di Fabio Pizzul
I primi passi della legislatura europea confermano tutti i dubbi che hanno accompagnato la campagna elettorale che ha portato alle elezioni dell’8 e 9 giugno scorsi.
Le velleità sovraniste e l’idea che l’Italia potesse ribaltare l’Europa con un’affermazione elettorale della Presidente del Consiglio “detta” Giorgia stanno mostrando tutta la loro inconsistenza, di fronte all’unica alleanza possibile a Bruxelles, quella che ha come asse portante le due maggiori famiglie politiche, ovvero Popolari e Socialisti e Democratici. L’idea di poter condizionare l’Europa con tatticismi legati alla non approvazione del MES piuttosto che ad altre forzature sulle nomine sta dimostrando tutta la sua inconsistenza, con il rischio di relegare l’Italia e il suo governo a un ruolo marginale.
Non ci sono italiani o esponenti graditi all’attuale governo italiano tra i designati ai cosiddetti “top jobs” europei, ovvero ai ruoli di vertice, ma non ci sono stati italiani neppure tra i sei rappresentanti delle principali famiglie politiche che hanno negoziato l’accordo sui nomi.
Ursula von der Leyen è la presidente della Commissione designata dal vertice dei capi di governo dei paesi membri e il voto contrario dell’Italia non è che la conferma del rischio di marginalità per il nostro paese.
Se guardiamo, invece, ai temi fondamentali dei prossimi mesi, dobbiamo prendere atto del fatto che il cammino della commissione Von der Leyen bis potrebbe essere fin da subito molto accidentato.
Per prima cosa, la presidente designata dovrà ottenere il voto di fiducia del Parlamento Europeo, che si riunirà a Strasburgo il 16 luglio: un passaggio non certo scontato, visto che la maggioranza che la sostiene ha un margine di appena 40 voti, molto esile in un’assemblea da 720 parlamentari. Per questo sono in corso manovre a tutto campo per ottenere un voto favorevole dei Verdi, da un lato, piuttosto che di parte dei conservatori (compresi i parlamentari meloniani) dall’altro.
Non mancheranno sorprese e malumori, soprattutto in Italia, visto che si troveranno a votare dalla stessa parte forze politiche che qui da noi sono su versanti opposti.
Tema fondamentale per la definizione del programma della nuova Commissione sarà il Green Deal: confermarlo e rilanciarlo o frenarne l’esecuzione è un dilemma che attraversa le stesse forze politiche che sostengono il bis di Von der Leyen.
Ci sarà poi un’ulteriore sfida, che riguarda l’esame delle proposte di modifica dell’organizzazione dell’Unione Europea che il Parlamento ha votato nel dicembre 2023. In quel pacchetto troviamo temi fondamentali come il superamento del voto all’unanimità in Consiglio UE, piuttosto che l’avvio di una vera politica estera comune o della difesa comune.
Altra questione rilevante per il futuro dell’Unione Europea riguarda i finanziamenti. Esauriti i PNRR, che derivano dal programma Next Generation EU che per la prima volta nella sua storia ha visto l’UE fare debito comune per garantire investimenti massicci, quale strada intraprenderà l’Europa? Metterà fine all’eccezione dettata dall’emergenza Covid o renderà stabile la possibilità di contrarre debito comune per rafforzare le politiche comuni?
Tutti temi controversi e delicati, che non possono essere trascurati e ci diranno se l’Unione Europea farà passi avanti o si accontenterà di rimanere ostaggio delle volontà, o meglio, degli egoismi dei singoli paesi. L’Europa che sogna chi è al governo in Italia è proprio quest’ultima. Ma sarebbe come abbandonare, o almeno accantonare (non sappiamo per quanto) il sogno europeo delle origini.
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