10 anni del pontificato Bergoglio
di Franco Ferrari[1]
Non bisogna “perdere la capacità di sognare, perché sognare è aprire le porte al futuro. Essere fecondi nel futuro”. Queste parole pronunciate in una delle meditazioni mattutine nella cappella di santa Marta nei primi anni di pontificato possono fornire una delle possibili chiavi di lettura del pontificato di Francesco.
Il sogno di Francesco è uno, riformare la Chiesa, ma come tutti i sogni non è sempre di facile interpretazione. E la domanda che ci si può porre, dopo dieci anni di pontificato, è a quale fecondo futuro apra le porte questo sogno.
Una riforma ineludibile. Che la Chiesa necessiti di un ampio e profondo rinnovamento è sotto gli occhi di tutti. La pandemia, se mai ce ne fosse stato bisogno, ha mostrato tutte le fragilità di una proposta pastorale obsoleta; gli scandali finanziari hanno messo in evidenza la necessità della trasparenza amministrativa; i pervasivi abusi di coscienza, di potere e sessuali, su minori e suore, richiedono l’urgente revisione di vita, di disciplina e delle strutture di formazione del clero; le strutture centrali del governo della Chiesa e i meccanismi decisionali mostrano evidenti sfasature rispetto alla rapidità dei cambiamenti nelle varie società continentali.
Una crisi ben presente ai cardinali che elessero Bergoglio a Vescovo di Roma e che ha animato gli incontri preparatori al Conclave. Oggi, possiamo dire, confermata dagli esiti della grande consultazione del Popolo di Dio in funzione del prossimo Sinodo dei Vescovi, come si può leggere nel Documento per la Tappa continentale intitolato significativamente “Allarga lo spazio della tua tenda”, pubblicato nell’ottobre dello scorso anno.
La conversione al Vangelo. Una riforma efficace, ha sottolineato Francesco in più occasioni, non si attua con “nuovi uomini”, ma con “uomini rinnovati” e ciò richiede “soprattutto una conversione e una purificazione permanente”. La conversione spirituale è un aspetto trasversale e urgente per la riforma alla quale pensa Francesco. Pastori “con l’odore delle pecore”, le 15 malattie degli uomini di Curia, la “mondanità spirituale”, l’“ospedale da campo” sono tutte immagini con le quali invita, oltre che con l’esempio personale, tutta la Chiesa (vescovi, preti, religiosi e laici) ad una revisione di vita, ad un ritorno all’essenza del Vangelo. Un intervento nella carne viva che non è indolore e suscita resistenze.
La dimensione sociale dell’evangelizzazione. Con il magistero e i gesti di questi dieci anni di pontificato, il Vescovo di Roma ci ha ricordato che l’annuncio del Vangelo “possiede un contenuto ineludibilmente sociale: nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno con gli altri” (Evangelii gaudium 177). Per liberare i popoli dalle ingiustizie non ci si può limitare a “fare la carità” per tranquillizzare la propria coscienza, occorre collaborare con tutti “per risolvere le cause strutturali della povertà e promuovere lo sviluppo integrale dei poveri” (EG 180, 188).
Francesco dice al suo Popolo che la fede, per essere autentica e non “comoda e individualista” “implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo”, per lasciarlo migliore a chi viene dopo.
La conversione missionaria e pastorale richiede, perciò, un cambio di paradigma: non solo la conversione personale, ma anche un’azione concreta per il cambiamento sociale. Francesco vuole una Chiesa che si sporchi le mani “per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze” (EG 49). È questo il senso profondo che occorre dare allo slogan “Chiesa in uscita”.
La misericordia, ci ha ricordato Bergoglio “rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo” e costituisce l’essenza stessa della missione della Chiesa. Il Giubileo straordinario del 2015 non può essere archiviato come uno dei tanti giubilei, si concluse infatti con un rilevante atto di magistero, la Lettera apostolica Misericordia et misera, che si presenta come una sorta di vademecum che dovrebbe orientare d’ora in poi tutta la vita ecclesiale, senza dimenticare l’incidenza e il valore sociale della misericordia. Come osservò a suo tempo lo storico Giovanni Miccoli: il giubileo è stato lo “strumento per sollecitare tutta la Chiesa, e capillarmente tutte le diocesi, a riflettere su questa riscoperta [della misericordia], a discuterla, ad acquisirla e a metterla in pratica. Aspira ad aprire la strada alla realizzazione di una grande riforma individuale e collettiva” (Il Sole24ore).
L’arca della fratellanza umana. Il contesto socio-politico del decennio di pontificato è stato caratterizzato in modo particolare da quella che Francesco, con una felice immagine, ha definito la “terza guerra mondiale a pezzi”, della quale il fondamentalismo religioso è un’importante concausa.
Ad Abu Dhabi, il Vescovo di Roma dirà che per salvare l’umanità dalla distruzione e per salvaguardare la pace tra i popoli c’è bisogno di “entrare insieme, come un’unica famiglia, in un’arca che possa solcare i mari in tempesta del mondo: l’arca della fratellanza”. È in questo impegno per la costruzione dell’arca della fratellanza umana che va iscritto l’intenso dialogo con l’islam e con le altre religioni. Una scelta che caratterizza anche il dialogo con tutte le chiese cristiane; oggi l’ecumenismo, secondo Francesco, deve vivere la stagione della collaborazione nell’evangelizzazione, agendo e testimoniando insieme l’impegno per la promozione umana, la solidarietà, la pace, la salvaguardia dell’ambiente e la giustizia.
Queste scelto sono tradotte anche nell’attuale geopolitica della Santa sede, nei discorsi di inizio anno al Corpo diplomatico e nella scelta delle mete dei viaggi apostolici.
La piramide rovesciata. L’immagine della Chiesa come piramide rovesciata la troviamo nel discorso per la ricorrenza dei cinquant’anni di fondazione del Sinodo dei vescovi. Bergoglio ritiene il Sinodo una preziosa eredità conciliare e da subito ha inteso valorizzarlo, possiamo dire rivitalizzarlo dopo che era stato sfiancato da 50 anni di stretto controllo della Curia sulla dinamica dei suoi lavori.
Nei dieci anni del suo pontificato si sono tenuti 4 sinodi (2 sulla famiglia, uno sui giovani e quello speciale per l’Amazzonia) e ora se ne terranno altri due (2023 e 2024) sul tema della sinodalità.
La scelta sottintende un modello di Chiesa che si caratterizza: per l’ascolto del sensus fidei dei fedeli, che Francesco chiama in modo divulgativo “fiuto dei fedeli”; per una partecipazione corresponsabile dei battezzati-laici; per l’autorità e per il potere intesi come servizio; per la possibilità di un ripensamento delle forme con le quali il Vescovo di Roma esercita la sua autorità e i suoi poteri (uno degli ostacoli che inceppano il cammino ecumenico).
La Chiesa sinodale è il modello, la forma di Chiesa nella quale si potrà realizzare il fecondo futuro del sogno bergogliano. Una via difficile per superare i molti ritardi accumulati nella lettura dei segni dei tempi e nell’aggiornare metodi e contenuti dell’annuncio alle società del nostro tempo.
Si deve, però, osservare che una significativa minoranza di vescovi, manifestatasi in tutti e quattro i sinodi tenuti fino ad oggi, non sembra favorevole al metodo della sinodalità.
Il futuro della riforma. Se la riforma possa avere successo è questione che intriga osservatori e fedeli, rispondere non è facile ma si possono fare alcune considerazioni.
Molti manifestano un’opinione critica sulle modalità di governo, fino a dire che creano confusione e che il papa non sa dove vuole condurre la Chiesa.
Mettersi in cammino, avviare processi è il principio fondamentale che caratterizza il modo di affrontare le questioni da parte di Francesco, un percorso aperto che sommato alla complessità delle questioni può generare l’idea della mancanza di una meta.
Al momento l’azione riformatrice di Francesco ha affrontato le questioni più urgenti sia sul piano pastorale (famiglia, giovani, Amazzonia) sia su quello delle strutture (organismi economici e Curia), ma sullo sfondo restano molte e delicate questioni che non potranno essere procrastinate a lungo. Pensiamo alla figura del presbitero (formazione, celibato, …); al ruolo delle donne; all’attribuzione di autentica responsabilità ai battezzati-laici; all’inculturazione del Vangelo e della Chiesa; all’esigenza di reinterpretare la tradizione e la dottrina. Perciò, una riforma che non può che essere eccedente a questo pontificato e forse anche al successivo.
Si può, perciò, ritenere che il successo della riforma non stia nelle mani di Francesco ma più credibilmente in quelle del suo successore, il quale difficilmente potrà arrestare il processo a meno che non voglia consegnare la Chiesa all’irrilevanza e farne un museo.
[1] Membro del gruppo redazionale della rivista “Missione Oggi”, fondatore e presidente dell’Associazione Viandanti.