di Sandro Antoniazzi
Nel giro di pochi anni si sono verificati in Francia tre grandi movimenti di massa, diversi tra loro, ma tutti egualmente sorprendenti per il loro carattere inaspettato.
Mi riferisco al movimento dei gilet jaunes, alle grandi manifestazioni sindacali unitarie contro la riforma delle pensioni e infine alla rivolta delle periferie urbane a seguito dell’uccisione di un ragazzo di colore da parte di un poliziotto nella banlieu parigina.
Il primo è stato una reazione contro l’aumento del prezzo della benzina che colpiva particolarmente coloro che usano l’auto tutti i giorni per lavoro, in sostanza un ceto medio basso.
Rilevante sono stati sia l’estensione della protesta, sia il carattere violento che spesso ha assunto.
Nel caso degli scioperi per le pensioni è da segnalare il loro successo, ciò che non succedeva da tempo, dovuto anche all’unità di tutte le sigle sindacali.
Ciò che ha non poco meravigliato lo “spettatore” italiano è stata la grande reazione di massa per una proposta di modifica pensionistica riguardanti cifre per noi consuete.
Infine, la reazione delle periferie, a partire da quella di Parigi, dimostra che il problema degli immigrati, anche nelle democrazie più avanzate, è lontano dall’essere risolto.
Dunque, per vari motivi, una delle democrazie migliori dell’Occidente è stata attraversata da divisioni profonde che manifestano un disagio preesistente che attende solo la scintilla occasionale per esplodere e venire alla luce.
Alcune giustificazioni sono a prima vista economiche, ma il tema merita un approfondimento.
Ciò che sembra in gioco, sia nel caso dei gilet jaunes, sia nel caso delle pensioni, non è solo il problema della diminuzione del reddito, ma la preoccupazione ben più rilevante di andare indietro, di retrocedere, di impoverirsi.
Molti lavoratori ormai sono ascrivibili alla classe media – hanno un lavoro sicuro, una condizione di vita buona, un discreto benessere – e ciò che li impaurisce è la preoccupazione, l’ansia di poter perdere tutto questo.
I francesi hanno un livello di reddito mediamente più elevato degli italiani e questo costituisce quasi un’aggravante: chi è più in alto, teme maggiormente il pericolo di cadere.
Qualche anno fa, in vacanza a Tolone, ho letto un’interessante indagine sulla situazione sociale francese: crescevano le aree cittadine maggiori (Parigi, Lione, Marsiglia…), dove si concentrano i nuovi servizi moderni informatici e finanziari, decrescevano le aree interne e i centri minori, dove aumentano povertà e disoccupazione (e dove prevale, guarda caso, il movimento di Le Pen).
Il problema che si pone dunque alla società francese (ma non è diversa la nostra realtà e quella degli altri paesi sviluppati) è una situazione di avvertita incertezza sul futuro, di cui queste manifestazioni rappresentano un segnale evidente.
Si è abbastanza convinti che non si possa più pensare a un avvenire di progresso, ma si vorrebbe almeno la “sicurezza” di poter difendere ciò che si possiede, che si è guadagnato.
Le società di oggi non sono più “rassicuranti”: per fortuna stanno discretamente bene, ma ogni avvenimento sembra costituire un pericolo per questo equilibrio, vissuto come precario.
Diversa la questione delle banlieu: non si può dire che i francesi abbiano fatto poco per gli immigrati; la maggior parte degli immigrati lavorano e hanno una casa.
Ma l’insuccesso sta nell’integrazione: se si visita Parigi, in città si vedono quasi solo bianchi, mentre le periferie sono abitate per il 90% da immigrati di varie generazioni; c’è fra le due aree una separazione netta.
L’integrazione, l’inserimento non è solo una questione materiale, ma molto di più una questione culturale e relazionale.
Nella società di oggi l’eguaglianza umana significa soprattutto offrire ad ognuno la possibilità di essere agente dello sviluppo delle proprie capacità e qualità, non basta garantire delle condizioni minime materiali, occorre impegnarsi su obiettivi ben più ambiziosi.
E’ il motivo per cui la questione dell’immigrazione rimane un serio problema aperto in tutte le società sviluppate, al di là dell’accoglienza.
Sono problemi molto presenti anche da noi: siamo più abituati alla povertà, non abbiamo la banlieu parigina, le nostre lotte sociali sono in genere più pacifiche.
Però i problemi crescono e non possiamo aspettare che esplodano, nel momento in cui la gravità supera il limite della sopportazione.
I movimenti sociali francesi costituiscono un chiaro segnale di allarme che siamo vicini a questo limite.