E’ un vero peccato e una grande perdita per la coscienza collettiva del paese che la rigida separazione tra ideologie contrapposte abbia a lungo impedito di apprezzare adeguatamente l’apporto culturale di persone appartenenti a file avverse.
Molte prevenzioni sembrano oggi cadute congiuntamente al parallelo venir meno delle ideologie.
In questo spirito vorrei richiamare l’attenzione sull’esperienza di Osvaldo Gnocchi Viani, socialista umanitario vissuto a Milano nella seconda metà dell’ottocento e nei primi anni del novecento, il cui rilevante contributo di pensiero merita di essere conosciuto e valorizzato ancora oggi.
Gnocchi Viani (Viani è il cognome della madre che Gnocchi, femminista ante-litteram, aveva aggiunto a quello del padre) non è certo una figura di secondo piano: è stato il fondatore della Camera del Lavoro di Milano, della Società Umanitaria, delle Università Popolari e del Partito Operaio Italiano (predecessore del Partito Socialista).
Aveva una visione molto ampia del socialismo, che considerava rivolto all’intera umanità; era in questo un socialista integrale (integralista, nel linguaggio del tempo): lo era innanzitutto sul piano delle diverse correnti, che lui chiamava scuole, e che, a suo parere, potevano tutte concorrere democraticamente alla comune battaglia (era però critico della corrente “autoritaria” – quella marxista – perché temeva la centralizzazione e analogamente, dopo aver visitato la Germania, diffidava del socialismo tedesco, rigido e gerarchico, mentre le sue preferenze andavano a un socialismo articolato e decentrato).
Era poi socialista integrale perché pensava che il socialismo riguardasse ogni aspetto della vita umana (filosofia, religione, diritto, economia, arte, politica) e per realizzare tale progetto riteneva che non fosse sufficiente la classe lavoratrice; un obiettivo così grande richiedeva il concorso di una pluralità di forze.
Comprendeva l’importanza del fattore economico, ma era reticente ad attribuirgli un ruolo preminente e considerava un pericoloso errore motivare l’iniziativa delle masse con la leva degli interessi materiali.
Per lui la questione operaia era solo una parte della più ampia questione sociale: le classi lavoratici non sono tutto il consorzio umano e non solo i lavoratori sono “irredenti”.
Il fine ultimo era quello, enunciato dall’Internazionale, della realizzazione di un’unica Grande Famiglia Umana, una visione ottimistica di affratellamento e di cooperazione, che confliggeva con la tesi darwiniana della lotta permanente fra gli uomini per la loro sopravvivenza.
Per perseguire questo scopo era importante partire dal basso, trasformando la coscienza dei lavoratori e dei cittadini.
Non si trattava solo di elevare il livello di istruzione, ma di dotare i lavoratori di una capacità critica, per essere in grado di comprendere il funzionamento della società, resistere all’ambiente intellettuale dominante e non essere subalterni ai capi politici, compresi quelli socialisti.
Occorreva contrastare un ambiente sociale che condiziona le persone e che forma la “sedicente opinione pubblica”, vero ostacolo al rinnovamento sociale.
Per essere un soggetto attivo la classe lavoratrice aveva bisogno di una cultura alternativa e anche di una morale che non fosse quella individualistica imperante.
La borghesia si era affermata perché era riuscita a imporre la propria cultura; per cambiare la società era necessario affermare una moralità diversa, perché solo un’umanità migliore avrebbe potuto realizzare una società migliore.
Così Gnocchi Viani non teme di sostenere che è necessario un rinnovamento interiore (pensiero tanto caro ai cattolici) e dimostrare una coerenza di vita: gratuità, disinteresse, sobrietà, sacrificio.
E’ decisamente contrario alla scuola autoritaria perché, con una visione lungimirante del futuro, riteneva che la dittatura di una classe tendeva sempre a risolversi nella dittatura di pochi, se non di uno solo.
Ma era anche critico della visione, propria dei parlamentari socialisti, della conquista del potere, perché essa limita l’orizzonte ideale e politico a ciò che si riesce a ottenere in sede parlamentare, facendo venir meno la forza insostituibile del movimento, cioè l’iniziativa e la volontà di riscatto dei lavoratori.
La sua concezione dei partiti politici (partito socialista compreso) è del tutto concorde con le critiche odierne: formano una casta (usa proprio questo termine), sono separati dalla base, limitano l’intera azione politica alle sole manovre parlamentari.
I partiti hanno una logica gerarchica, perché il governo è sempre governo di pochi.
Il partito politico soprattutto è lontano dalla questione sociale, non è in grado di gestirla, mentre la questione sociale è il fondamento della politica della classe lavoratrice.
Per questo Gnocchi Viani oppone al partito politico, il partito sociale, che ha alla sua base il principio associativo, il quale è orizzontale, solidaristico, cooperativo, federativo.
Il partito sociale è quello che ha il popolo come fine e dunque è per il potere diffuso e opera nella vita “pubblica”, non in quella “politica”, che è propria dei partiti politici e del loro modo di agire verticistico.
E ancora: i partiti politici pensano alla demolizione della vecchia società, sostenendo i principi liberali e individualisti propri dell’illuminismo, mentre i partiti sociali si dedicano a un’opera innovativa, la costruzione della società di domani.
E poiché l’alienazione economica e quella politica e culturale dei lavoratori vanno tutte assieme, altrettanto devono andare assieme la liberazione economica, l’autogoverno e l’arricchimento delle idee proprie.
La sua visione ideale rifuggiva pertanto dalle visioni governative e stataliste (considerava lo Stato “una bottiglia di vino cattivo”) per preferire, in alternativa, un sistema federativo di Amministrazioni comunali, nelle quali sarebbe stata possibile una partecipazione attiva dei cittadini.
Sarebbero molte le considerazioni che si potrebbero fare sulla nostra realtà attuale, stimolati dalle idee di Gnocchi Viani. In questa sede mi limito a due.
Innanzitutto, mi sembra che siamo troppo succubi di come funziona il sistema attuale: globalizzazione, comunicazioni di massa, multinazionali, Google, Amazon, ecc…; diamo tutto per scontato e rischiamo così di perdere la grande tradizione delle nostre municipalità.
Se è giusto accogliere e affrontare la dimensione mondiale come componente ormai normale della nostra vita, questo non deve avvenire negando e distruggendo la realtà umana, civile e culturale delle nostre città e dei nostri territori.
In secondo luogo, mi sembra che ci sia troppa arrendevolezza sul piano culturale e dei valori, quasi ormai rassegnati, per la sproporzione di forze, ad accettare di tutto.
Forse Gnocchi Viani era troppo idealista e viveva in una società più semplice.
Ma non è ora di riprendere una battaglia culturale più critica rispetto a tante tendenze che si diffondono?
Quando in Francia, all’inizio dell’ottocento, Pierre Leroux coniava la parola “socialista” non aveva in mente un partito, ma semplicemente un termine che era il contrario di “individualista”.
Si trattava di due parole equivalenti: l’individualista è colui che guarda all’interesse proprio, il socialista colui che guarda all’interesse comune, collettivo.
Non si potrebbe ritornare oggi all’uso originale e vedere di formare più “socialisti” e meno “individualisti”?
Sandro Antoniazzi
luglio 2021
23 Luglio 2021 at 21:08
Caro Sandro, vedo che sei proprio alla ricerca di smuovere in qualche modo la situazione attuale e le nostre idee, abitudini e pratiche “di sinistra” per innovare il discorso, un po’ guardando a esperienze passate un po’ a sperimentazioni nuove… Una ricerca ammirevole.
Io, su due punti essenziali – una cultura/morale alternativa e il rigetto dei partiti in nome di una forza sociale che aggreghi dal basso – ho dei dubbi, che non so sciogliere. Quando ero giovane sono stato presidente di un’associazione di quartiere chiamata “Centro di cultura proletaria”, ma col tempo (non lungo) mi sono convinto che di cultura ce n’è una; non nel senso del pensiero unico ma nel senso di un processo di umanizzazione e di civilizzazione in cui entrano in gioco diverse esperienze, tradizioni, scuole di pensiero ma senza contrapposizioni nette; e in particolare dubito che vi sia, o sia perseguibile, una cultura popolare antagonista a quella cosiddetta borghese; penso sia un mito (come Bergoglio poi dice della sua nozione di popolo…). Quanto alla critica dei partiti – certo legittima e comprensibile – a mio avviso si scontra con il rischio, assai forte, di portare, in un modo o nell’altro, ai paradossi dolorosi cui hanno portato le rivoluzioni sociali che conosciamo, cioè a un’inevitabile autoritarismo, alla soppressioni di molte libertà individuali e al conformismo.
Sono però molto d’accordo sul lavoro sul territorio, nelle comunità locali e nelle amministrazioni locali, per far crescere cittadinanza, solidarietà, bene comune, pur senza contrapposizioni radicali alla presenza, dove c’è, dei partiti politici.
23 Luglio 2021 at 21:25
Caro Giampiero, mi inviti a nozze affrontando questi problemi e mi dispiace solo di non poterne discutere in presenza, come sarebbe necessario.
I discorsi di Gnocchi Viani sono di 150 anni fa e pertanto vanno ricollocati nel presente, con le debite traduzioni ambientali e storiche. Non devi prenderli in modo positivistico, ma come delle immagini, dei miti direbbe papa Francesco, che illuminano il presente.
Mi sembra che i problemi che poni siano due.
Il partito “sociale”, locale. Qui per partito sociale, Gnocchi Viani non intendeva il partito come lo vediamo noi oggi: ad esempio il Partito Operaio Italiano era sostanzialmente un insieme di associazioni di diverso genere, era l’espressione della realtà sociale organizzata. Il mio pensiero attuale è questo: a livello locale si può dar vita a un’esperienza sociale e democratica più ricca e più vicina a un’effettiva partecipazione della gente (lavoratori e cittadini). I partiti nazionali si rivolgono all’opinione pubblica e esprimono poco un pensiero: gestiscono l’esistente. Delle forti comunità locali, preparate e democratiche, potrebbero costituire una base diversa anche per la politica nazionale (a differenza dei partiti locali di oggi che non contano niente: non sono più luogo di formazione di quadri, non sono luoghi di elaborazione, ecc..). Dunque il partito sociale va bene, poi rimane il livello politico generale, nazionale e internazionale. Qui mi sembra che oggi riusciamo a fare poco, perché mi sembra che manchino le condizioni per poter contare. Ho appena scritto sui problemi mondiali; se il sindacato a quel livello non conta niente, pensiamo di cambiare i rapporti economici? Quindi il dibattito che si fa oggi sulla politica è fatta da persone che dicono la loro opinione e la cosa finisce lì. Ci vogliono altre condizioni e altre battaglie. In questo tanti del nostro mondo mi sembra che siano legati a battaglie di un tempo, che oggi hanno pochissimo senso. Sento molto affetto per loro, ma sono fermi: se parlo con una mia amica femminista o con mia figlia che lavora a Londra, sono avanti anni luce, rispetto a loro. Dunque “partito sociale”(che non è un partito) locale, per cambiare domani anche la politica nazionale.
La cultura. Io non credo alla cultura alternativa e tanto meno alla cultura antagonista (contro il termine antagonista conduco una battaglia da sempre, per spiegare alla sinistra che non abbiamo una società diversa da proporre e dunque quel termine non ha senso. In questo Gnocchi Viani è chiarissimo perché considera fra gli “irredenti” anche i padroni). Il problema è un altro e ben diverso, oggi: il problema è che la cultura ce l’ha solo un gruppo molto limitato di intellettuali. I lavoratori oggi sono totalmente sprovvisti di cultura, perché ieri gli organismi di massa (partiti e sindacati) erano i canali di trasmissione della cultura; oggi non lo sono più. Abbiamo così degli intellettuali senza più rapporti con il popolo e un popolo senza più cultura.
Dunque propongo con Gnocchi Viani dei lavoratori con cultura e una cultura che cresca a contatto col popolo. Discorso molto difficile, ma se i sindacati si limitano a fare pratiche individuali e le parrocchie non si preoccupano di elevare il livello di coscienza dei cristiani, continueremo ad avere una democrazia puramente procedurale.
IL metodo che cerco di proporre a Demos Milano è semplice: tenere insieme tre dimensioni essenziali, sociale-culturale-politica, e bisogna che le tre cose crescano assieme. Partiamo da esperienze tra la gente e con la gente, riflettiamo su questo ed elaboriamo, esprimiamo in politica (locale) il frutto di questo lavoro. Quando incontriamo problemi “nazionali” se siamo in grado di dire qualcosa sulla base dell’esperienza lo diciamo (ad esempio, abbiamo un’ottima proposta sul tema della partecipazione dei lavoratori), se non siamo in grado preferiamo tacere, oppure facciamo dichiarazioni doverose da “opinione pubblica” (ma cerchiamo di evitarle il più possibile). Guarda comunque che sulla cultura Gnocchi Viani, che aveva i piedi per terra, dice cose giustissime: sull’individualismo (con cui ho chiuso il mio articolo), sulla cultura dominante, sul dominio dell’opinione pubblica.
Non si può fare politica se non c’è una cultura diversa nella gente con cui vuoi fare politica. Non si tratta di una cultura alternativa, penso piuttosto che sia necessaria una cultura radicale ( qui i nostri radicali non c’entrano), sull’esempio di Dorothy Day e di Peter Maurin. Questo per me è un lavoro essenziale, che in pratica vuol dire riportare i nostri intellettuali fra la gente, iniziare a fare cultura sociale e politica nelle parrocchie, ecc.. Cose molto concrete come vedi.
Non so se ho risposto ai tuoi interrogativi, spero almeno in parte. Se avremo occasione di incontrarci coi c3dem, riprenderemo il discorso.
Intanto ti saluto e vedi di stare bene perché abbiamo davanti tante battaglie da fare e le nostre forze, per quello che sono, sono ancora utili.
1 Agosto 2021 at 22:52
Carissimo Sandro, condivido il tuo pensiero politico e culturale. In questa tua analisi mi ci ritrovo perchè ho vissuto l’esperienza sindacale, politica e di impegno sociale dagli anni 50 con tutte le trasformazioni che sono seguite. Quando iniziai a militare nel sindacato si faceva formazione politica, cultura e si condividevano esperienze con lavoratori provenienti da altre industrie. Ricordo gli incontri della Cisl al Courmayeur, poi nel trentino. Erano giorni pieni, ci si alzava presto al mattino e ci si divideva in gruppi per studiare, approfondire e discutere di vari temi. Pippo Morelli era sempre presente a questi incontri. Tanti anni fa facevamo cultura e formazione politica leggendo la rivista dei gesuiti “Esperienze sociali”, il “quotidiano dei lavoratori”. Abbiamo fondato nella bassa reggiana la Lega di Cultura Proletaria che, attraverso il teatro, il cinema, la musica, coinvolgeva e aggregava molti lavoratori. Voglio ricordare la bellissima esperienza fatta con l’MPL e la speranza di una forza politica nuova che dava fastidio ai conservatori. Ora le organizzazioni sindacali hanno smesso di fare cultura e hanno lasciato alla mercè dei social i lavoratori, le parrocchie sono sempre più deserte e se qualcuno tenta di portare avanti un messaggio sociale e politico non conforme alla comune opinione viene messo in un angolo. non vedo grandi prospettive per un futuro migliore quando vedo lavoratori che votano Lega, che non riescono a capire il presente. Le tematiche ambientali sono ancora troppo poco sentite a mio avviso e i sindacati hanno una grande responsabilità anche su questo. Ti saluto con stima. Giancarlo