Uno strappo alla Costituzione, e un equivoco politico

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L’autore ci ha inviato (a c3dem come anche a l’Unità) un commento al documento dei 43 parlamentari del Pd (e da lui stesso redatto) nel quale si sono esposte le ragioni di contrarietà dei firmatari alla mozione di maggioranza votata in parlamento per dare avvio al processo di riforma della Costituzione. Vedi il testo delle mozioni qui nella “nostra rassegna”

 

 

Tutta l’attenzione politico-mediatica si è concentrata sulla mozione Giachetti relativa alla correzione ovvero alla cancellazione del porcellum.  Ma, a mio avviso, più pertinente e non meno rilevante è stata la discussione che si è sviluppata nel PD circa il metodo adottato per avviare il processo di riforma della Costituzione. Avendo io espresso, in sede di gruppo parlamentare PD, profonde riserve sulla mozione con la quale si è dato mandato al governo di proporre al parlamento un percorso speciale (in deroga a quello ordinario stabilito dall’art. 138 della stessa Costituzione) per la riforma di una parte cospicua della seconda parte della nostra Carta fondamentale e avendo di conseguenza annunciato che non avrei potuto votare quella mozione, da parte di alcuni colleghi mi è stato richiesto di mettere in carta le mie preoccupazioni. Senza particolare sforzo, in pochi minuti, prima del voto in aula di Camera e Senato, sono fioccate 44 adesioni a un documento politico. Un modo per dare corpo a una posizione, rinunciando responsabilmente a formalizzare voti in dissenso. Coniugando così solidarietà con il gruppo e libertà di opinione su materia, quella costituzionale, che chiama in causa la responsabilità di ogni e singolo parlamentare.

La deroga alla procedura ordinaria di revisione costituzionale è, ad avviso di autorevoli costituzionalisti, uno strappo alla legalità costituzionale. Un pericoloso precedente. Il secondo, in verità. Il primo fu operato nel 1997 all’atto dell’insediamento della bicamerale presieduta da D’Alema. Non un precedente rassicurante, né nei suoi profili istituzionali, né in quelli politici, né relativamente all’esito di essa. L’art. 138 è il più delicato degli articoli della parte ordinamentale della Costituzione. Il presidio del principio-valore della rigidità della Costituzione intesa quale strumento di garanzia (specie per le minoranze politiche). Esso risponde all’idea-visione della Costituzione come regola che presiede alla casa comune, come patto di convivenza che non ammette strappi. La quale visione appunto esige che eventuali cambiamenti siano largamente condivisi e seguano un procedimento complesso, non a caso definito “aggravato” dai giuristi. Giusto perché ci si rifletta bene. Non solo: l’art. 138 contempla revisioni puntuali della Costituzione, non la riscrittura di quasi tutta la sua seconda parte. Il parlamento, che è potere “costituito”, non può ergersi a potere “costituente”. Certo, esso è espressione della sovranità popolare, ma, come recita l’art. 1, essa “si esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione” stessa. Anche e, in certo modo, soprattutto, nelle procedure di revisione. Insomma, è persino dubbio che il presente parlamento, per di più eletto con una fortissima correzione maggioritaria, abbia mandato e legittimazione a riscrivere una parte così grande della Carta, come ci si propone di fare nel caso nostro.

La cosa curiosa poi è che sia il governo, paradossalmente “impegnato” a questo da una mozione parlamentare, a proporre  una deroga a una procedura di stretta spettanza parlamentare. Un parlamento che si depotenzia! Che chiede al governo di ingerirsi in una materia delicatissima e che non gli compete. Questa bizzarria, questa forzatura affonda le radici in un peccato d’origine, all’atto dell’insediamento del governo Letta. Egli, nelle sue comunicazioni alle Camere per la fiducia, legò la sorte del governo e persino la sua durata (18 mesi) al buon esito delle riforme costituzionali. Legame improprio, essendo le riforme costituzionali materia eminentemente parlamentare, non di governo. Traspare evidente un equivoco politico: la confusione tra maggioranza di governo e maggioranze (al plurale) non precostituite che possono e devono liberamente prodursi in parlamento su questo o quel titolo oggetto di riforme a così ampio spettro. Su questo secondo fronte, ripeto, distinto da quello di governo, s’ha da dialogare con tutte le forze rappresentate in parlamento.

Detto più chiaramente: la strana, necessitata maggioranza di governo non deve condizionare il libero dipanarsi in parlamento di diverse maggioranze sul terreno rigorosamente distinto delle revisioni costituzionali. Badando al merito, ai singoli e distinti titoli. Un equivoco – la confusione tra piano del governo e piano delle riforme costituzionali – di cui si rinviene traccia in coda al dispositivo della mozione di maggioranza, laddove si accenna all’ipotesi di una e una sola legge costituzionale complessiva (anziché di più leggi distinte per titoli cui fare seguire distinti referendum confermativi, come concordemente suggerito dai quattro saggi a suo tempo nominati da Napolitano). Non vorrei che il PD si vincolasse a riscrivere la seconda parte della Costituzione solo con il PDL in ragione della comune responsabilità di governo. Giusto dialogare con tutti, ma appunto con tutti. Non sarebbe facile spiegare al popolo democratico che, oltre a fare un governo con Berlusconi, ci si è impegnati a riscrivere la Costituzione con lui soltanto. Uno strano connubio: quelli (noi) che, con enfasi retorica, elevano inni alla Costituzione più bella del mondo o al PD come “partito della Costituzione” associati organicamente e in esclusiva a quelli il cui leader sino a ieri la bollava come Costituzione sovietica.

31 maggio 2013                                                                    Franco Monaco

4 Comments

  1. Condivido con preoccupazione per ciò che sta accadendo: in nome di una cosiddetta “pacificazione nazionale” – con chi fino ad oggi ha considerato il Parlamento un “impaccio” – un “governo eccezionale” pone mano impropriamente alla Costituzione per stravolgere il sistema introducendo il “semipresidenzialismo” …..è improprio che l’iniziativa sia del Governo ed è improprio che ciò avvenga sulla base dell’art. 138 che parrebbe più propriamente riguardare “revisioni” puntuali della Costituzione piuttosto che mutamenti dell’ordinamento istituzionale.

  2. Gentile Franco Monaco,
    anche se lei verosimilmente l’ha già fatto in altre sedi, sarebbe interessante una sua risposta anche su c3dem alle amichevoli obiezioni che Stefano Ceccanti le muove sul sito (http://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2013/06/Ceccanti-due.pdf). Sarebbe un contributo alla chiarezza se lei approfondisse la sua opinione anche dal punto di vista del “merito” della proposta semi presidenziale (e non solo sul metodo come il suo attuale intervento), anche perché la mia impressione (magari errata) è che le obiezioni sul metodo siano in stretto rapporto con quelle sul merito, da parte di chi le muove.
    Premesso che, in quanto elettore del PD, le sono grato di aver coniugato “solidarietà con il gruppo e libertà di opinione” (evitando così l’ennesima divisione interna), ecco qualche obiezione ai suoi argomenti:
    1. a prescindere da argomentazioni costituzionali di cui non sono esperto (ma mi pare che i costituzionalisti abbiano comunque pareri diversi), mi sembra che sul piano politico fosse dato per scontato – da chi riteneva questo governo inevitabile nella situazione creatasi – che le riforme istituzionali fossero una delle priorità da affrontarsi da parte del governo, che non vive nell’empireo, ma perché ha una maggioranza in Parlamento (quindi contrapporre i due aspetti, governo e Parlamento, mi sembra improprio). Nella maggioranza peraltro c’è anche Scelta Civica, da lei omessa (dimenticanza o lapsus?).
    2. teorizzare “il libero dipanarsi in parlamento di diverse maggioranze sul terreno… delle revisioni costituzionali” (ma con chi? con il M5S, la cui affidabilità costituzionale – stando agli scopi che dichiara – mi sembra non a prova di bomba?) sarà senz’altro più corretto sul piano costituzionale, ma anche molto pericoloso per la stabilità del governo, senza il quale peraltro non si farà alcuna riforma costituzionale, né bella né brutta. Lei è d’accordo su questo?
    3. quanto agli “inni alla Costituzione più bella del mondo” sono appunto frutto di “enfasi retorica” (in questo siamo d’accordo): la Costituzione è preziosa, ci mancherebbe altro, ma questo non deve impedirne una revisione critica alla luce della profondamente mutata situazione storica. Condivido pienamente la sua critica a chi la bollava come “Costituzione sovietica”, ma devo anche dire che non condivido affatto (non sto parlando di lei) la posizione di chi – come Libertà e giustizia, movimento al quale fui iscritto un tempo, prima della sua attuale deriva – mescola indebitamente scelte costituzionali e opzioni politiche.

    • Replica (in amicizie e con ironia) a Ceccanti sul semipresidenzialismo.

      > >> Non senza bonaria ironia che ci può perfettamente stare tra amici di vecchia data, Stefano Ceccanti mi dipinge come un conservatore un po’ tardo a comprendere ma che poi, a Dio piacendo, pur con i suoi tempi, se paternamente aiutato, si ravvede, in tema di innovazioni istituzionali. Con qualche generosità verso me stesso potrei persino interpretarlo come un complimento: essere un po’ tardo di comprendonio non è una colpa, semmai una disgrazia; cambiare opinione può essere persino una virtù; farlo dando ascolto agli amici sapienti che, come Stefano, generosamente ti vengono in soccorso può essere a sua volta un atto altruistico: dà modo a chi la sa più lunga di esercitarsi in una missione che ne esalta dottrina e bontà d’animo.
      > >> Ma lasciamo l’etica, la psicologia e soprattutto l’ironia che ci si può permettere laddove regna una salda amicizia e veniamo alla politica.
      > >> Ad uso di Stefano e di altri (chi mai?) che nutrissero interesse al riguardo, provo a fissare telegraficamente la mia piccola bussola. Considero un valore il bipolarismo o meglio la democrazia competitiva. Penso sia la fisiologia delle democrazie mature. Provo perciò disagio verso la formula consociativa dell’attuale governo. In tema di legge elettorale non ho né dogmi né tabù. Considero il maggioritario cui, allo stato, vanno le mie preferenze, un mezzo, non un fine. Nelle condizioni date. Le regole elettorali sono strumenti buoni o cattivi a seconda del contesto cui si applicano. Quello italiano, per ragioni connesse a una lunga storia politica centripeta (di governi dal centro) cui ha concorso anche una certa mitologia del centro di matrice cattolica (per la quale la virtù starebbe sempre nel mezzo, non si capisce bene perché, essendo il centro un concetto relativo agli estremi), è un sistema politico che, senza un pungolo maggioritario, facilmente prende la china del consociativismo e della palude centrista.
      > >> A differenza di Stefano e con il conforto di autorevoli costituzionalisti, penso che non si dia un rapporto necessario tra bipolarismo (ripeto: un bene-valore) e forma di governo presidenziale.
      > >> So bene che il semipresidenzialismo, per sè, è forma di governo perfettamente democratica. Come pure mi è noto che Ceccanti – su questo ha ragione – è in buona compagnia con altri valenti costituzionalisti di sinistra orientati al semipresidenzialismo. Di più: penso che se ne possa discutere laicamente, senza pregiudizi. Lo si fa da decenni e non è qui la sede per sciorinare i convenzionali argomenti pro o contro che un po’ ci vengono a noia. Mi limito a tre osservazioni.
      > >> La prima: è cosa vera che, con gli ultimi presidenti della Repubblica e soprattutto con Napolitano, si sono espansi i poteri del Quirinale, ma questo non è argomento sufficiente per concludere circa l’opportunità di costituzionalizzare il modello presidenzialistico. Napolitano ha fatto ciò che ha fatto, con largo (ancorchè non universale) apprezzamento, proprio perché è stato ed è apparso figura super partes, istituzione di garanzia. Del resto, si sa che egli stesso, Napolitano, il più accreditato interprete di sé stesso, è contrario all’idea di fare del presidente della Repubblica il capo dell’esecutivo. La seconda osservazione: il modello francese di una verticalizzazione del potere e di una competizione che polarizza fortemente su due fronti il paese regge anche grazie al senso-valore della nazione (la Republique) e del suo preminente interesse che si è forgiato nei secoli nella coscienza dei nostri cugini d’oltralpe. Sicuri che in Italia non sortirebbe laceranti divisioni prive di anticorpi? Terza ed ultima osservazione, di stampo pragmatico. Tutti coloro che, a sinistra, patrocinano il semipresidenzialismo hanno cura di precisare che esso deve essere accompagnato da bilanciamenti e contrappesi. In primis, da una legge finalmente efficace sul conflitto di interessi. Nella presente legislatura potrebbe davvero andare in porto la revisione della forma di governo. Domando: c’è qualcuno che, in coscienza, si può dire sicuro che, in presenza di un governo sorretto da PD e PDL, l’attuale parlamento possa varare una legge efficace sul conflitto di interessi e norme antitrust che contrastino le concentrazioni e gli oligopoli, specie nel campo dell’informazione? Se la risposta fosse no, di che parliamo? Cominciamo semmai da qui e poi potremo ragionare di sistemi di governo presidenziale.
      > >>
      > >> Franco Monaco

      PS. Questo articolo è uscito anche su Europa online del 3 giugno
      http://www.europaquotidiano.it/2013/06/03/presidenzialismo-tre-obiezioni-laiche/

  3. Oltre alle osservazioni di Franco Monaco, che condivido in pieno, aggiungo un commento che ho scritto due giorni fa:

    Quali riforme?

    La mozione Zanda, Schifani e altri approvata dal Senato nella seduta del 29 maggio 2013, con la quale si istituisce un Comitato di deputati e senatori incaricato di predisporre un progetto di legge costituzionale di riforma, contiene alcune espressioni che suscitano molte perplessità.
    Anzitutto, prima di stabilire l’istituzione del Comitato, nella mozione “si impegna il Governo a presentare alle Camere, entro il mese di giugno 2013, un disegno di legge costituzionale, che in coerenza con le finalità e gli obiettivi indicati nelle premesse, preveda, per l’approvazione della riforma costituzionale, una procedura straordinaria rispetto a quella di cui all’articolo 138 della Costituzione”. Credo che si possa avere più di un motivo di preoccupazione immaginando che riforme importanti come quelle che si vorrebbe attuare possano essere approvate dopo che si sono cambiate le regole per la revisione della Costituzione: mi sembra una procedura degna più di una dittatura africana che di uno stato democratico.
    Altro motivo di perplessità sta nel contenuto dell’incarico al Comitato, al quale si conferiscono “poteri referenti per l’esame dei progetti di legge di revisione costituzionale dei Titoli I, II, III e V della Parte seconda della Costituzione, afferenti alla forma di Stato, alla forma di Governo e all’assetto bicamerale del Parlamento”. Se non erro, nella Costituzione l’unico articolo che parla di forma dello Stato è l’art. 139: La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale. Se i parlamentari della precedente legislatura erano convinti che Ruby fosse la nipote di Mubarak, quelli dell’attuale stanno ancora peggio, perché addirittura non conoscono la Costituzione!

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