di Danilo Amadei
Con questo intervento vogliamo aprire sul portale C3Dem un confronto sulle possibilità di pace in un conflitto armato che sembra non arrestarsi.
Danilo Amadei, è Presidente della Casa della Pace di Parma. E’ stato uno dei primi obiettori di coscienza al servizio militare in Italia; ha insegnato per quarant’anni, collaborando per diciotto con Danilo Dolci in molte scuole e realtà educative. Ha scritto sulla rivista “CEM Mondialità”, con cui ha coordinato corsi di formazione e aggiornamento.
Premetto che non sono un esperto di geopolitica, né tanto meno di strategie militari. Sono un apprendista artigiano della pace cresciuto nella bottega della “Pacem in terris” di Papa Giovanni XXIII, che compie quest’anno 60 anni.
Immersi nell’angoscia quotidiana delle uccisioni, delle distruzioni, delle fughe di milioni di persone, delle minacce di incremento della guerra ci domandiamo: per quale finalità? La Russia di Putin ha già dichiarato e dimostra quotidianamente orrendamente cosa vuole, ma noi, che siamo con l’Ucraina?
Andare avanti fino alla sconfitta della Russia, costi quel che costi, anche con la possibilità della distruzione di centrali nucleari, fino al conflitto con armi nucleari?
E’ sicuro che l’escalation nella fornitura di aiuti militari non comporti l’intervento diretto, dopo l’invio delle armi e dei consiglieri militari, dei paesi della Nato, con una guerra dichiarata tra potenze nucleari?
Fino a dove siamo disposti a rischiare al limitare del conflitto nucleare?
Quante distruzioni e morti, che coinvolgeranno anche le generazioni future (pensiamo solo a quanto avvenuto nella ex Jugoslavia trent’anni fa con i proiettili ad uranio arricchito che hanno conseguenze ancora oggi) è considerato “troppo” per continuare la guerra?
Quello che è certo è che questa è una guerra globale, non solo per le armi usate e la loro provenienza, ma per gli effetti che ha su gran parte del mondo (per energia, alimenti, fertilizzanti e altri beni), comprese nuove migrazioni.
Inoltre nel mondo globalizzato le reti informatiche, le interconnessioni, le nuove armi “intelligenti” e le nuove conoscenze sono protagoniste della guerra. Anche se questa guerra la si presenta come “antiglobale”, novecentesca, ancora ferma alla rivendicazione dei confini della Nazione.
Per uscire dalla guerra è indispensabile allora che la risposta sia globale e coinvolga, oltre naturalmente a chi è in guerra, gli Stati che guidano l’attuale globalizzazione, a partire da Usa, Cina e Unione europea. E ridando il ruolo che gli spetta all’Onu, da rilegittimare e sostenere nei compiti che la Carta le assegna.
Per fare finire la guerra occorre cercare la pace non la vittoria.
È indispensabile promuovere un dialogo tra le parti, impedire che l’odio non consenta di pensare ad un futuro tra popoli che devono tornare alla possibilità della cooperazione. Come peraltro stanno mostrando le decine di migliaia di persone che rifiutando la guerra, anche obiettando, sono incarcerate o sono dovute fuggire in altri Paesi, sia in Ucraina, sia in Russia, invitando alla pace e a nuove relazioni tra i due popoli (forse sta anche nascendo un nuovo Manifesto di Ventotene allargato a tutto l’est Europa tra questi detenuti e esiliati?).
Occorre cercare il dialogo e l’accordo.
Intanto smettendo di combattere e ascoltarsi con l’aiuto della mediazione degli Stati di cui si ha fiducia, con l’Onu.
Tornando a garantire che l’Ucraina potrà entrare nell’Unione europea, ma mai nella Nato.
Garantendo l’autonomia delle regioni contestate, anche tornando agli aspetti positivi del Trattato di Minsk ignorato per troppi anni, con la presenza di forze di pace internazionali, con il tempo, anche lungo, eventualmente prevedendo nuovi referendum sotto la supervisione dell’Onu.
Garantire i diritti delle popolazioni residenti di nazionalità diverse con concordati e verificati accordi da parte di organismi internazionali, anche sull’utilizzo delle risorse minerarie, e non solo, presenti.
Dare maggiori garanzie dei diritti agli ucraini residenti in Crimea, che potrebbe rimanere alla Russia per un tempo da determinare, prevedendo accordi di collaborazione con l’Ucraina per le risorse presenti e le rotte commerciali.
A fronte dell’attuazione degli accordi, progressiva riduzione delle sanzioni alla Russia e fondo internazionale per la ricostruzione delle regioni distrutte dalla guerra, con garanzie di controlli internazionali per evitare che, come già troppo spesso avvenuto nelle storia, i soldi siano utilizzati da varie mafie e per traffici corrotti.
Nell’angoscia di questi tempi non si possono dimenticare due aspetti che ci riguardano da vicino.
Questa guerra è combattuta anche con motivazioni “ideologiche” che si richiamano al cristianesimo. La voce di Papa Francesco, nel solco di chi l’ha preceduto, anche tra i tanti testimoni della nonviolenza evangelica, deve fare parte di questo cammino di pace e deve impegnarci incessantemente per rievangelizzare le chiese cristiane (cattolica compresa).
Questa guerra in Europa deve aiutarci ad aprire gli occhi anche sulle tante guerre che ci sono sulla nostra unica terra. Sto scrivendo durante il viaggio di Papa Francesco in Congo, dove una guerra trentennale ha già procurato oltre dieci milioni morti, milioni di rifugiati e violenze e una miseria costante. In terre dimenticate ma le cui ricchissime risorse fanno funzionare i nostri cellulari e i nostri computer.
Anche la straordinaria accoglienza ai profughi ucraini è stata giustamente e generosamente sostenuta dal nostro Paese e da quelli europei riducendo però le garanzie per altri profughi provenienti da altre zone poverissime, compreso l’Afganistan (uscito dalle nostre cronache dopo le poche settimane di commozione dell’estate scorsa).
È vitale tornare a preparare e costruire nuove istituzioni di pace, ad ogni livello, politico, economico, sociale e spirituale.
E fermare la corsa al riarmo per trasferire una percentuale dei suoi costi a investimenti per la prevenzione dei conflitti e per ridare forza ad una nuova diplomazia incardinata nell’ Onu (ora, ogni anno, siamo ad un rapporto di 96 per le armi e 4 per la diplomazia e le istituzioni per la prevenzione dei conflitti e gli interventi di pace).
È urgente una politica che ritorni alla nostra Costituzione e ai Diritti umani con Istituzioni e regole condivise e risorse adeguate per dare un futuro di pace e giustizia all’umanità, degno per tutti i popoli dell’unica nostra Terra.
10 Febbraio 2023 at 19:43
Io non ho un’idea di come uscire dalla guerra in Ucraina, e l’iniziativa di proporre un confronto sulla possibilità di pace mi sembra buona. Se intendiamo “pace” in senso proprio l’obiettivo mi sembra lontanissimo. Ma ovviamente la cessazione del conflitto armato sarebbe già un risultato importantissimo. La Corea del Nord e del Sud non hanno fatto la pace dagli anni ’40, , ma perlomeno il conflitto non è continuato. L’unica prospettiva che mi sembra possa portare alla cessazione del conflitto è che Stati Uniti e Cina si convincano che questo conflitto non giova ai loro interessi commerciali e quindi facciano negozino un accordo “imponendolo” alle due parti.
Per quanto riguarda altre possibili iniziative io apprezzo le aspirazioni di Amadei, ma devo confessare che non riesco a comprendere il suo modo di ragionare; e meno ancora capisco come le sue proposte possano essere attuate e quindi ottenere risultati concreti; per spiegarmi devo prendere in esame diverse sue affermazioni e non potrò quindi essere breve.
1. “La Russia di Putin ha già dichiarato e dimostra quotidianamente orrendamente cosa vuole, ma noi, che siamo con l’Ucraina?” Riconosce quindi cha Russia vuole negoziare – come ha esplicitamente dichiarato – solo a condizione di ottenere i suoi obiettivi: “denazificazione” dell’Ucraina, mantenimento dei territori annessi etc. Ma noi che siamo con l’Ucraina? Con l’Ucraina ci sono gli USA, UK, Europa, etc. A parte il fatto che l’Italia non può incidere sulle decisioni degli altri, tutti i partiti politici in Parlamento hanno votato inizialmente l’appoggio militare all’Ucraina. Ora alcuni lo mettono in discussione: ma è chiaro che cessando il sostegno la Russia avrebbe il sopravvento e farebbe quello che vuole. Allora avrebbe avuto più senso non dare il sostegno all’inizio, che toglierlo dopo i tanti morti e le tante distruzioni. Certo, dopo l’annessione della Crimea nel 2010 ci sono state solo blande sanzioni, non ci sono state morti e abbiamo importato tranquillamente gas e petrolio russi. Ma questa è pace o avallo della sopraffazione con la forza?
Amadei si chiede “Andare avanti fino alla sconfitta della Russia, costi quel che costi?” L’Ucraina persegue la liberazione dei suoi territori illegalmente occupati, che è un suo diritto secondo le norme internazionali: certo una sconfitta della Russia ma non è l’occupazione di Mosca. Il conflitto con armi nucleari lo minaccia la Russia: non lo farà, ma soggiacere alla minaccia significa avallare la legge del più forte, in particolare per gli stati con armi nucleari. Se la Corea del Nord invadesse la Corea del Sud questa non dovrebbe resistere? E Taiwan non resistere ad un attacco della Cina? Siamo sicuri che l’appeasement non incentivi nuove guerre?
2. “E’ sicuro che l’escalation nella fornitura di aiuti militari non comporti l’intervento diretto, dopo l’invio delle armi e dei consiglieri militari, dei paesi della Nato?” Ma che domanda è? E’ ovvio che non è “sicuro” a priori: lo decide la Nato, teoricamente a maggioranza. Seguendo queste impostazioni bisognerebbe spiegare a Svezia e Finlandia che è inutile chiedere di entrare nella Nato, perché se venissero attaccate ci chiederemmo fino a che punto siamo disposti a rischiare. Se non siamo disposti a rischiare, possono essere attaccate impunemente: e dal punto di vista di Putin sarebbe sciocco non farlo. Siamo sempre allo stesso punto: se nessuno resiste, non c’è guerra. C’è solo la perdita della indipendenza e la sottomissione a una dittatura. Evidentemente non è più il tempo di “libertà va cercando ch’è si cara come sa chi per lei vita rifiuta”.
3. “Per uscire dalla guerra è indispensabile allora che la risposta sia globale e coinvolga, oltre naturalmente a chi è in guerra, gli Stati che guidano l’attuale globalizzazione, a partire da Usa, Cina e Unione europea.” Lo penso anch’io, ma come facciamo a convincerli? A me andrebbe bene anche una soluzione non giuridicamente “giusta” ma che fornisca le garanzie che l’aggressore non ricomincia quando gli fa comodo. E questo, che lo si dica o no, implicherebbe l’uso della forza, leggasi guerra.
4. “E ridando il ruolo che gli spetta all’Onu, da rilegittimare e sostenere nei compiti che la Carta le assegna.” Chi glielo ridà in concreto e come? L’autore ha presente il diritto di veto in consiglio di sicurezza?
5. “È indispensabile promuovere un dialogo tra le parti”. Come si fa in concreto? I capi di stato europei non ci hanno provato? Il Papa non è andato di persona – cosa inaudita – all’ambasciata russa presso la Santa Sede, fuori dal Vaticano? Non ha chiesto di andare a Mosca? Si dimentica il piccolo particolare che per dialogare bisogna essere in due. Magari neanche Zelensky vuole, se non alle sue condizioni, ma lo si può costringere non dandogli le armi. Ma Putin chi lo convince? Temo proprio che si convinca solo se constata che non può ottenere con la forza i risultati che persegue e che il tentativo gli costa troppo economicamente e magari in consenso interno.
6. Tutte le altre proposte, ammesso che venissero accettate, da chi vengono garantite? Da forze di pace disarmate? Insomma le pie aspirazioni sono belle e lodevoli, ma non si vede come possano dare risultati. Con un simile approccio, si può affrontare il problema dei femminicidi – invece che cercando di proteggere le donne maltrattate e minacciate – esortando i mariti ad amare e rispettare le mogli: che è la soluzione a lungo termine, ma sul momento non impedisce i delitti.
Dulcis in fundo: “È urgente una politica che ritorni alla nostra Costituzione e ai Diritti umani etc etc”: in tutte le proposte manca quasi sempre il soggetto che le deve attuare e sempre il modo in cui farlo. E’ giustissimo dire che tutti gli uomini dovrebbero amarsi come fratelli: si risolverebbero tutti i problemi; ma il dirlo ovviamente non basta