi ci pone, e, dall’altro, le affinità profonde che vi sono tra il bagaglio culturale del cattolicesimo democratico e il pensiero di papa Francesco, così come lo ha sviluppato e comunicato negli anni del suo episcopato a Buenos Aires e poi da papa (il libro di Prenna è stato scritto prima dell’ultima enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti, ma in realtà quest’ultima non fa che raccogliere le molte istanze da lui espresse negli anni precedenti). E da queste affinità, dal contributo di Bergoglio ad una rinnovata interpretazione della nozione di “popolo”, Prenna trae spunto per ipotizzare che si stia configurando l’opportunità di un recupero, in termini nuovi, del popolarismo, come proposta culturale e politica in grado di rispondere alle esigenze del nostro tempo, in grado di indicare una direzione di marcia per il futuro.
Per argomentare questo suo convincimento Prenna ricostruisce alcuni dei termini essenziali della riflessione di quelli che considera i maestri del cattolicesimo democratico: da Rosmini a Sturzo, da Maritain a Guardini, da Lazzati a Scoppola, a Paolo VI (ma anche Giorgio Campanini, Alberto Monticone e Pierluigi Castagnetti che del libro di Prenna ha scritto un’interessante prefazione su cui torneremo); e con riferimenti anche a Mounier (“la nostra lettura della crisi odierna” – quella del prevalere di un umanesimo individualista, di un liberalismo che non conosce il concetto di persona – “è quella di Mounier e vorremmo che la sua” – l’umanesimo personalista – “ fosse anche la nostra risposta-proposta”); e, sul piano teologico, alla teologia politica di Metz, alla teologia della speranza di Moltmann, alla “fedeltà al mondo” di Bonhoeffer.
Il cattolicesimo democratico non è affatto morto, dice in sostanza Prenna. Del resto, come annota nel libro, Pietro Scoppola sosteneva che “nel cimitero delle ideologie non c’è la tomba del cattolicesimo democratico”, e Alberto Monticone, ancora nell’anno 2000, ebbe a dire che “la vera tradizione del cattolicesimo democratico è il suo futuro, non il suo passato”. Non è morto; e, di fronte alla democrazia incompiuta (e in crisi), c’è oggi bisogno, secondo lui, della cultura politica del cattolicesimo democratico in due direzioni: sul piano delle istituzioni, per ravvivare i corpi intermedi e i legami tra società civile e società politica, e sul piano sociale per contribuire a rendere effettivo per tutti l’accesso ai beni della vita.
Ricchezza del cattolicesimo democratico è la sua cultura della mediazione e, insieme, la sua laicità costitutiva (valori che in Lazzati trovano davvero un maestro). “L’identità cristiana – scrive Prenna -,proprio perché configurata a Cristo, mediatore per eccellenza, consiste nell’essere e nell’agire come mediazione”. Mediare vuol dire coniugare, tenere insieme due realtà per sé diverse; e la politica è proprio il luogo della mediazione paziente e della traduzione, sempre parziale e relativa, dei valori in beni concreti e fruibili. Mediare è declinare l’assoluto dei valori nel relativo della politica (dunque rifiutando la logica dei “principi non negoziabili”), alla ricerca del bene possibile, che, seppure parziale, se però orientato al bene assoluto, all’intero bene, è comunque un “vero bene umano” – sottolinea Prenna, citando il suo autore preferito, Rosmini.
Con riferimenti anche a Max Weber (alla distinzione tra etica della convinzione e etica della responsabilità; principi e comportamenti distinti ma non alternativi, bensì complementari) e di nuovo a Rosmini, alla sua critica del perfettismo (“è un effetto dell’ignoranza” sosteneva il prete roveretano), Prenna conclude che la mediazione responsabile “ è principio di distinzione e non di separazione, criterio di risoluzione dei conflitti, metodo di composizione delle diversità e strumento di confluenza degli interessi particolari nell’interesse generale che, nel vocabolario del cattolicesimo democratico, prende l’impegnativo nome di bene comune”. E di questa cultura della mediazione c’è un grande bisogno in questo nostro tempo fortemente tentato di rivendicazioni identitarie ed esposto al conflitto tra culture diverse.
Ora, secondo Prenna, papa Bergoglio ha molto in comune con questa cultura rosminiana, lazzatiana, montiniana. In una nota ad un’affermazione di Lazzati sulla difficoltà dei politici cattolici di intendere appieno, e vivere, il senso autentico del “distinguere per unire”, Prenna scrive che “Lazzati, oltre a Maritain, attinge al pensiero di Guardini “, autore del quale papa Francesco ha rilevato il principio ermeneutico della pluralità nell’unità e della dialettica delle tensioni polari, con il quale egli imposta tutt’oggi la sua concezione della politica. Dunque, osserva Prenna, autori come Lazzati, Maritain, Guardini e Bergoglio li “possiamo accomunare per la loro concezione del pluralismo e della laicità cristiana”. E per la loro cultura della mediazione. In un testo del Bergoglio argentino sulla politica, sulla necessità di “riabilitare la politica”, leggiamo che “il politico è fondamentalmente un mediatore che ascolta la voce del suo popolo, scorge le vie praticabili e sa mediare, avanzando in vista del bene”. E sui “principi non negoziabili” Bergoglio dice che i principi “certo bisogna averli, ma l’importante è renderli praticabili”.
Come sappiamo, per Bergoglio è centrale la nozione di “popolo”. E’ stato accusato di populismo, quando era in Argentina, e anche oggi da papa. Prenna scandaglia i testi di Bergoglio, da quelli della sua stagione di vescovo a quelli, recenti, del suo pontificato, e arriva alla stessa conclusione cui arriva Pierluigi Castagnetti nella sua acuta introduzione, là dove dice che papa Francesco ha voluto chiarire gli equivoci su questo tema controverso, “applicandosi per apprendere il valore polisemico della parola ‘populismo’”, e arrivando a fare definitiva chiarezza nell’enciclica Fratelli tutti, in cui è netto il suo giudizio negativo sul populismo (e in questo, a detta di Castagnetti, lo avrebbe aiutato padre Bartolomeo Sorge, che gli era amico). Al di là della questione semantica, Prenna rileva nelle riflessioni di Bergoglio sulla centralità del popolo, e nella sua “teologia del popolo” (che deriva dalla teologia della liberazione – dice Prenna -. ma che “all’analisi strutturale delle ingiustizie sostituisce l’analisi culturale”), un motivo di grande interesse, al quale dobbiamo avvicinarci con attenzione. Popolo, per Bergoglio, “è molto più che un concetto”, “è una chiamata, una con-vocazione a uscire dalla chiusura individualistica, dall’interesse personale e delimitato, dal proprio laghetto privato, per tuffarsi nell’ampio flusso di un fiume che avanza e avanza riunendo in sé la vita e la storia del vasto territorio che attraversa e feconda”. C’è dunque il vincolo di uno spazio condiviso, un territorio; ma c’è anche la dimensione del tempo “che si fa storia e passaggio di generazione”. Popolo, per Bergoglio, è il “farsi di un processo”, una realtà storica – chiosa Prenna – che si custodisce e si trasmette; si rinnova nella memoria di essere popolo. Ciascun popolo, dirà poi Bergoglio nella Evangelii gaudium, ha una sua cultura, da intendersi come stile di vita, come insieme di relazioni con gli altri e con la realtà. E la stessa fede si incarna nelle pluralità delle culture dei popoli. Ogni popolo, dunque, ha il suo modo di vivere la fede, di incarnarla nella sua cultura: è quello che Bergoglio intende per cristianesimo popolare.
E qui veniamo al popolarismo. Nel penultimo capitolo del suo libro (“Un nuovo popolarismo: per costruire il popolo”) Prenna cita un’intervista del 2019 (a Domenico Agasso jr su La Stampa del 9 agosto) in cui papa Francesco racconta che fin dai suoi primi anni di studio egli aveva riflettuto sulla nozione di popolarismo (e non di populismo, del quale solo più tardi aveva messo a fuoco il significato, e lo aveva poi criticato come evidenzierà con nettezza nella Fratelli tutti). Nell’intervista Francesco definisce il popolarismo come “la cultura del popolo”. Osserva allora Prenna che, come la “teologia del popolo” per Bergoglio è “la comprensione del cristianesimo popolare”, così, per lui, il popolarismo ne è la comprensione politica. Dunque, la conclusione alla quale Prenna è giunto, attraverso l’indagine condotta nel suo libro, è che oggi il cattolicesimo democratico ha di fronte a sé l’opportunità di un progetto che è tutto nelle sue corde: quello di un popolarismo inteso come “sistema politico di costruzione del popolo e di governo della città”, cioè dei luoghi di vita comune del popolo. Costruzione del popolo che per Bergoglio significa un processo teso ad arrivare a ad un’armonia pluriforme, cioè ad una composizione delle differenze e delle tensioni che attraversano un popolo.
Sono noti i principi cui Bergoglio si ispira per comporre le tensioni che sono proprie di ogni realtà sociale (il tempo superiore allo spazio, l’unità superiore al conflitto, la realtà all’idea, il tutto alla parte). Per Bergoglio – e Prenna concorda – la politica va intesa come lo strumento (etico) che fa maturare percorsi di inclusione in vista di realizzare il bene possibile. Le tensioni sono risolte non già in una sintesi quanto in un divenire in cui le virtualità degli elementi in opposizione tra loro restano attive ma partecipano ad un percorso inclusivo e armonico. La realtà ha un volto plurale e l’unità è possibile a condizione di far vivere il pluralismo (unità come “finalizzazione unitaria del molteplice”). Per Bergoglio, e anche qui Prenna concorda, si tratta della stessa relazione che vi è tra l’essere cattolico e l’agire politico: si tratta di un’identità in tensione, di una bipolarità, di una doppia appartenenza (il cielo e la terra) che si fa reciprocità.
Dall’approfondimento delle categorie culturali care a papa Francesco il cattolicesimo democratico, dice Prenna, apprende, innanzi tutto, una lezione di metodo, quella di stabilire un dialogo con la modernità che è “critico ma cordiale, interno ma correttivo”. Le correzioni sono di fondo, come è chiaro da quanto scritto in particolare nella Laudato si’ (e di recente nella Fratelli tutti). E Prenna queste correzioni le richiama.
Ma chiudo questa già lunga presentazione tornando al tema del popolo, del populismo e del popolarismo e alla interessante prefazione di Pierluigi Castagnetti.
Castagnetti riconosce che tanto nel populismo sudamericano (e nei Movimenti popolari cui spesso Bergoglio si richiama) quanto nel popolarismo sturziano c’è l’esaltazione della matrice popolare e si afferma una certa centralità del popolo (e persino una sua sovranità originaria); ma il popolarismo di don Sturzo è stato ben attento a non fare del popolo un mito. (“Mito”, un termine che papa Francesco talvolta usa riferendosi al popolo, quando dice che non è una concetto appartenente alla logica). Per Sturzo il popolo non era una fonte assoluta di autorità e di sovranità, e neppure rappresentava una persona collettiva. Sturzo, anzi, temeva che il popolo potesse essere utilizzato come giustificazione per il governo o come pretesto per l’esercizio del potere. La nozione di popolo per lui non si identifica con quella di Stato. Il popolo, piuttosto, influisce sulla vita politica e istituzionale in vari modi: in quanto popolo elettore, in quanto si articola nei partiti politici, in quanto si esprime come opinione pubblica, in quanto forma classi dirigenti, etc. Castagnetti sembra voler dire che, sebbene papa Francesco abbia chiarito, con la Fratelli tutti, la sua idea di popolo come un’idea che è centrale ma non assoluta (un’idea “latinoamericana ed europea insieme”, la chiama Castagnetti), resta però da approfondire il discorso, nel senso della necessità di marcare ancor più la differenza tra popolo e populismo, tra popolarismo e populismo.
Venendo alla valorizzazione che Prenna ha fatto del popolarismo nel suo libro, Castagnetti, che la ritiene del tutto convincente, si sofferma però a chiedersi perché quella tradizione politica sembri oggi non interessare il dibattito politico. Risposte esaustive, dice, non ci sono, ma tra le ragioni di questa caduta di interesse ne individua alcune: la crisi del cristianesimo come fede e come cultura, il fatto che i partiti non siano più strumenti di organizzazione della partecipazione e della rappresentanza, la rivoluzione digitale che induce a forme di partecipazione sin qui tutt’altro che democratiche, l’avversione che si è fatta tenace dei cittadini verso le espressioni politiche tradizionali. D’altra parte, però, Castagnetti rileva che c’è una crescente insofferenza verso l’aridità della politica come oggi essa si presenta. E che dunque è forse negli spazi di questa disillusione che si può scorgere un possibile ricominciamento per i cattolici democratici.
Castagnetti suggerisce, per prima cosa, un impegno sistematico di formazione rivolto soprattutto alle nuove generazioni. Ma anche un impegno di studio per i cattolici democratici stessi che individui come riattualizzare i temi propri del cattolicesimo democratico – che, dice, sono oggi di fatto centrali – e che guardi al patrimonio magisteriale di papa Francesco per trasformarlo in progetto politico. Francesco. scrive Castagnetti, aiuta la politica e i politici a vedere ciò che da soli non riescono a vedere: “è come se togliesse loro le cataratte dagli occhi per vedere i problemi nuovi cui dare la risposta”; e indica alcuni di questi problemi: la categoria sociale dello “scarto”; il tema dell’ecologia integrale; il tema della fratellanza e degli ostacoli culturali ed etici che ne impediscono il vissuto.
Castagnetti non insiste molto sulla dizione di “nuovo popolarismo”. Non si tratta tanto di un passaggio dai cattolici democratici al nuovo popolarismo (come dice il titolo del libro con qualche enfasi). Si tratta, per i popolari o neopopolari o cattolici democratici, di “riscoprire il senso storico della loro missione, pur non disponendo più di un loro partito identitario”; missione che consiste nel “rendere rilevante la loro cultura democratica”.
Come per Lino Prenna, anche per Castagnetti “prendersi cura del creato e dell’uomo” è la nuova modalità di dire popolarismo. “Farlo insieme agli altri è meglio”, conclude Castagnetti; in ogni caso, “i credenti non possono rinunciarvi”.
Giampiero Forcesi